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Bucha e fake news, l’importanza della cultura digitale

Di Michele Zizza
Perché Bucha dimostra l’importanza della cultura digitale

Con la guerra in Ucraina, la comunicazione entra nell’agenda-setting di tutte le organizzazioni. A Bucha nessuna fake news: prepariamoci ad altri scenari drammatici. L’analisi del professor Michele Zizza (Culture Digitali e Social Media, Università della Tuscia) sul perché serve una nuova consapevolezza della cultura dell’informazione

Il sovraccarico di dati dall’Ucraina che sta sfociando nell’ecosistema dell’informazione è pazzesco, perché questa è una guerra in cui ognuno, cittadino o militare che sia, imbraccia l’arma e un telefonino. Viviamo in una società in cui tutti siamo capaci di creare un contenuto, manipolarlo e renderlo virale. Nel bene e nel male.

Michele Zizza

Chi ha commesso crimini a Bucha non ha tenuto conto del contesto storico in cui viviamo. Un contesto storico in cui tutto è facilmente testimoniabile attraverso uno smartphone, un server di messaggistica istantanea, un satellite, un drone, una telecamera di sicurezza. Purtroppo, anche in relazione a questa inconsapevolezza, temo che si possano rinvenire anche altri episodi gravi.

Questa è una guerra in “alta risoluzione” e gli organi internazionali avranno tantissimo materiale da valutare. I dossier sull’Ucraina saranno costruiti con una metodologia scientifica e sarà semplice, anche attraverso la mole di fonti, ricostruire fatti ed eventi. Esistono la possibilità di comparazione in fase di studio forense, i metadati, le testimonianze dirette per compilare lavori quantitativi. A Bucha si sta già lavorando per cristallizzare la scena e produrre report da trattate nelle opportune sedi.

Ad oggi, in relazione a questi materiali acquisiti, per quanto riguarda Bucha, si può affermare che non si tratta di fake news. Inoltre, senza la documentazione della controparte (russa), attualmente non prodotta, non si può affrontare alcun confronto e dibattimento.

Questo conflitto rende bene l’idea di guerra onlife in cui tutto viene ripreso, fotografato, vissuto in ambiente ibrido – dove, tuttavia, si muore davvero.

Siti specializzati con base in Asia e Medio Oriente stanno rilanciando tutti i contenuti prodotti dagli uomini dell’esercito ucraino. Una narrazione che, oltre a influenzare la politica, ha attivato una vera e propria attività di reclutamento con volontari che da tutto il mondo partono per raggiungere il terreno di scontro.

Ecco, quindi, gli effetti della comunicazione sulla società. La stratcom (strategic communication) studia questo e lo fa analizzando l’aspetto bello e meno bello della comunicazione. Lo fa annoverando tutti i volumi dell’enciclopedia della comunicazione. Lo fa per capire ogni singolo obiettivo di ogni singola azione mediatica attivata.

Questo conflitto, che si inasprisce anche nel linguaggio e preoccupa, ci fa ben capire quanto sia importante investire nel campo delle sfide ibride. La disinformazione è uno di questi campi. Difatti, oggigiorno, quando sentiamo parlare di investimenti per la difesa dobbiamo pensare anche a innovazione, tecnologie e formazione continua a specializzata.

C’è bisogno di una nuova consapevolezza della cultura dell’informazione, la cosiddetta media literacy. C’è bisogno di investire nelle tecnologie avanzate che abbassino l’incidenza delle fake news (badge, codici Qr per giornalisti e testate, ampliamento dei metadati).

Guardando dietro alla pandemia da coronavirus possiamo affermare che le fake news sono micidiali come un virus e non abbiamo, attualmente, un antivirus. Abbiamo però una terapia fatta da retrovirali quali la cultura dell’informazione e le tecnologie avanzate che possono aiutare i cittadini.

Questo conflitto ci fa capire, inoltre, che nel contesto sociale in cui viviamo la minaccia è perenne e non esclusivamente attuata in uno scenario di guerra. Ogni giorno, ad esempio, la nostra infrastruttura sensibile è oggetto di centinaia di attacchi informatici. Oppure vengono promosse attività di disinformazione per destabilizzare l’equilibrio interno della nostra democrazia (movimenti cospirazionisti, pro-complotti, ecc).

Un Paese competitivo, dunque, è un Paese che investe nella ricerca e nella divulgazione della cultura ad ogni livello. Per intenderci: vanno bene gli apparati bellici, ma se non ci prepariamo a contrastare le campagne di disinformazione, anche in tempi di pace, c’è il rischio di disordini interni e crisi gravi.

Non vediamo ancora tutti gli effetti di questa guerra. Sicuramente, oltre alle conseguenze economico-finanziarie, essi produrranno diverse prospettive anche nel campo della società iperconnessa e mediatizzata in cui viviamo, con eventi che dalla rete transiteranno alle piazze.

Abbiamo appurato personalmente, durante la pandemia, la gravità delle fake news. Oggi, con questa guerra, stiamo nuovamente mettendo al centro dell’agenda-setting il ruolo della comunicazione. Questo basta a farci capire che anche in futuro – nella società organizzata in rete e attraverso le piattaforme, in cui i cittadini non sono più semplici fruitori ma anche costruttori di contenuti e iniziative – sia necessario dare importanza alla cultura del digitale in un mondo in pace o in guerra.

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