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La biografia dell’acqua in 10 ragioni. Il libro di Erasmo D’Angelis

Noi la osserviamo, ma in realtà è l’acqua che da sempre osserva noi, ed è nell’acqua che si rispecchia tutto, e riflette ciò che siamo, nel bene e soprattutto nel male. La biografia della principale risorsa nel libro di Erasmo D’Angelis, “Acque d’Italia” (Giunti editore, 430 pagine). L’introduzione del libro

“Una goccia d’acqua è una goccia d’acqua è una goccia d’acqua è una goccia d’acqua”, scriverebbe Gertrude Stein, per dire che anche l’acqua è ciò che è. Eppure nulla, come una goccia d’acqua, è solo una goccia d’acqua. Perché contiene la vita, monitora le condizioni dell’atmosfera e lo stato ecologico del pianeta e la nostra impronta sulla natura: è la provvidenziale macchina di regolazione termica e di mitigazione climatica che ci protegge dal peggio. Noi la osserviamo, ma in realtà è l’acqua che da sempre osserva noi, ed è nell’acqua che si rispecchia tutto, e riflette ciò che siamo, nel bene e soprattutto nel male: l’efficacia della macchina amministrativa, il rispetto della legalità, i valori comuni, il decoro urbano, l’orgoglio civico, le emozioni di uno spettacolo naturale senza fine. È questa meraviglia il primo dei perché che mi hanno spinto a raccontare la biografia dell’acqua, con le caratteristiche e la sorprendente varietà di forme della nostra sostanza principale, speciale, unica, diversa da ogni altra pur avendo la struttura molecolare più semplice di tutte.

Il secondo motivo è legato al primo, ed è per l’elogio alle copiose, favolose e leggendarie acque d’Italia, presenti in quantità inverosimili che sembrano un ricordo del tempo perduto, ma che hanno fatto la storia, la geografia, la cultura, e hanno modellato paesaggi, fondato civiltà e città universali. Un’epica e un’evoluzione che andrebbero narrate la sera ai nostri figli per farli addormentare sereni, perché se “c’era una volta”, c’è ancora quel Paese che ha avuto la fortuna di ereditare acque colme di miti, simboli, metafore, storie, poesia, filosofia, pensieri, sogni, emozioni, nostalgie, valori, estetica, habitat, popolate da una moltitudine di ninfe e divinità, e aggiungendo a questa pazzesca eredità quasi tremila anni di invenzioni, di ardite architetture, di magnifiche opere di ingegneria, di mirabolanti tecnologie e di incessante lavoro che le sono funzionali.

Il terzo motivo è nella natura dell’Italia, nata dalle primordiali acque dell’Oceano Mare come la più giovane terra della Terra, emersa come la Venere del Botticelli, che vive con le fondamenta nell’acqua e convive, in superficie, con la più ricca idrologia, che il mondo ci invidia. Noi italiani siamo beneficiati dal trionfo dello scroscio, con una media di 305 miliardi di m3 l’anno di acqua piovana, una dotazione record, superiore a quella di tutti gli altri Paesi dell’Unione e persino alle medie delle piovosissime Germania e Francia. Una quantità tale che ci vede detentori anche del record europeo di corsi d’acqua: ben 7.494, di varia lunghezza e dimensione, con 1.242 fiumi con una miriade di salti acrobatici da cascate mirabolanti e una gamma di problemi da gestire, poiché sono tutti abbastanza torrentizi. Abbiamo poi 347 laghi e 538 dighe con altrettanti laghi artificiali e oltre 20.000 deliziosi piccoli specchi d’acqua, e 1.053 falde che sotto i nostri monti custodiscono ampi serbatoi di acqua purissima. E ancora vette con ghiacciai e nevai ancora resistenti allo scioglimento da riscaldamento globale, lagune da sogno, stagni e persino paludi relitte, scrigni di biodiversità, a perenne ricordo di quando acquitrini e foreste pluviali occupavano quasi l’intera pianura nazionale costiera e interna. Siamo noi quel Paese unico, che racchiude in sé l’intera varietà delle forme dell’acqua della Terra, che ho provato a descrivere con tutto lo stupore possibile.

Il quarto motivo è per provare a ridurre l’autolesionistico lockdown dalle acque che ci caratterizza, la nostra assuefazione agli sprechi, agli abusi e a livelli inaccettabili di inquinamento e manomissioni ai quali ci siamo adattati come se fossero scontati. Non ci facciamo più caso, così come diamo sempre per scontata l’acqua che tanto scontata non è, e ce ne ricordiamo solo quando scorrono poche gocce o se manca al rubinetto, o quando ci sommerge riprendendosi semplicemente i suoi alvei occupati senza criterio. Mai davanti ai crimini efferati commessi contro la sua purezza, la sua bellezza, la sua libertà. Ogni goccia d’acqua, soprattutto in questi tempi di eccezione, va invece protetta con ogni mezzo, e ogni abuso andrebbe scovato e punito a furor di popolo.

