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Ucraina, Draghi non è il Papa. Ed è giusto così

Di Francesco Sisci

C’è un pacifismo serio, credibile, tessuto dalla diplomazia della Santa Sede e dal carisma di papa Francesco che può spegnere la polveriera Ucraina. E un pacifismo di maniera che si fa strada nella politica italiana e non è innocuo né innocente. Il commento di Francesco Sisci

Secondo l’ultimo The Economist Italia e Ungheria sono simpatizzanti/collaborazionisti della Russia. Il settimanale britannico spiega inoltre che la storia del “mondo multipolare” è uno sforzo di propaganda che copre una spartizione del globo tipo quella avvenuta alla fine della seconda guerra mondiale con la conferenza di Yalta, ma senza una Yalta.

Secondo l’idea del “mondo multipolare” la Russia doveva diventare un dominus in Europa, alla Cina spettava l’Asia, e l’America sarebbe stata costretta nel suo continente. Niente più storie di valori universali o democrazia liberale ma solo le ragioni di potere a dominare il mondo.

Giusto o non giusto, l’editoriale di copertina del giornale indica un consenso di certi Paesi e in certi ambienti internazionali importanti. L’Italia può fare finta di fregarsene, può sentirsi insultata, pensare che altri fanno di peggio, tutto quello che si vuole. Ma ciò non cambia il giudizio e le conseguenze che arriveranno per quel giudizio.

Oppure può lavorare per cambiare il giudizio. Nel primo caso il Paese subisce passivo. Nel secondo, prova a essere attivo. C’è la terza opzione, naturalmente: illudersi di allearsi con la Russia. Scelta legittima, ma che va fatta apertamente e comporta un ampio dibattito nazionale.

Nelle ore dell’uscita della storia si svolgeva il primo importante vertice video tra i presidenti americano e cinese Joe Biden e Xi Jinping. Secondo il comunicato ufficiale Xi spiegava che la Cina è per la pace e per la risoluzione pacifica dei conflitti, chiedendo in ogni caso assicurazioni su Taiwan. Biden rispondeva che la posizione americana su Taiwan non è cambiata e avvertiva Xi che ci saranno conseguenze se la Cina aiuterà la Russia.

C’è distanza tra i due. Dalle dichiarazioni su Taiwan traspare che le posizioni non sono davvero allineate. Ma in una frase di Xi, “lo sviluppo della situazione in Ucraina fino a questo punto non è qualcosa che la Cina vorrebbe vedere”, c’è un capolavoro di diplomazia cinese.

In sostanza agli americani dice: non appoggio il bagno di sangue in corso e ne prendo le distanze. Ai russi dice: potevo anche accettare che prendeste l’Ucraina con un colpo di mano, ma dato che adesso avete fatto un pasticcio globale, non posso che lavarmene le mani. Ai cinesi dice: i russi sono andati troppo oltre, non possiamo più stare tanto con loro.

La frase più l’avvertimento Usa è un segnale a Putin che sta subendo perdite insopportabili sul campo di battaglia e finora non è riuscito a prendere le grandi città. La Russia sta perdendo (non l’ha ancora persa, certo) la sponda politico-economica cinese, è più sola. Quindi o Mosca raggiunge un accordo negoziale presto, che permetta un ritiro ordinato. Oppure, fra un po’ forse, galvanizzati dai successi e dalle nuove armi, gli ucraini passano al contrattacco e i russi potrebbero scappare con la coda tra le gambe.

Le conseguenze politiche di questi scenari in Russia potrebbero essere enormi. Il presidente Putin pare sull’orlo dell’abisso e potrebbe cadere, e non è chiaro che destino potrebbe avere la Russia stessa. Le ricadute globali di quello che sta per avvenire saranno gigantesche e coinvolgeranno tutto il mondo.

In questo il Papa si spende per la pace senza prendere posizione per o contro gli ucraini o i russi. In ciò assolve a un suo compito “istituzionale”. In un mondo tornato al “power politics” se non parla lui per la pace chi ne parla? Così diventa un polo globale, proprio perché oggi non ci sono istituzioni internazionali o religiose che si esprimono per la pace.

Inoltre c’è un problema di casa. Gli ucraini sono in parte almeno cattolici, i russi ortodossi. Come ha rilevato da gennaio l’acutissimo Lorenzo Prezzi nel suo Settimananews, gli ortodossi russi sono spaccati. Molti sacerdoti sono contro la guerra mentre i vescovi hanno benedetto il conflitto. Ciò dice che quella chiesa russa è pronta a spaccarsi appena le armi sono deposte, e avrà bisogno della Chiesa di Roma per restare unita. Il papa parlando di pace pensa al presente ma anche al futuro, al dopoguerra ormai prossimo, a ricostruire la Russia da queste macerie.

L’Italia però non è il Vaticano, non è una sua succursale, né è stato pontificio. Se cerca di esserlo in realtà confonde interessi italiani con quelli della Chiesa e intorbidisce le acque. La Chiesa di papa Francesco più di tanta Chiesa nella storia vuole pensare al mondo, essere universale e quindi deve slegarsi da rapporti troppo stretti con singoli paesi, altrimenti gli altri paesi non capiscono. O, come ai tempi dello stato pontificio, gli altri si confondono e prendono gli interessi dell’Italia per quelli del Vaticano e viceversa creando corto circuiti che intrappolano Francesco nelle beghe romane.

