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Quale giustizia per i crimini in Ucraina? Il paper di Flavia Lattanzi

L’analisi approfondita della professoressa Lattanzi, che è stata giudice nei tribunali penali per la ex-Iugoslavia e il Ruanda, sulle strade giudiziarie che si potranno prendere per sanzionare i responsabili delle condotte più efferate in Ucraina. Genocidio, aggressione, crimini di guerra: cosa dicono il diritto internazionale e gli ordinamenti russo, ucraino, svedese, tedesco

  1. Introduzione

Non c’è alcun dubbio che dal 2013 nella regione del Donbas si sono commessi molti crimini di guerra e crimini contro l’umanità nel contesto di un conflitto formalmente interno (ma piuttosto già internazionale) che, secondo il rapporto del Commissariato NU dei diritti umani del 27 gennaio 2022, ha provocato “fra i 14.200 e i 14.400 morti: almeno 3.404 civili, circa 4.400 membri delle Forze armate ucraine e circa 6.500 membri dei gruppi armati”.

Flavia Lattanzi

Non c’è neppure dubbio che dal 24 febbraio 2022 si è commesso, ad opera degli organi della Federazione russa, il crimine di aggressione contro l’Ucraina e la sua popolazione. Neppure possono esserci dubbi sul fatto che a partire dallo stesso periodo si sono commessi, per la quasi totalità del territorio dell’Ucraina, molti crimini di guerra e crimini contro l’umanità nel contesto del conflitto internazionale originato dall’aggressione russa.

Qualche dubbio viene invece da più parti espresso sulla fondatezza dell’accusa di genocidio che le autorità ucraine rivolgono alla leadership russa e ai combattenti sul campo. I dubbi emergono soprattutto perché la Convenzione del 1948 contro il genocidio definisce tale crimine rispetto sia a determinati atti commessi, non in modo cumulativo, contro i membri di un gruppo – a) sterminio di membri del gruppo b) gravi lesioni fisiche nei loro confronti, c) la loro sottoposizione a condizioni di vita volte alla totale o parziale distruzione fisica del gruppo, d) riduzione o prevenzione delle nascite nel gruppo e) trasferimento forzato dei fanciulli da un gruppo a un altro – sia al dolus specialis della distruzione di un gruppo come tale, da non confondere, come vedremo, con la distruzione fisica di cui all’atto sub c).

L’accusa russa all’Ucraina di commettere genocidio contro i Russi del Donbas – non tutti in verità russofili – e di violare l’obbligo di prevenirlo e reprimerlo è piuttosto pretestuosa, sia perché fatta per giustificare la c.d. “operazione speciale”, sia perché riferita a crimini contro una categoria di residenti che non è possibile distinguere fra russofili o meno dato che non tutti i russofoni sono in verità russofili, sia perché le NU si occupano da 8 anni di quei crimini senza averli mai qualificati come atti di genocidio.

A tale accusa l’Ucraina ha reagito con un ricorso, ai sensi della Convenzione contro il genocidio del 1948, alla Corte internazionale di giustizia (CIG). Essa ha chiesto a tale Corte, che risolve solo controversie interstatali, l’interpretazione dell’obbligo di prevenzione e repressione posto nella Convenzione a carico degli Stati e immediate misure provvisorie volte a far cessare la c.d. “operazione speciale”. La Corte, nell’ordinanza del 16 marzo 2022, dopo aver escluso che la detta Convenzione autorizzi una reazione come quella della c.d. operazione speciale a una supposta violazione del detto obbligo, ha chiesto alla Federazione Russa, invano purtroppo, la cessazione immediata di detta “operazione” e a entrambe le parti in conflitto il non aggravamento della situazione, anche questo invano. Aspettiamo ora la decisione sul merito.

Nonostante poco ci consoli la giustizia amministrata nei confronti di individui per crimini così gravi quali quelli commessi nel Donbas soprattutto dalle milizie para-militari a partire dal 2014 e quelli attuali su pressoché tutto il territorio ucraino, in molti ci chiediamo se ci sia un tribunale penale, possibilmente imparziale, che possa punirne chiunque ne risulti responsabile. Ebbene, alla luce della mia esperienza professionale vorrei dare qualche risposta a tale quesito: sì, ci sono varie possibilità di far funzionare la giustizia sui detti crimini internazionali – i c.d. core crimes of international law -, sebbene ciascuna presenti limiti e ostacoli che possono sospenderne o bloccarne l’efficacia nei confronti soprattutto dei cosiddetti “pesci grossi”.

