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Una nuova Helsinki per l’Europa. Parla Cuperlo (Pd)

Adesso il tema è come ricostruire un primato della pace, del dialogo e della cooperazione in un’Europa che finalmente riesca ad assumersi la responsabilità di un suo sistema di difesa e al contempo ricostruisca un rapporto con la Russia oltre la logica del neo-nazionalismo di Putin. Intervista a Gianni Cuperlo, membro della Direzione Nazionale del Partito Democratico e presidente della Fondazione Pd

Alla resistenza ucraina (variabile non prevista dal Cremlino) è necessario aggiungere una risposta netta e decisa da parte dell’Occidente. L’isolamento internazionale e le sanzioni sono un modo per esercitare una pressione su Mosca, ma disarmo e cooperazione siano la nostra identità per il futuro. La Cina? Ricordiamo la “Nuova Era” lanciata con Putin. Intervista di Formiche.net a Gianni Cuperlo, membro della Direzione Nazionale del Partito Democratico e presidente della Fondazione Pd.

Come giudica la posizione del Partito Democratico sulla aggressione russa dell’Ucraina? La trova eccessivamente “interventista”?

Penso che si debbano giudicare i fatti e la premessa è nell’atto sciagurato di invadere militarmente un paese sovrano. Putin ha la responsabilità di una guerra che ha già prodotto centinaia, forse migliaia, di vittime tra i civili. Ha dato ordine di bombardare centri abitati e sconvolto la vita di milioni di persone, in parte sfollati, in parte in fuga da un paese precipitato nell’incubo peggiore.

Dinanzi a questa follia l’Ucraina – il popolo e il governo ucraini – hanno reagito e mostrato una volontà e capacità di resistenza che il Cremlino con ogni probabilità non aveva messo nel conto. Forse il calcolo di Mosca puntava anche sul sostanziale silenzio dell’Europa perché troppo dipendente dalle forniture di gas russo, ma pure quella previsione si è rivelata sbagliata. La risposta delle cancellerie europee e di Bruxelles è stata netta e si è tradotta nell’annuncio di sanzioni severe e di un pieno sostegno alla lotta di resistenza di Kiev e del suo legittimo presidente. Stiamo parlando di un conflitto in atto, vuol dire distruzioni, violenze, morti.

Se questa è la fotografia per come si presenta adesso, mentre ne stiamo parlando, la posizione del Partito Democratico, al pari praticamente di tutto il Parlamento, è stata la sola risposta possibile in un contesto di assoluta eccezionalità. Poi si può e si deve discutere di tutto. Di come per anni l’Europa ha sottovalutato o pensato di soprassedere in nome di interessi economici e politici al regime di Putin, all’uccisione dei suoi principali oppositori, a un Paese retto dal patto tra il presidente, l’esercito e la rete di oligarchie che controlla lo Stato.

L’annessione della Crimea risale al 2014, ma da allora la percentuale di gas russo nel fabbisogno europeo è passata dal 30 al 44 per cento e l’Italia nel 2015 ha venduto armamenti a Mosca nonostante fosse già in vigore l’embargo. Potremmo anche discutere, e a lungo, sulla situazione interna all’Ucraina o sulle milizie di chiara ispirazione neofascista, se non peggio, che albergano tuttora nelle forze armate di quel Paese. Ma ho detto che si deve partire dai fatti perché oggi siamo di fronte a una condizione oggettiva che vede un Paese aggressore, la Russia, e uno aggredito, l’Ucraina. Scegliere da che parte stare non è un dettaglio, è semplicemente un dovere.

Qual è la sua opinione riguardo le sanzioni inferte a Mosca?

Le sanzioni vanno nella direzione di indebolire Putin agendo anche all’interno della Russia. L’isolamento internazionale ha questa finalità, esercitare una pressione a più livelli e su più fronti per costringere Mosca a tornare sui propri passi. Colpire la Russia sul fronte finanziario rientra in questo piano. Dobbiamo sapere che questa scelta comporterà dei sacrifici per l’Europa, e per noi e la Germania in modo particolare, ma la difesa dei nostri principi comporta un costo ed è giusto sostenerlo. Per altro non parliamo solo di gas: noi comperiamo dalla Russia grano e non solo.

Quanto all’esclusione della Russia dallo Swift, il sistema di pagamenti internazionali, va detto che Mosca si prepara a questa eventualità dal 2014 avendo creato dei circuiti alternativi di pagamento.

Uno di questi (lo Spes) nel 2021 ha intermediato tredici milioni di messaggi tra 400 operatori finanziari aderenti al sistema per un totale del 20 per cento dei trasferimenti nazionali, il tutto senza dimenticare che potrebbero appoggiarsi al sistema interbancario cinese che ha utenti in oltre cento Paesi. Insomma, bisogna pigiare contemporaneamente più tasti contando anche sul fatto che i segnali di una opposizione interna si sono manifestati persino in questi giorni drammatici, penso alle manifestazioni in diverse città e purtroppo alla nuova ondata repressiva di arresti.

Quello che appare evidente è che Putin, all’interno e all’esterno, ha incontrato molte più difficoltà e ostacoli di quanti non immaginasse.

E cosa pensa dell’invio da parte dell’Italia di materiale bellico ai resistenti ucraini?

Il capitolo delle armi va affrontato con una premessa diversa, personalmente nutro i dubbi di chiunque sulla scelta di percorrere questa strada, ma ancora una volta è giusto ragionare sul merito. Esiste un diritto-dovere ad agire per impedire che l’aggressore (di un popolo, una comunità, una nazione) persegua il suo obiettivo sopprimendo migliaia di vite? A Srebrenica, luglio del 1995, i caschi blu rimasti a presidiare l’enclave fecero appello alla Nato affinché intervenisse dal cielo per dissuadere le truppe serbe del generale Mladic dal completare l’opera di devastazione e sterminio. L’Occidente non reagì e laggiù si consumò il genocidio di ottomila maschi musulmani bosniaci.