Il quinto motivo è per provare a riportare a galla l’acqua scomparsa per l’indifferenza e la sottovalutazione anche da parte delle governance planetarie. Nel tempo fosco dei cambiamenti climatici, nonostante il 71% del pianeta sia l’azzurro dell’acqua e il 98% della vita sulla Terra sia presente nelle acque, nonostante l’acqua sia la prima front line di sconvolgenti mutamenti climatici, i “potenti” della Terra non solo non le dedicano un G20 o un G7, ma nemmeno uno speech nelle assise mondiali né un capitolo adeguato negli Accordi sul Clima nelle Conference of the Parties della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Nonostante l’acqua sia la nostra principale alleata nella battaglia climatica, è la grande assente nella visione globale degli equilibri climatici del pianeta. Eppure dà una mano alla nostra specie, quella che crede di essere la più intelligente, producendo oltre il 50% di ossigeno e assorbendo un terzo dell’anidride carbonica, e regolando il clima con correnti e maree. Sappiamo bene, poi, che l’acqua nel mondo non è uguale per tutti: carente o assente o inquinata, oggi fa più vittime delle guerre o degli incidenti stradali e innesca migrazioni bibliche. Per tutto questo non merita solo frasi di circostanza, silenzi, cinismo.

Il sesto motivo è nel paradosso di cui noi italiani siamo portatori insani, quello che fa di tante nostre crisi idriche solo crisi di infrastrutture idriche e non di scarsità di risorsa. Le particolari e sempre più prolungate siccità italiane ci sbattono in faccia piuttosto le insopportabili condizioni di sottosviluppo infrastrutturale, specie nel Mezzogiorno, dove la legge Galli del 1994, sulla gestione pubblica dell’acqua, e ogni successivo riordino sono rimasti lettera morta e dove i servizi idrici sono i peggiori. L’acqua, pur essendo strettamente dipendente dalle infrastrutture idriche, è da troppo tempo ai margini dei nostri investimenti pubblici, e il lavoro per le infrastrutture per poterla captare, immagazzinare, trasportare, distribuire e depurare trova ostacoli nella demagogia e negli equivoci che alimentano una gran confusione tra acqua e tubi da posare e sostituire, tra gestioni industriali pubbliche e “privati approfittatori”, tra investimenti di gestioni attente e responsabili e “biechi profitti”, co- me se l’acqua fosse un bene da gestire senza costi e con una bacchetta magica si potessero risolvere i problemi.

Troppe false verità hanno lasciato una scia di disinteresse colpevole, alibi a non finire, la vergogna di essere largamente primi nelle classifiche europee di sprechi e dispersioni dell’acqua, con criticità medievali, che hanno prodotto finora ben quattro procedure di infrazione per la mancata o inadeguata attuazione della direttiva europea sul trattamento delle acque reflue urbane, la mitologica depurazione assente o insufficiente ancora in 939 agglomerati urbani, cioè circa 2500 Comuni, con almeno un terzo di italiani non ancora allacciati a un depuratore o addirittura a una rete fognaria. Anche nei clamorosi fondi del Piano di Ripresa e Resilienza, l’acqua “fa acqua”. È la Cenerentola messa all’angolo e, finché questa condizione non cambia, è difficile assicurare la tutela della risorsa e evitare che l’Italia abbia cittadini con servizi idrici di serie A, B e C o addirittura privi di servizi. È sacrosanto l’obbligo di costruire, riparare, rigenerare, irrobustire, estendere e tecnologizzare le reti ferroviarie, stradali, digitali e energetiche. Ma è la “rete delle reti”, quella dell’acqua, che garantisce la circolazione di tutto per la sua indispensabilità e utilità per l’interesse pubblico. È un problema che non può essere scaricato sulle spalle delle prossime generazioni, un impegno che non può durare meno di un disegno sulla sabbia in riva al mare.

Il settimo motivo è il bisogno che ha l’Italia di avere una visione unitaria sulle acque, di mettere fine a frammentazioni, duplicazioni e sovrapposizioni – e a volte finzioni – di competenze istituzionali che alla fine garantiscono lo status quo, lasciando aperte falle clamorose. Servirebbe una strategia nazionale di controllo di tutti gli usi, con un’unica Autorità che si occupi della regolazione non solo del servizio idrico ma anche del resto del 68% dell’acqua prelevata e utilizzata o sprecata, figlia di nessuno.

