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Le aspirazioni di Mosca tra commercio e basi militari

port sudan

Disporre di un punto di appoggio nella parte orientale del continente africano è per la Russia una possibilità per stabilire legami commerciali e di cooperazione militare con i Paesi dell’area. La notizia di questi ultimi anni è il tentativo russo di acquisizione di Port Sudan. Le ragioni strategiche delle mosse russe nell’analisi dell’ammiraglio Sanfelice di Monteforte

*Questo articolo è apparso sul numero di aprile 2022 della rivista Formiche

Come scrive Spykman nel suo America’s strategy in world politics, una delle più importanti caratteristiche dell’Africa è che “le più importanti linee di comunicazione sono le rotte marittime lungo le coste occidentali e orientali del continente”. La rotta orientale, la più usata per il commercio con il Mediterraneo, passa per il golfo di Aden, lo stretto di Bab-el-Mandeb, per proseguire attraverso il mar Rosso e raggiungere il canale di Suez o il golfo di Aqaba. Il mar Rosso è lungo e stretto.

Il suo asse maggiore, in direzione nord-ovest/sud-est, è di 1930 chilometri, mentre la larghezza massima del bacino è di 360 chilometri. Non si è mai trattato, come sottolineava Coutau-Bégarie in Géostratégie de l’océan Indien, di un ambiente “accogliente per i navigatori: le rive (sono) ostili, montagnose e praticamente senza fiumi e quindi senza acqua dolce facilmente accessibile, senza legno per le costruzioni navali ed è praticamente privo di porti (naturali).

Solo Aden, Gibuti e Massaua possono accogliere navi d’altura”. A questo elenco di porti naturali vanno aggiunti quelli frutto dell’opera dell’uomo, almeno in parte, come Port Sudan, costruito dagli inglesi nel 1905 come base navale della Royal Navy, Aqaba, Eilat, i porti sauditi e yemeniti. La navigazione lungo l’asse maggiore del bacino, peraltro, è piuttosto complicata: vi sono infatti 379 isolette che lo costellano, dando luogo a vere e proprie strozzature (chokepoint), passaggi obbligati da percorrere a velocità ridotta, seguendo i percorsi fissati per la canalizzazione del traffico ed esponendosi quindi agli attacchi dei pirati.

Se sul piano della navigazione il mar Rosso presenta difficoltà non secondarie, le cose non vanno meglio sul piano geopolitico. Come avviene per i mari semi-chiusi, le dinamiche geopolitiche più intense sono quelle che riguardano le loro estremità. Al nord, oggi, il canale di Suez è tranquillo e nel golfo di Aqaba la pace è garantita dal controllo multinazionale dello stretto di Tiran, effettuato dai pattugliatori italiani della Mfo (Multinational force observers).

All’estremità meridionale, invece, la guerra tra i “ribelli” sciiti dello Yemen e la coalizione guidata dall’Arabia Saudita continua senza sosta dal 2015 ed è arrivata a coinvolgere, sia pure saltuariamente, il traffico marittimo in transito. La notizia di questi ultimi anni è il tentativo di acquisizione, a titolo di affitto, di Port Sudan da parte della Russia. L’accordo, siglato a fine 2020, non è però stato ancora ratificato, anche per le pressioni statunitensi.

La ragione strategica di questo passo fatto dal governo di Mosca appare essere duplice: da un lato, con questa acquisizione la Russia conquisterebbe una posizione fiancheggiante che insiste sul tratto finale della nuova Via della seta nel mar Rosso, come base di rifornimento; dall’altro costituisce una minaccia latente nei confronti del commercio internazionale.

In tal modo, infine, la Russia bilancerebbe la pur saltuaria presenza statunitense, che si appoggia normalmente ai porti di Eilath e di Aqaba. Ovviamente disporre nuovamente di un punto di appoggio nella parte orientale dell’Africa, è per la Russia una possibilità di stabilire legami commerciali e di cooperazione militare con i Paesi dell’area. Purtroppo per Mosca, il riavvicinamento tra il governo di Khartoum e quello di Washington sta mettendo in pericolo questa possibilità.

È comunque da vedere se il governo di Khartoum soddisferà le ambizioni russe di presenza nel mar Rosso, dopo l’invasione dell’Ucraina. Dopo le nazioni del golfo Persico, sospettate di sostenere l’integralismo islamico nel Corno d’Africa, la Cina negli ultimi anni ha riconquistato una propria influenza nel continente africano, malgrado le forti perdite umane, subite per opera dei gruppi d’insorti, contrari a questa penetrazione.

Il fatto che, a Gibuti, vi sia una pur piccola base di appoggio per la marina cinese è indicativo dall’interesse del governo di Pechino per l’area. In sintesi non solo l’area del mar Rosso può aggiungersi ai tratti pericolosi, già noti, della rotta commerciale tra l’Europa e l’Asia per il traffico marittimo intercontinentale – che è tra le maggiori fonti di benessere dell’occidente – ma essa sta diventando un’area di possibili conflitti tra le grandi potenze.

Noi occidentali, oltretutto, dimentichiamo spesso che, come sostenne Coutau-Bégarie “il mar Rosso, certamente più del golfo Persico, ha svolto il ruolo di cerniera tra l’occidente e l’Asia più volte nel corso della storia. Curiosamente, la sua importanza è stata raramente percepita”. Dobbiamo riallacciare rapporti di fiducia reciproca con i Paesi litoranei per esercitare, anche lì, il ruolo di moderatore che ci contraddistingue.

 


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