Quindi proprio perché il papa deve essere per la pace super partes, l’Italia non può esserlo anche proprio se vuole aiutare Francesco. L’Italia, membro della Nato e della Ue, non solo non può far finta di niente rispetto al conflitto in Ucraina, ma non può essere anche l’ultimo dei sostenitori del conflitto. La timidezza mostrata finora, la continuità di mesi e anni di scelte ambigue o sbagliate in politica estera hanno meritato, giustamente o meno, l’accusa all’Italia di essere in combutta con il nemico, la Russia.

Ciò perché, piaccia o meno, l’Italia è in guerra. Qui, come ai tempi della Guerra fredda, il conflitto passa all’interno del paese stesso, con la sua tragica coda di terrorismo e sangue. Tale spaccatura non riguarda solo i partiti ma anche l’informazione.

Allora quando Gianni Riotta fa una lista di nomi di giornalisti “filo putiniani” mette il dito su un problema vero. In una guerra contro Putin, come i partiti anche i giornali non possono fare propaganda per Putin, o se la fanno deve essere chiaro da che parte stanno. Certe ambiguità sono oggettivamente pericolose perché rischiano di trascinare il paese appunto tra i “collaborazionisti” del nemico. Riotta potrebbe avere usato parole inopportune, indelicate, gli sarà mancato esprit de finesse, oppure può essere stato finalmente chiaro. Il problema però esiste.

I giornalisti devono avere equilibrio, oggettività ma, specialmente in guerra, non possono collaborare col nemico. O se lo fanno, come ai tempi della vecchia Unità che sia chiaro: per l’Urss contro la NATO.

La lista allora di risposta del Fatto Quotidiano di Marco Travaglio cosa è? Travaglio punta il dito su quattro giornalisti (Riotta, Stefano Folli, Federico Fubini, Jacopo Iacoboni) colpevoli di essere bellicosamente per la Nato. Cioè dice che i quattro vogliono sciogliere il collaborazionismo dell’Economist e schierare il paese. Una medaglia di onore per loro.

Quindi Il Fatto ammette di essere putiniano? È legittimo, l’Italia non è una dittatura, basta saperlo. Ma se si è putiniani non si può governare o essere vicini al potere in un paese NATO e UE.

Oppure per governare bisogna portare l’Italia fuori da queste organizzazioni. Questa fu la scelta del PCI del 1948, benissimo che sia oggi la scelta di Travaglio, se vuole. Oppure si schieri per la NATO, non attacchi chi lo fa. O ancora: se attaccato per essere putiniano spieghi perché non lo è e che c’è stato un errore. Forse l’Italia dovrebbe essere più chiara. O no?

Qui però bisogna fare i conti anche con l’Italia. Allora il paese era diviso brutalmente in classi sociali a compartimenti stagni. L’Urss e il sogno comunista erano per tanti miserabili un orizzonte di riscatto. Ricordo da ragazzo, negli anni ’70 a Taranto, il portinaio del mio amico e vicino di casa Giancarlo De Cataldo che era tanto nobilmente filo sovietico da tifare Urss nelle partite di calcio Italia-Urss.

Oggi il putinianesimo italiano pare spinto spesso da motivi meno eleganti: che gli ucraini si arrendano e paghiamo di meno gas e pane; i russi ci portano tanti affari; che ce ne frega di un paese di badanti e “signorine allegre”? Ci sono anche argomentazioni più alte, di vera o presunta ispirazione papale: dobbiamo costruire ponti, non fare muri.

Cioè alcune argomentazioni paiono la versione moderna del vecchio pagnottismo italiano sottolineata da recriminazioni (forse superficiali?) contro la tirannica burocrazia europea, gli americani che non ci danno soldi e “che vogliono più?” Ma questi pensieri più o meno palesi forse dovrebbero essere riconsiderati. Se anche la Cina cerca di allontanarsi da questa ombra di Putin che cosa vuol dire per il futuro del mondo e dell’Italia? Dove è davvero la pagnotta?

Inoltre costruire ponti. Ah! Essi si costruiscono, dall’antichità partendo da una sponda del fiume non sospesi in mezzo al vuoto. Un tempo, qualcuno lanciava una freccia che era raccolta dall’altra parte. Alla freccia era legata una corda leggera a cui era attaccata una corda più pesante e che poi tirava lentamente dall’altra parte tutta l’architettura del ponte.

Ma da destra o da sinistra si doveva partire con i piedi saldamente fissati su una sponda. Su che sponda sono gli aspiranti pontieri italiani?

Il papa, slegato da interessi politici o economici, deve vivere in uno stato quasi “meta-geopolitico” ma gli altri, legati alla realtà della propria geografia e politica, non possono farlo. Tantomeno l’Italia con una geografia e una storia così delicata, tanto più importanti quando arriva la guerra e il paese è spaccato.

 

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