Preliminarmente merita sottolineare che la parte da cui provengono alcuni crimini è chiara, come quella del crimine di aggressione e di alcuni crimini di guerra: i bombardamenti indiscriminati russi contro la popolazione civile non combattente e gli edifici che non siano chiari obiettivi militari; l’uso indiscriminato delle bombe a grappolo; le esecuzioni sommarie, pare, di combattenti; le uccisioni, la scomparsa e il rapimento di vari giornalisti, alcuni poi liberati perché possano testimoniare e diffondere il terrore nella loro categoria. La “provenienza” di altri crimini, soprattutto dei crimini contro l’umanità, suscita invece qualche dubbio. In ogni caso, però, davanti alla giustizia penale le responsabilità sono soltanto personali e quindi per poter portare davanti alla giustizia penale un sospetto responsabile è necessaria una identificazione precisa tanto della persona quanto del crimine di cui è sospettata.

Allorché si ha a che fare con crimini di rilevanza internazionale, si pensa immediatamente alla giustizia amministrata dalla Corte penale internazionale (CPI), della cui competenza mi sono occupata in un breve scritto pubblicato su questo sito il 3 marzo 2022. Poiché, però tale giustizia non è prioritaria, ma è complementare a quella delle giurisdizioni statali, cercherò anzitutto di vedere se ed eventualmente cosa possano fare queste giurisdizioni, per concludere poi con un aggiornamento su quella internazionale rispetto allo scritto precedente.

  1. La giurisdizione della Federazione russa

La prima possibilità per una giustizia sui crimini internazionali commessi nell’Ucraina è teoricamente costituita dalla giurisdizione russa.

Il codice penale russo prevede infatti tanto il crimine contro la pace, in una nozione più ampia del crimine di aggressione, quanto i crimini di guerra, ma non già la categoria dei crimini contro l’umanità[1]. Esso contempla però il c.d. “crimine dei crimini contro l’umanità”, e cioè il genocidio, che nel Processo di Norimberga era stato per l’appunto punito sotto la detta categoria. Successivamente tale crimine ha acquisito una sua autonomia per via di un elemento che lo caratterizza: la distruzione di una comunità come tale per ragioni nazionali, etniche, religiose o razziali[2]. Formalizzato nella Convenzione del 1948, tale elemento è naturalmente ripreso nel Codice, come gli actus rei di genocidio lì contemplati (Art. 357).

Il crimine contro la pace consiste nella “pianificazione, preparazione, scatenamento, conduzione di una guerra di aggressione” (Art. 353), ma anche negli “appelli pubblici allo scatenamento di una guerra di aggressione” (Art. 354). Nel caso Russia-Ucraina non c’è però alcun dubbio che ricorrano entrambe le fattispecie. Del resto, sulla guerra di “aggressione” abbiamo anche l’accertamento, seppure non vincolante, dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite con Risoluzione adottata il 2 marzo 2022 (141 voti a favore su 193 membri delle NU, 5 contrari – Federazione russa, Corea del Nord, Siria, Bielorussia ed Eritrea -, 35 astensioni).

A tale Risoluzione si è riferita la stessa CIG nella sua ordinanza sulle misure provvisorie. Nello Statuto della CPI, il crimine di aggressione è visto solo come un crimine di leadership: vi si fa infatti riferimento a condotte “di una persona in grado di esercitare effettivamente il controllo o di dirigere l’azione politica o militare di uno Stato…”, delimitazione non ripresa nel codice russo. Il codice potrebbe dunque applicarsi anche agli esecutori sul campo di tali crimini. I crimini di guerra sono contemplati nel Codice anzitutto direttamente: così il trattamento crudele di prigionieri di guerra o di civili, la deportazione di popolazioni civili, il saccheggio di proprietà nazionali in territori occupati. Per altri si rinvia alle normative pattizie internazionali: così “l’uso in un conflitto militare di mezzi e metodi di guerra vietati da un trattato internazionale della Federazione Russa” (Art. 356, par. 1) e “l’uso di armi di distruzione di massa” vietato da un siffatto trattato (Art. 356, par. 2).

