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Aerei da guerra e adesione. I temi che dividono l’Europa sull’Ucraina

La richiesta di Zelensky di entrare nel club divide von der Leyen e Michel ma anche Paesi centro-orientali e “vecchio” blocco. Intanto, l’invio di aerei da combattimenti viene frenato da alcune capitali. Ecco perché 

Domenica la Commissione europea annunciava la decisione di aiutare militarmente l’Ucraina. Un “momento storico”, aveva detto Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e di sicurezza comune, sottolineando “la prima volta nella storia” in cui l’Unione europea “finanzia l’acquisto di armi”, “una reazione che nessuno si aspettava, a partire dai russi”.

Lunedì il Parlamento ucraino ha spiegato via Twitter che gli aerei da combattimento attesi dall’Unione europea sono 70, dei modelli che gli ufficiali ucraini sono in grado di pilotare: 28 MiG-29 dalla Polonia, 12 dalla Slovacchia e 16 dalla Bulgaria, oltre a 14 Su-25 sempre dalla Bulgaria. Ma la risposta di tutti e tre i Paesi coinvolti è stata negativa – almeno per ora.

Pesano, in particolare per la Bulgaria, i profondi legami con la Russia. Ma non soltanto. Ci sono problemi di natura logistico-militare. Gli aerei andrebbero portati per via aerea all’Ucraina, Paese in guerra. Che cosa accadrebbe se la Russia dovesse abbatterne uno “scambiandolo” per velivolo ucraino? Tutti e tre i Paesi, infatti, sono membri della Nato e una simile aggressione potrebbe far scattare l’articolo 5 sulla mutua assistenza in caso di aggressione e far precipitare il conflitto in una dimensione globale.

A mettere ulteriormente in risalto le differenze all’interno dell’Unione europea è stata anche la domanda di adesione firmata dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che ha chiesto a Bruxelles di accelerare con una nuova procedura semplificata.

L’ha fatto scommettendo su quanto dichiarato poche ore prima Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea (e prima ministra della Difesa tedesca con la cancelliera Angela Merkel), a Euronews: “L’Ucraina è una di noi e la vogliamo dentro” l’Unione.

Ma a stretto giro è arrivato l’altolà di Charles Michel, presidente del Consiglio europeo: ci sono “diverse opinioni e sensibilità” tra i membri dell’Unione europea sull’adesione dell’Ucraina, ha detto. Poi ha precisato le procedure sottolineando come sia il suo organo ad avere l’ultima parola: “L’Ucraina presenterà una richiesta ufficiale, la Commissione europea dovrà esprimere un parere ufficiale e il Consiglio deciderà”.

Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia hanno chiesto di concedere all’Ucraina “una prospettiva di adesione immediata all’Unione europea”. Ma alcuni Stati membri hanno tirato il freno, ricordando come, prima della guerra, l’Ucraina era percepita come un Paese che aveva bisogno di riforme democratiche e lotta alla corruzione come prerequisito per l’avvio dei colloquio di adesione.

Più prudente è la “vecchia” Europa. La ministra degli Esteri tedesco Annalena Baerbock ha ricordato che ci sono altri Paesi, nei Balcani occidentali, che hanno già compiuto passi importanti. La più diretta è stata la Francia: “dovremmo stare attenti a non fare promesse che non possiamo mantenere”, ha fatto sapere l’Eliseo. Su questo tema, il presidente del Consiglio Mario Draghi non si è espresso parlando in Senato, seppur la posizione italiana è attesa in linea con quella franco-tedesca.

Ma le dichiarazioni che forse meglio esprimono il sentimento che regna in queste ore a Bruxelles sull’adesione dell’Ucraina sono quelle del primo ministro olandese Mark Rutte: non è “una buona discussione” da affrontare in questo momento, cioè in cui è urgente coordinare gli aiuti perché la priorità è la difesa dell’Ucraina.

La ragione è semplice: non si può avere l’Ucraina nell’Unione europea, senza avere l’Ucraina.

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