Gli ultimi dieci giorni, marchiati dall’invasione russa in Ucraina, non hanno cambiato il mondo: lo hanno svegliato. Ecco le otto lezioni all’Europa (e a noi) di Zelensky e del suo popolo. Il commento di Giuseppe Pennisi
Gli ultimi dieci giorni non hanno cambiato il mondo ma lo hanno svegliato. In primo luogo hanno ricordato a tutti coloro che lo avessero dimenticato che –come abbiamo già scritto su questa testata – la caduta del muro di Berlino non è stata la fine della storia e la vittoria della liberal democrazia.
Al contrario, la guerra fredda è continuata e sta diventando calda; anzi la caduta del muro di Berlino, l’ampliamento dell’Unione europea (Ue) ad Est sino ad inglobare numerosi Paesi che facevano parte del blocco comunista e del Patto di Varsavia (un’alleanza “difensiva” che è stata utilizzata unicamente due volte per aggradire due suoi Stati membri: l’Ungheria nel 1956 e la Cecoslovacchia nel 1968) hanno creato risentimento, rabbia e revanscismo in quello che era stato l’ex Impero Sovietico, costruito sulle ceneri dell’ex Impero Zarista.
In secondo luogo, l’atroce aggressione all’Ucraina, e la pretesa di imporre un “protettorato” su Finlandia e Svezia, ci hanno rammentato quanto siano profondi questo risentimento, questa rabbia e questo revanscismo nutrano e come non possano essere affrontati unicamente o principalmente con misure di breve o medio periodo. La prima è restituire in quei Paesi quella libertà d’informazione, da lustri soppressa.
In terzo luogo, gli ucraini devono essere i nostri docenti ed ispiratori. Stanno combattendo una battaglia impari nei confronti di un aggressore armatissimo e che ha minacciato la guerra nucleare in caso il mondo delle democrazie occidentali scenda attivamente a loro supporto. Stanno mettendo a repentaglio le loro vite per poter fruire di quelle libertà democratiche che noi, usi da decenne a fruirne, ormai diamo per scontate. Mentre vanno difese ogni giorno, ogni ora, ogni minuto.
In quarto luogo, abbiamo visto numerosi ucraini che vivevano in modo confortevole all’estero, tornare in Patria per prendere un fucile e rendersi utili, con la forte probabilità di morire combattemdo in difesa del loro Paese e dei loro concittadini in nome dei principi liberal democratici.
In quinto luogo, abbiamo ritrovato quel senso di leadership che in Europa ed America sembrava da qualche tempo smarrito. Lo abbiamo visto in Volodymyr Zelensky, a lungo considerato un attore comico finito per caso in politica: è diventato un poche ore il gigante che in un bunker e con una maglietta verde fa tremare Vladimir Putin ed i gerarchi e gli oligarchi che lo circondano.
In pochi giorni, ha rivitalizzato il presidente degli Stati Uniti Joe Biden che sembrava vecchio ed appassito, ha dato una scossa al cancelliere tedesco Olaf Scholz, nonché al presidente francese Emmanuel Macron ed al primo ministro Giapponese Fumio Kishida che sembravano avviluppati in problemi di politica interna e poco attenti al quadro internazionale.
In sesto luogo, si è visto come leadership si coniughi perfettamente con patriottismo, termine a cui viene data una connotazione dispregiativa. La leadership di Zelensky è animata da patriottismo così come la discesa in campo dei suoi concittadini. La ritrovata leadership di Biden, Macron, Scholz è animata da quel “patriottismo atlantico” che sembrava essere scomparso alcuni decenni fa e che ora sembra finalmente tornato di attualità, unitamente con una maggiore compattezza nell’Ue e nella Comunità atlantica. Gli ucraini ci insegnano ogni giorno, ogni ora ed ogni minuto quale è il significato di patriottismo sia a livello nazionale sia a livello di Unione e Comunità internazionale in cui si condividono gli stessi valori.
In settimo luogo, la stessa di solito sonnolente assemblea generale delle Nazioni Unite si è svegliata ed ha condannato a larghissima maggioranza la crudele aggressione. Speriamo sia un segno di un rilancio della funzione delle Nazioni Unite di impedire aggressioni di Stati indipendenti e se possibile espellere dal consesso chi le mette in pratica.
In ottavo luogo, i dieci giorni hanno ricordato a tutti che non c’è una via di mezzo tra liberal democrazia e totalitarismo. Il secondo ha il volto di Putin, dei suoi gerarchi e dei suoi oligarchi. A coloro che dando prova di infantilismo, sono scesi in piazza per proclamare che non stanno né con la Nato né con Putin, suggerisco di andare di corsa ad arruolarsi nella Wagner (la truppa mercenaria del despota russo) come hanno già fatto una sessantina di italiani. La liberal democrazia non è fatta per loro.