La giurisdizione della Federazione russa si potrebbe esercitare sui crimini dell’attuale conflitto in Ucraina secondo il criterio nazionale, sulla base cioè della cittadinanza russa – e inoltre appartenenza organica dei presunti autori – formale o di fatto – alla Federazione. Ricadrebbero dunque sotto tale giurisdizione anzitutto i membri della leadership che da Mosca hanno pianificato, preparato, scatenato la guerra di aggressione contro l’Ucraina, come pianificato e preparato la realizzazione dei crimini di guerra, dei crimini contro l’umanità ed eventualmente del genocidio e incitato pubblicamente tanto allo scatenamento della guerra che alla commissione degli altri crimini oppure omesso di prevenirli e/o reprimerli.

Sulla base di tale criterio sono naturalmente sottoposti alla giurisdizione russa anche gli esecutori sul campo delle quattro categorie di crimini. Qualche problema potrebbe sorgere in proposito con riferimento a quei combattenti per conto della Federazione che non sono di cittadinanza russa, poiché Putin, come già Milosevic e Karadzic in ex-Iugoslavia, utilizza non solo l’Esercito, ma anche volontari e mercenari stranieri vuoi integrati in bande armate o nelle milizie para-militari – come la c.d. Wagner e quella privata del leader ceceno Kadyrov –, vuoi perfino operanti singolarmente, sembra anche come cecchini. Per tali esecutori sul campo del crimine di aggressione non sarebbe agevole provare la mens rea, e cioè la volontà di o la consapevolezza di commettere un crimine siffatto, che forse neppure alcuni soldati dell’Esercito russo possono aver avuto.

La possibilità dell’esercizio di tale giurisdizione è però talmente teorica nell’attuale situazione interna, che non vale la pena di spenderci ulteriori parole inutili. Potremmo tornarci su se l’attuale leadership crollasse.

Sulla base del criterio personale passivo – e cioè della nazionalità della vittima – la giurisdizione penale russa potrebbe anche essere esercitata sui crimini di guerra e sui crimini contro l’umanità che la leadership imputa – forse in qualche caso a ragione – a coloro che combattono per la difesa dell’Ucraina (è quanto del resto Putin ha detto di voler fare nel suo discorso del 24 febbraio 2022). Alcuni di loro sono già prigionieri della Federazione e forse saranno scambiati con quelli arrestati dall’Ucraina o saranno destinati a un futuro diverso. Se fossero processati si può solo auspicare che lo siano in modo imparziale. I processi potrebbero svolgersi anche in contumacia, poiché per i crimini più gravi il codice russo prevede tale possibilità.

3. La giurisdizione ucraina

Certamente più reale è la giustizia dello Stato sul territorio del quale i crimini sono stati commessi e da chiunque siano stati commessi, e cioè secondo il criterio territoriale che è quello prioritariamente accolto dalle legislazioni nazionali. Il Presidente ucraino ha infatti annunciato il 3 aprile la decisione di creare un meccanismo giudiziario speciale a tal fine, che pare funzioni già.

Il codice ucraino, nella versione del 5 aprile 2001, a firma dell’ex-Presidente Leonid Kucma e chiaramente ispirato a quello della Federazione russa, contempla tanto il c.d. “crimine contro la pace”, quanto i crimini di guerra, quanto ancora il crimine di genocidio. Neppure qui si parla espressamente di crimini contro l’umanità. Ma quelli fondamentali sono integrati nel Codice attraverso il rinvio ai Trattati internazionali contenuto nella disposizione sui crimini di guerra formulata, come vedremo, in termini più generali rispetto al codice russo[3].

Merita però anche segnalare che una normativa specifica relativa ai crimini contro l’umanità e una normativa più dettagliata sui crimini di guerra, entrambi conformi alle fattispecie di reato di cui allo Statuto della CPI, è stata approvata dal Parlamento ucraino nel maggio 2021 (Legge n. 2689). Questa Legge giace da allora sulla scrivania del Presidente Zelensky per la firma e la conseguente promulgazione, forse perché egli non ha dei buoni consiglieri… C’è però una novità in proposito: la scorsa settimana la Rada avrebbe rapidamente approvato in prima lettura un nuovo disegno di legge di iniziativa governativa sui crimini internazionali (Disegno di legge n. 7290), comprensivo, sembra, dei crimini contro l’umanità. Pare però che in esso si riduca l’applicabilità della responsabilità di comando (“command responsibility”), quella cioè per mancata prevenzione e/o repressione dei crimini. Tale sviluppo regressivo è stato fortemente criticato dalla coalizione delle ONG ucraine più attive nella documentazione delle atrocità in corso, la Euromaidan SoS Coalition[4].