In quel contesto un’azione militare avrebbe potuto e dovuto impedirlo? Io rispondo di sì e quella rimane una macchia scura sulla coscienza di noi europei. E oggi? Come si deve reagire all’invasione russa dell’Ucraina e alle violenze che comporta? La posizione di chi dice che mandare delle armi non può che alimentare la spirale della guerra e che la sola via è insistere per una ripresa della trattativa magari favorendo una forza di interposizione sul terreno è giustissima in linea di principio. Mi interrogo sulla sua efficacia nell’immediato e sulla sua praticabilità. Cioè ancora una volta mi chiedo se e come noi – noi europei, noi occidentali, con tutto il carico delle nostre ambiguità – se noi non dobbiamo aderire alla richiesta che il governo e il popolo aggrediti ci rivolgono, di un sostegno anche sul piano operativo e degli strumenti di difesa e reazione all’invasione in atto.

Abbiamo fatto una scelta: colpire Putin sul fronte finanziario (vedremo gli effetti), garantire assistenza medico-sanitaria, accogliere i profughi e, infine, corrispondere alla richiesta del governo ucraino per un sostegno militare. Con due punti da presidiare: capire a chi quelle forniture finiranno perché il pericolo è che aiutino formazioni filofasciste incistate nelle forze ucraine, ma soprattutto non fare di una scelta obbligata da uno stato di eccezionalità la base per un piano strategico di riarmo che ci farebbe precipitare in un passato dal quale ci siamo affrancati con fatica. Insomma, al netto dell’emergenza di ora, il sentiero rimane quello di un continente che fa di pace, disarmo, cooperazione, non l’eccezione, ma la nostra identità per il futuro.

Il ministro Wang Yi dopo aver deplorato lo scoppio del conflitto,  trasforma quel “deplora” in sfumature verso il basso: “La Cina lamenta”, “è profondamente addolorata”. L’Ucraina confida molto nel ruolo della Cina come “potenza mediatrice” per ottenere il cessate il fuoco dai russi. Come interpreta la posizione di Pechino?

L’avvicinamento tra Mosca e Pechino è un altro dato della realtà che non si può ignorare o ridurre nella sua portata. Il 4 febbraio di quest’anno Putin e Xi Jinping hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta dove si evocava l’inizio di una “Nuova era” nella quale non sarebbe stata più determinante la “democrazia dell’Occidente” ma ogni nazione avrebbe potuto scegliere “forme e metodi di attuazione della democrazia che meglio si adattano al loro stato”. Lo cito solo come un altro segnale della complessità della geopolitica e dei nuovi equilibri che si vanno definendo. Da questo punto di vista la domanda è se l’Europa poteva fare di più contro il nuovo nazionalismo di Mosca.

Forse sì, fin da Gorbaciov la Russia avrebbe dovuto essere aiutata a stringere un rapporto più solido con l’Europa anche per il legame storico e culturale con noi. C’è chi evocò la necessità di un Piano Marshall e invece negli anni sono aumentate la povertà e la criminalità economica. Putin col suo nazionalismo-autoritarismo vorrebbe restituire alla Russia il ruolo di grande potenza esibendo il volto del riscatto. Va sconfitto in questa sua visione distorta, ma bisogna anche recuperare la Russia a una diversa prospettiva storica e strategica.

L’Ucraina scalpita per entrare nella famiglia europea. Ursula von der Leyen ha risposto positivamente al desiderio di Kiev. Lei cosa ne pensa? Non teme che questa apertura possa inasprire ulteriormente le tensioni?

Come ho detto, penso che nell’immediato l’obiettivo sia raggiungere una tregua e riaprire il canale della trattativa. Ogni strumento di pressione su Mosca che abbia questo come traguardo va incoraggiato. Sul punto specifico, chiarito una volta di più che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato non era all’ordine del giorno, l’invasione di quel Paese segna nei fatti uno spartiacque nella stessa nozione di sicurezza per come l’abbiamo ereditata dal “secolo breve”. C’è un “prima” e un “dopo” in questa vicenda e in quel “dopo” non può che porsi il tema di come ricostruire un primato della pace, del dialogo e della cooperazione in un’Europa che finalmente si assuma la responsabilità di un suo sistema di difesa e al contempo ricostruisca un rapporto con la Russia oltre la logica del neo-nazionalismo di Putin. Si apre una fase nuova della nostra storia comune e la scelta, al netto dell’emergenza di questi giorni e di una tragedia che speriamo termini presto, è quella di una nuova Helsinki, non di un’altra Guerra fredda fuori tempo.

Per concludere, l’Università Bicocca ha deciso di rinviare il corso di Paolo Nori su Dostoevskij, al fine di “evitare qualsiasi forma di polemica, soprattutto interna, in questo momento di forte tensione”. Si può considerare una forma di censura? Cosa ne pensa?

Per fortuna l’assurdità di quella misura ha fatto in pochi minuti il giro della Rete e l’università stessa ha ripristinato il corso (ma Paolo Nori ha deciso di non proseguirlo, ndr). Resta l’episodio in sé, sintomo di quanto un vuoto di pensiero critico possa condurre a forme paradossali di rimozione della storia e della realtà, purtroppo sino a sfociare nel ridicolo. Invece, in questa vicenda che stiamo vivendo tutti con angoscia, di ridicolo non c’è proprio nulla.

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