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Diritto d’autore ed equo compenso. I rischi per l’Agcom secondo Preta

Le norme adottate dal legislatore italiano pongono alcuni interrogativi riguardo la loro aderenza sia al testo che alla ratio della direttiva Copyright. Si rischia di fermarsi a una visione dell’informazione online basata su parametri derivanti dal mondo “analogico” e non garantendo in ogni caso un premio agli editori innovativi. Il position paper di ItMedia Consulting

Questo articolo trae spunto da uno studio realizzato da ITMedia Consulting, il cui contenuto integrale è disponibile QUI

Con il decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 177 il legislatore italiano ha recepito la direttiva (Ue) 2019/790, sul diritto d’autore e i diritti connessi, meglio nota come direttiva copyright. La normativa italiana ha suscitato un acceso dibattito: da un lato vi sono coloro che hanno denunciato eccessi di delega, sviamenti rispetto agli obiettivi fissati dalla direttiva, effetti anticoncorrenziali, violazione del principio dell’autonomia negoziale e della libertà d’impresa. Dall’altro lato, invece, c’è chi ha argomentato che le scelte proposte dal decreto legislativo fossero la legittima espressione della discrezionalità di cui gode ciascuno Stato membro in sede di recepimento di una direttiva europea.

In ogni caso, come è stato autorevolmente ricordato, è innegabile che le norme adottate dal legislatore italiano pongano alcuni interrogativi riguardo la loro aderenza sia al testo che alla ratio della Direttiva Copyright, con implicazioni rilevanti per una serie di diritti fondamentali che risentono della tensione tra la tutela della libertà di informazione e la tutela della libertà di iniziativa economica.

Una delle principali novità in ogni caso è rappresentata dal ruolo centrale attribuito all’Autorità delle garanzie nelle comunicazioni (Agcom), alla quale vengono conferite nuove competenze che vanno ben al di là di quelle attualmente esercitate in forza del Regolamento da essa adottato con la delibera 680/13/Cons. Si tratta di competenze regolamentari, di vigilanza, sanzionatorie, e di risoluzione delle controversie destinate a fare dell’Agcom il centro di potere amministrativo deputato alla tutela del diritto d’autore nell’era digitale.

Tra di esse una in particolare, relativa all’articolo 43-bis, riguarda un aspetto centrale e delicato, il cosiddetto equo compenso, e cioè il riconoscimento da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione di una remunerazione agli editori di pubblicazioni di carattere giornalistico (l’equo compenso appunto) per l’utilizzo online delle loro pubblicazioni.

In tale contesto, l’Agcom è chiamata a svolgere un duplice fondamentale ruolo. In primo luogo, deve precisare con apposito regolamento i criteri di riferimento per l’equo compenso, al fine di offrire alla contrattazione delle parti una valida gamma di strumenti per la conduzione delle trattative, improntandoli ai principi di correttezza e buona fede. In secondo luogo, pur restando impregiudicato il diritto delle parti di ricorrere all’autorità giudiziaria, l’Agcom potrà essere chiamata a determinare caso per caso la misura dell’equo compenso nel caso di mancato accordo fra le parti.

Sotto il primo aspetto, dunque, l’Agcom nell’adottare il Regolamento dovrà definire i criteri di riferimento per la determinazione dell’equo compenso, tenendo conto in misura più o meno rigida delle indicazioni provenienti dalla normativa, a partire dai seguenti parametri:

1) numero di consultazioni online dell’articolo;

2) anni di attività e della rilevanza sul mercato degli editori;

3) numero di giornalisti impiegati;

4) costi sostenuti per investimenti tecnologici e infrastrutturali da entrambe le parti; 5) benefici economici derivanti, ad entrambe le parti, dalla pubblicazione quanto a visibilità e ricavi pubblicitari.

Un primo rischio che si intravvede basandosi sui criteri su menzionati è di fermarsi a una visione dell’informazione online basata su parametri derivanti dal mondo “analogico”, non in linea con l’evoluzione del fenomeno in ambiente digitale, a cui si collega anche un ulteriore rischio, legato a possibili fattori di discriminazione nei confronti degli editori digitali e non garantendo in ogni caso un premio agli editori maggiormente innovativi.

Inoltre, i criteri elencati, se non integrati con dei nuovi, rischiano di favorire ulteriori pratiche negative, legate a comportamenti opportunistici, come quelle ad esempio di aumentare indiscriminatamente e artificiosamente il numero degli articoli indipendentemente dalla loro necessità allo scopo di accrescere la remunerazione.

Infine, e questo è il punto che va maggiormente sottolineato, il rischio che l’utilizzo di questi parametri finisca per assecondare piuttosto che impedire o limitare quella tendenza alla riduzione del pluralismo, che nel mondo digitale si manifesta nell’aumento crescente di disinformazione e misinformazione. All’opposto, anche in ragione della natura dell’Autorità chiamata ad operare in questo ambito, tali criteri dovrebbero cercare di valorizzare maggiormente quelle pubblicazioni che si caratterizzano per la diffusione di una informazione qualificata e attendibile, a garanzia e a tutela del pluralismo.

Emergono dunque, dal quadro delineato, alcuni elementi distintivi di cui tenere conto nella determinazione dei criteri che formeranno oggetto del regolamento Agcom sull’equo compenso. In primo luogo, è fondamentale mettere in moto un meccanismo virtuoso, basato sul merito, che consenta agli editori più capaci di ottenere i maggiori benefici dalle risorse che deriveranno dall’applicazione dell’equo compenso. Questo perché è importante che le risorse disponibili non vadano a remunerare indistintamente tutti, senza alcuna discriminazione legata alla qualità e all’efficienza.

In secondo luogo, sempre in questa prospettiva, un ulteriore fondamentale criterio distintivo per remunerare gli editori dovrebbe essere costituito dall’obiettivo primario della lotta alla disinformazione e alla possibilità di definire criteri che, oltre ad evitare l’insorgere di comportamenti opportunistici, premino in concreto quei soggetti economici che si distinguano per un uso corretto dell’informazione e, in questo modo, favoriscano realmente il pluralismo.

Infine, lato piattaforme, è importante tenere conto delle differenze e delle peculiarità dei modelli di business di ciascuna, nella consapevolezza che in questo settore vale certamente il principio che one size doesn’t fit all, comportando tutto ciò un diverso tipo di relazione tra chi produce la notizia e chi ne consente la più ampia circolazione.

Tutto questo, in definitiva, ha come primario obiettivo di evitare soluzioni che possano essere considerate da un lato una forma di sovvenzione più o meno mascherata per coloro che non sono più in grado di ottenere dal digitale gli stessi ricavi provenienti dal cartaceo e, dall’altro, che proprio perché commisurate su parametri basati sull’efficienza e la qualità, possano essere maggiormente misurabili e applicabili, dando luogo a un minor livello di contestazione, e di conseguente ricorso alla stessa Agcom in caso di contenzioso.



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