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C’è da fidarsi della ritirata di Putin?

Attenzione a parlare di pace e ritirata: Washington e Londra (che finora non si sono mai sbagliate) avvertono che i russi potrebbero solo riorganizzare le forze davanti alle difficoltà. E nemmeno Zelensky si fida

C’è uno strano clima attorno alla guerra che Vladimir Putin ha iniziato in Ucraina: sembra come se la pace sia nell’aria, complice anche la percezione che la Turchia sta facendo circolare sul round negoziale che ospita a Istanbul. È proprio davanti a tutto questo che lo scetticismo è d’obbligo, come ha spiegato il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken: stiamo aspettando da Mosca “un segnale serio”, perché finora non se ne sono visti. Dose rincarata dall’ucraino Volodymyr Zelensky: “Sì, possiamo chiamare positivi i segnali che sentiamo dalla piattaforma negoziale, ma questi segnali non fanno tacere l’esplosione delle granate russe”.

Gli ufficiali del Pentagono fanno a gara per dire ai media — anonimamente, come accaduto in modo costante, sia ai tempi dell’ammassamento di truppe ai confini, sia adesso nella guerra, ma mai smentiti dai fatti finora — che ci sono segnali di un allentamento russo, ma non c’è da fidarsi troppo. I finti ritiri sono una tattica di Mosca già dall’epoca sovietica. Per Washington, l’annuncio del ministero della Difesa russa di un “drastico” alleggerimento delle operazioni su Kiev e sul Nord coincide più che altro con una necessità. L’intelligence inglese conferma un arretramento in Bielorussia, ma spiega che si tratterebbe di una mossa finalizzata a ricevere rinforzi.

Gli ufficiali del Cremlino hanno bisogno di riorganizzare i reparti, d’altronde. Ci sono state molte perdite, la catena logistica — che con i rifornimenti di ogni genere normalmente è il polmone di un’avanzata — in questa invasione è stata spezzata. Agli aggressori manca materiale, dalle munizioni alle tende per accamparsi, e c’è perfino carenza di cibo. Ci sono state vittime e feriti, e sono fattori complicati da gestire (suoi morti c’è una dura polemica perché pare che diversi siano stati abbandonati sul campo di battaglia, problema nel problema per Putin).

Mosca ha annunciato, anche per dar prova di essere ben intenzionata ai tavoli delle trattative, di volersi concentrare solo sul Donbas, la regione orientale che da anni è occupata dalla lotta dei separatisti filorussi. È evidente che l’interesse sia quello di conquistare più territorio possibile per poi trattare da una posizione di vantaggio. Putin sente il tic-tac, che voglia chiudere i conti entro la Festa della Vittoria (9 maggio) o meno, il tempo non è dalla sua parte. Più passano i giorni e più quella che chiama una “operazione militare speciale” diventa più difficile da raccontare e far digerire ai suoi cittadini.

A proposito di tempi stretti e necessaria riorganizzazione, sempre stando all’intelligence inglese nel Donbas sarebbero arrivati mille mercenari del Wagner Group. La loro attività dovrebbe estendersi anche a Kharkiv, che potrebbe tornare il centro degli assalti. Mentre più a sud, sul mare, a Mariupol, la furia dell’attacco continua a essere sanguinosa: ci sono migliaia di persone intrappolate nel centro della città, dove l’esercito ucraino prova a esistere all’accerchiamento guidato dai miliziani ceceni.

Questi ultimi e la Wagner stanno assumendo un ruolo via via più importante, anche per le forme che il conflitto sta prendendo: combattimenti su scala più ristretta, anche urbani, anche più violenti. Inoltre le linee dei regolari hanno sofferto crisi di efficacia, organizzazione, capacità: i mercenari sono un ricambio (pericoloso ma accettabile). Emblematico che Ramzan Kadyrov, “il macellaio” leader ceceno, sia stato nominato ufficiale di alto rango delle Forze armate russe — lui che di quelle forze armate non fa parte, ossia un capo miliziano straniero ha scavalcato di colpo tutta la gerarchizzazione interna dell’ex Armata Rossa.

L’orientamento a est dell’attacco è certamente segno di debolezza: che sia riorganizzazione o ridimensionamento degli obbiettivi arriva perché i russi non sono riusciti a sfondare a Kiev. Anzi: a Irpin, Bucha, Hostomel, città dell’hinterland di Kiev, hanno subito controffensive. Di per sé l’alleggerimento sul fronte settentrionale attorno alla capitale potrebbe non essere male per gli ucraini, in quanto potrebbe permettere un passaggio conseguente: spostarsi a loro volta verso il fronte orientale e concentrarsi lì. Ma non c’è da fidarsi, possibile sia una finta come detto. E inoltre i russi per evitare di subire una contromossa tattica hanno preso di mira i depositi di carburante in tutto il Paese: lasciano a secco i militari, e contemporaneamente peggiorano le condizioni di vita dei civili.

In questa nuova fase in corso vanno segnalati anche due sabotaggi interessanti. Il primo ha messo parzialmente fuori uso un tratto di rete ferroviaria bielorussa, già colpita perché è la linea dei rifornimenti russi: potrebbero essere gruppi organizzati dell’opposizione locale (d’altronde il regime di Aleksander Lukashenko è intrecciato con quello putiniano e in lotta contro i pro-democrazia, e questo potrebbe essere ciò che ne consegue). Il secondo a Belgorod, nell’oblast russo che confina col Donbas, dove una polveriera dell’esercito è saltata in aria — i russi dicono “un incidente”, ma potrebbe trattarsi di un’incursione delle forze speciali ucraine, che hanno presumibilmente condotto operazioni in Russia negli ultimi anni, (va comunque considerato che recentemente ci sono state diverse esplosioni nei depositi di munizioni russi a causa di standard di sicurezza lassisti e della catena di corruzione che comporta manutenzioni di pessimo livello).

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