Zelensky si conferma un abile comunicatore, capace di affermarsi, nel discorso italiano, come leader non divisivo (un tempo avremmo detto “di buon senso”) e calibrando abilmente la forza di immagini drammatiche (come il numero di bambini morti) che mostrano quanto siano brutali le devastazioni conseguenti all’invasione russa. L’analisi di Martina Carone, YouTrend e Università di Padova
Alle 11:03 appare sugli schermi di Montecitorio che ben conosciamo, quelli per la conta dei voti: inquadrato da Kiev, seduto alla sua scrivania, indossando la maglia che abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare. Un leader, Zelensky, nel pieno delle sue funzioni operative. Un primus inter pares, dove per pares il presidente ucraino non intende solo i suoi cittadini, il suo Paese, ma gli europei e l’Europa tutta, un simbolo di pace, sicurezza e diritti.
Zelensky si conferma un abile comunicatore, capace di affermarsi, nel discorso italiano, come leader non divisivo (un tempo avremmo detto “di buon senso”) e calibrando abilmente la forza di immagini drammatiche (come il numero di bambini morti) che mostrano quanto siano brutali le devastazioni conseguenti all’invasione russa. Richiamando esplicitamente il contrasto tra alcune città italiane (Roma, Firenze e Genova), così belle e pacifiche, e le città ucraine martoriate, ieri altrettanto belle e pacifiche, oggi distrutte dalla guerra. Un passaggio che fa emergere come i veri interlocutori di questo intervento non siano stati i parlamentari e le istituzioni, ma i cittadini italiani.
Soprattutto, Zelensky compie una scelta interessante personalizzando lo scontro e catalizzando l’attenzione sul profilo personale di Putin, che pure non nomina mai per nome, definendo questa guerra come “preparata da anni e voluta da una sola persona”. Non richiede mai esplicitamente interventi, e cerca invece di porsi come leader (europeo) parlando dell’Ucraina come “cancello d’Europa” e interpretando l’invasione russa come un attacco al sistema valoriale europeo.
Nei giorni scorsi in molti si sono chiesti che tipo di richiamo alla nostra storia nazionale avrebbe fatto Zelensky nel suo discorso, seguendo lo schema degli interventi in Germania, Stati Uniti e Israele. Ma stavolta il presidente ucraino ci stupisce, non facendone alcuno. Memore della leggera “gaffe” sulla Shoah, probabilmente consapevole di come in Italia la Resistenza sia (purtroppo) un patrimonio culturale meno condiviso di quanto dovrebbe, decide invece di enfatizzare il carico emotivo del suo discorso.
Il sound bite forte della giornata proviene invece da Mario Draghi, che nel suo discorso di replica afferma nettamente che l’Italia “vuole” (non “auspica”, non “lavorerà per”) l’Ucraina nell’Unione europea, che “tutti gli italiani” sono al fianco dell’Ucraina. Quest’ultima affermazione è, tecnicamente, inesatta: il sostegno all’Ucraina e la condanna alla Russia sono largamente maggioritari, questo sì, ma non unanimi (un sondaggio Swg registra un 79% di italiani su questa posizione); mentre l’ingresso dell’Ucraina nella Ue è tema ancor più divisivo (solo il 45% degli italiani secondo Swg).
Non si tratta di questione di lana caprina, ma di metodo: siamo stati abituati a pensare a Mario Draghi come un leader tecnico, super partes, e invece il presidente del Consiglio, accogliendo il presidente ucraino, prende una posizione forte, non scontata, per certi versi inaspettata e che mette definitivamente a tacere le accuse di scarsa “risolutezza” contro la Russia che lo stesso presidente ucraino aveva, nelle prime fasi del conflitto, rivolto a Mario Draghi.