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Quel silenzio dei marchi di lusso italiani sull’Ucraina

Ucraina, quel silenzio dei grandi marchi del lusso

Nessuna traccia di riferimenti all’invasione russa sui profili social del lusso (Prada, Tod’s, Ferragamo) e dell’automotive (Stellantis e dintorni), normalmente inclini a pubblicare manifestazioni di solidarietà. L’inazione di alcuni brand diventa più evidente man mano che le più grandi aziende (dell’energia e del tech) si allontanano da Mosca, e Instagram si popola di video della guerra

Vladimir Putin ha dato il via all’invasione dell’Ucraina nel pieno svolgimento della Settimana della moda di Milano. Non sono mancate le iniziative personali di alcuni lavoratori del settore, influencer e partecipanti, ed è spiccata la scelta di Giorgio Armani di non utilizzare alcun tipo di musica come sottofondo per le sfilate “in segno di rispetto per tutte le persone coinvolte nella tragedia in corso in Ucraina”.

Si registrano anche le parole di costernazione di Carlo Capasa, presidente della Camera nazionale della moda italiana, all’indomani dell’attacco. “Dobbiamo andare avanti perché non possiamo dimenticare che ci sono un milione e 200 mila lavoratori della moda solo in Italia”, ha detto. Attorno, il silenzio assordante dei grandi marchi del lusso italiani.

Secondo l’ente guidato da Capasa, il Bel Paese è il secondo fornitore di moda e accessori in Russia. Oltre 11 mila aziende vendono ai clienti russi, e di recente l’ambasciatore italiano a Mosca Giorgio Starace ha annunciato che nel 2021 l’export di moda italiana verso la Russia era aumentato del 24%, raggiungendo il valore di 1,3 miliardi all’anno.

Va detto che l’industria della moda, in lenta ripresa dopo due anni di pandemia e soffocata (come altre) dai costi di energia, materie prime e inflazione, sta subendo un durissimo contraccolpo economico per via delle sanzioni occidentali contro la Russia. Ma va anche detto che il settore del lusso è stato escluso da dette sanzioni, almeno quelle europee, al pari del settore energetico. Insomma, oggi è più difficile per un russo comprare dei mocassini italiani, ma non impossibile. Anche nel caso degli oligarchi sanzionati.

Forse è per mantenere questo fragile equilibrio che la gran parte delle grandi aziende del lusso italiane non ha aperto bocca sulla questione ucraina, a una settimana dall’inizio dell’invasione. Né con le comunicazioni corporate, né attraverso i profili social dei gruppi e quelli dei loro marchi. Nonostante l’attivismo social dei brand, specie in Occidente, sia sempre più diffuso e frequente, e non si contino negli ultimi anni le loro prese di posizione su battaglie civili.

Evidentemente i missili russi che cadono sulle città ucraine appartengono a un’altra categoria, anche se la miriade di commenti sotto i post dell’ultima settimana sono pieni di bandiere ucraine e hashtag come #StandWithUkraine. Formiche.net ha contattato gli uffici di alcuni tra i principali brand italiani – Prada, Tod’s, Salvatore Ferragamo – per chiedere delucidazioni. In particolare, se ci fossero direttive sulla comunicazione social riguardo all’invasione russa dell’Ucraina. Nessuno di questi si è reso disponibile per rispondere.

La nostra testata ha contattato anche Stellantis, la holding automobilistica (italiana e non solo) che conta marchi di prestigio – tra cui Maserati – i cui profili social sono silenziosi sulla questione ucraina. Contattato durante la presentazione del nuovo piano strategico, un responsabile della comunicazione ci ha indirizzati verso la posizione ufficiale, emersa all’evento e pubblicata su Twitter, ove l’azienda condanna “ogni tipo di violenza e aggressione” e assicura che applicherà tutte le sanzioni “a prescindere dalle ripercussioni sul business”. Eppure nulla del genere appare sui ben più seguiti profili su Instagram.

Resta da vedere se il mondo del lusso saprà resistere alla pressione crescente delle società civili occidentali. In un mondo in cui aumentano ogni giorno le società che si allontanano dagli affari in Russia – da compagnie Big Tech come Apple e Google a quelle di spedizioni e trasporti Maersk e Msc, passando per diverse major energetiche, Eni inclusa – evitare di schierarsi può avere effetti sempre più deleteri sulla percezione pubblica.

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