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Riunione del Quint. Cosa (non) dicono i resoconti dei leader

I resoconti del riunione Quint fotografano sensibilità diverse: Washington e Londra sono scettiche sulle promesse russe, Berlino e Roma disposte al confronto ma non abbassano la guardia. Oggi telefonata Draghi-Putin

A giudicare dai resoconti della telefonata di martedì (30 marzo, ndr) sembra che le posizioni all’interno del Quint siano tornate indietro di cinque settimane, a prima dell’aggressione russa dell’Ucraina. Stati Uniti e Regno Uniti da una parte; Francia, Germania e Italia dall’altra.

Sono bastati i negoziati a Istanbul e qualche segnali di allentamento russo a rassicurare i leader europei? Forse sì. Evidentemente, però, non hanno convinto gli Stati Uniti e il Regno Unito. La Difesa statunitense ha fatto sapere ai media che non c’è molta fiducia – d’altronde, i finiti ritiri sono una tattica rodata a Mosca già dall’epoca sovietica. L’intelligence militare britannica, invece, ha segnalato un arretramento in Bielorussia per ricevere rinforzi.

Diamo un’occhiata ai resoconti della telefonata tra il presidente statunitense Joe Biden, quello francese Emmanuele Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi e il primo ministro britannico Boris Johnson, mettendo in risalto le differenze.

Molto incentrato sulle sanzioni alla Russia è quello statunitense. “I leader hanno affermato la loro determinazione a continuare ad alzare i costi sulla Russia per i suoi attacchi brutali in Ucraina” e hanno “anche discusso l’importanza di sostenere mercati energetici stabili alla luce delle attuali interruzioni dovute alle sanzioni”, ha fatto sapere la Casa Bianca.

“Dobbiamo giudicare il regime di [Vladimir] Putin dalle sue azioni, non dalle sue parole”, ha detto il primo ministro britannico Johnson stando a quanto ha comunicato il suo ufficio al numero 10 di Downing Street. E ancora: “I leader hanno discusso la necessità di lavorare insieme per rimodellare l’architettura energetica internazionale e ridurre la dipendenza dagli idrocarburi russi. Hanno concordato che non ci può essere alcun allentamento della determinazione occidentale fino a quando l’orrore inflitto all’Ucraina non sarà finito”.

Se Biden e Johnson appaiono allineati sulla poca fiducia verso le dichiarazioni russe (tanto da non fare riferimento nei resoconti ai colloquio in Turchia) e sulla necessità di abbassare la guardia, Scholz ha una posizione più sfumata. I cinque “hanno concordato di mantenere alta la pressione delle sanzioni contro la Russia”, ha riferito il portavoce Steffen Hebestreit in una nota.

Ma c’è differenza tra la “determinazione a continuare ad alzare i costi” da una parte, e dall’altra a “mantenere alta la pressione”, dichiarata aprendo nello stesso tempo anche uno spiraglio di dialogo dopo i colloquio a Istanbul. Berlino chiede una de-escalation delle restrizioni nel caso in cui alle parole di Putin seguissero i fatti. Gli Stati Uniti, invece, non sembrano disposti a un passo indietro. In questi giorni Wally Adeyemo, vice segretario al Tesoro americano, è impegnato in un viaggio europeo sulle sanzioni, con tappe a Londra, Bruxelles, Berlino e Parigi, per spingere l’Unione europea a un nuovo pacchetto di restrizione puntando alle “catene di approvvigionamento critiche”.

“I cinque leader hanno confermato l’importanza di uno stretto coordinamento sull’aiuto alla popolazione e alle istituzioni ucraine, con particolare attenzione al funzionamento dei corridoi umanitari e all’assistenza ai crescenti flussi di rifugiati”, si legge nella nota di Palazzo Chigi. E ancora: “Hanno inoltre condiviso la necessità di sostenere i negoziati in corso, assicurando al più presto il cessate il fuoco. Al centro del confronto anche la diversificazione degli approvvigionamenti energetici”. Nessun riferimento alle sanzioni né a quelle attuale in vigore né a quelle al vaglio. Anche dopo i tre summit con Biden della scorsa settimana (Nato, G7 e Consiglio europeo), il presidente del Consiglio ha ribadito il suo sostegno alle restrizioni e alla ricerca del cessate il fuoco con l’intento di chiedere a Putin, nel corso dell’attesa telefonata (in agenda mercoledì pomeriggio, secondo quanto risulta a Formiche.net, poi confermato dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio) di assumere e rispettare impegni per la de-escalation. Una linea non troppo distante da quella tedesca, che Draghi potrebbe discutere con Scholz in un faccia a faccia a Berlino nei prossimi giorni, come raccontato da Repubblica.

L’Eliseo non ha nemmeno diffuso un resoconto della telefonata, con Macron impegnato in una nuova telefonata con Putin subito dopo la video-riunione fra i 5 alleati occidentali e meno interessato, grazie al nucleare, dalla crisi energetica. Per ora “non ci sono le condizioni” per un’operazione umanitaria di evacuazione di Mariupol, la città ucraina sotto assedio dei russi, ha spiegato il Cremlino. Ma alla richiesta di Macron, che si è fatto portatore di una richiesta umanitaria di Francia, Turchia e Grecia, Putin avrebbe assicurato che “ci rifletterà” e poi darà una risposta.

Su Formiche.net abbiamo più volte sottolineato come le analisi delle intelligence anglosassoni e di quelle europee sull’invasione dell’Ucraina fossero divergenti: le prime erano certi dall’autunno che ciò sarebbe accaduto, le seconde sembravano confidare nella diplomazia. Che le diversità nei resoconti dell’ultima telefonata siano legate a divergenze di fondo o a una strategia concordata, soltanto i prossimi giorni potranno dirlo.


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