Servirebbe un unico ente scientifico pubblico – che potrebbe benissimo essere l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, coordinato con le nuove Autorità di bacino distrettuali e il sistema nazionale per la protezione dell’ambiente con le ARPA regionali – che garantisca monitoraggi costanti e protezione, recuperando l’operatività nazionale perduta dell’Istituto Idrografico e Mareografico dello Stato, gioiello scientifico cancellato da una classe politica scientificamente ignorante attraverso una norma del federalismo all’italiana. Servirebbero investimenti pubblici adeguati per accompagnare quelli tariffari più bassi d’Europa che da soli, come prevede l’associazione delle aziende idriche Utilitalia, metteranno forse a regime reti e impianti tra circa 250 anni! Tutto questo è una necessità naturale per una risorsa pubblica in monopolio naturale, fuori dalle competizioni di mercato. Sarebbe in fondo semplice, come bere un bicchier d’acqua, ma i motivi per i quali la politica non riesce a far uscire l’acqua da questo pantano sono, come disse Winston Churchill sulle intenzioni dell’Unione Sovietica, “un indovinello, avvolto in un mistero all’interno di un enigma”.

L’ottavo motivo chiama ancora in causa noi italiani che da privilegiati custodi dei più numerosi corsi d’acqua di tutti i paesi europei, abbiamo inaridito più degli altri la più grande cultura fluviale del mondo. Risvegliamola questa memoria sopita e trascurata, ritroviamola quest’acqua perduta, ripartiamo da questo patrimonio per non incupirci e inaridirci, andiamo alla riscoperta e al recupero delle nostre radici nelle acque fondative e lavoriamo perché siano pulite, sicure, da vivere e da difendere giorno per giorno, oggi più di ieri.

Il nono motivo sono i primi spaventosi sintomi di una grave ma- lattia, la crisi climatica, che progredirà se non viene arginata da opere e interventi immediati e non da vuote parole di circostanza. Subiamo ormai secche estreme, dal fiume Po al più piccolo corso d’acqua, come accadeva a Ferragosto. Restiamo senza acqua e senza neve anche per lunghi periodi nei mesi invernali, come è accaduto nei primi mesi del 2022 quando, da Torino alle altre città fluviali, nei letti dei fiumi spun- tavano isolotti di fango e detriti. La verità scomoda è che l’Italia del Nord diventa periodicamente come l’Italia del Sud, colpita da lunghe siccità e conseguenti crisi idriche che riducono anche le portate di tanti acquedotti. Ecco cosa significa fare i conti con cambiamenti climatici che stanno accelerando gli estremi: siccità e alluvioni. Occorrono strategie e politiche nuove, risvegliarsi dal lungo sonno e recuperare dai cassetti dei Ministeri piani e opere, talvolta anche già finanziate ma dimenticate o disperse nei meandri burocratici. A partire dalla realizzazione di almeno altri 2.000 piccoli e medi laghetti contenitori di acque di pioggia e serbatoi da utilizzare quando serve. La loro urgenza è massima, come il ripristino funzionale di troppe opere costate care ma rimaste incompiute o colpite dall’incuria, di cui si occupa il Dipartimento Casa Italia di Palazzo Chigi, come chiedono da tempo le Autorità di bacino e i Consorzi di bonifica. I fenomeni estremi di un tempo, oggi sono la regola. E bisogna reagire senza perdere altro tempo.

Il decimo motivo è invece un sogno… ma non si sa mai si possa avverare. L’Italia nata da imperi, guerre, incroci dinastici, intrighi, cospirazioni, lotte fratricide, battaglie campali, letteratura, arte, bellezza, dai versi di Dante e dalle rime del Petrarca, da Mazzini, Cavour e Garibaldi, dalla Resistenza, dal lavoro – e ognuno aggiunga il suo motivo –, prima di tutto è una Repubblica fondata dalle acque intorno alle quali sono potute nascere e svilupparsi civiltà immortali. Le nostre acque scorrono nelle vene storiche e culturali e artistiche del mondo intero. Per questo, la Costituzione più bella del mondo dovrebbe scandire altre parole essenziali:

L’Italia è una Repubblica nata sulle acque, e protegge le sue acque fondative riconoscendone tutti i diritti affinché tutti i cittadini possano godere dell’integrità di questo bene naturale così diffuso.

Questo, per provare almeno a placare l’ira di Poseidone.

Buona lettura.


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