Nel “crimine contro la pace” il Codice ricomprende anzitutto la “propaganda per una guerra di aggressione o un conflitto armato, la produzione di materiali che propagandano tali comportamenti perché siano diffusi o per diffonderli direttamente” (art. 436). Inoltre, per lo stesso reato è perseguibile in Ucraina chi “abbia pianificato, preparato, realizzato una guerra di aggressione o un conflitto armato, o abbia cospirato a tal fine”, nonché  chi “conduca una guerra di aggressione”, ma anche chi “conduca operazioni militari aggressive” (art. 437).

Fra i crimini di guerra sono previsti “il trattamento crudele dei prigionieri di guerra o dei civili, la deportazione della popolazione civile a fini di lavoro forzato, il saccheggio dei tesori nazionali nei territori occupati, l’uso di metodi di condotta della guerra vietati da strumenti internazionali, o qualsiasi altra violazione di regole di condotta della guerra riconosciute da strumenti internazionali accettati dal Parlamento dell’Ucraina”. La disposizione sul genocidio riprende anche qui la definizione di cui alla Convenzione del 1948.

La giurisdizione ucraina su tali crimini si baserebbe soprattutto sul criterio territoriale e per i sospettati ucraini anche sul criterio nazionale attivo. Il criterio nazionale passivo si applicherebbe invece ai componenti della leadership rimasta a Mosca a pianificare, organizzare, preparare, ordinare le condotte criminose. Infatti, il Codice penale ucraino prevede l’applicabilità di tale criterio nei confronti di cittadini stranieri o apolidi che abbiano commesso crimini fuori dell’Ucraina “in casi previsti da trattati internazionali o di gravi reati contro i diritti e le libertà dei cittadini ucraini” (Art. 8). Perché si possano aprire dei procedimenti contro i sospetti responsabili del crimine di aggressione e di tutte le atrocità di cui ci pervengono alcune evidenze oggettivamente inconfutabili, ai Procuratori ucraini sarà necessario disporre di un minimo di prove per sostenere capi di imputazione contro individui da identificare con nome e cognome, e, nell’attesa, di averne a sufficienza per andare avanti col processo, anche in contumacia, che il codice ucraino permette.

Se infatti c’è qualche possibilità di catturare i combattenti russi o per la Federazione russa presenti sul suolo ucraino, compresi i comandanti, come quello identificato per i fatti di Bucha – alcuni già prigionieri delle forze ucraine – non c’è per ora alcuna possibilità di processare in presenza i componenti della leadership militare e civile russa. Un processo a loro carico anche in contumacia avrebbe tuttavia un grande significato, e non solo simbolico, perché la loro mobilità sarebbe altamente ridotta per via del rischio che anche Stati non legati da un accordo di estradizione con l’Ucraina possano arrestarli e consegnarli alla giustizia di questo Paese.

Né si porrebbe in questo caso la questione delle c.d. immunità internazionali di cui gli organi statali normalmente godono davanti alle giurisdizioni straniere. Sulla base di una consuetudine secolare relativa ai crimini di guerra – ormai estesasi, a partire dalla I guerra mondiale, a tutti i crimini internazionali – la loro commissione ad opera di un individuo organo di Stato non viene attribuita solo allo Stato per conto del quale l’individuo-organo agisce, come normalmente avviene per qualsiasi altra condotta posta in essere nell’esercizio delle funzioni ufficiali. In ragione della gravità della condotta criminale, essa viene imputata anche all’individuo come tale che ne diviene dunque “internazionalmente” responsabile a prescindere dalla funzione che svolge. E la qualificazione come “internazionale” di tale responsabilità deriva proprio dall’eccezione alla regola dell’attribuzione, come dall’applicabilità davanti alla giurisdizione straniera nemica delle norme internazionali sulle immunità.

Se, però, è pacifico che lo Stato di appartenenza organica perde il diritto di rivendicare davanti alla giurisdizione dello Stato nemico sul territorio del quale e contro il quale il crimine viene commesso tanto l’immunità funzionale a favore di un qualsiasi suo organo, quanto quella personale a favore di determinati organi, resta in parte ancora controversa l’applicabilità di tali eccezioni davanti alle giurisdizioni di Stati terzi (ma su questo aspetto torneremo nella parte relativa a tali giurisdizioni).

Come si è già detto, il “crimine contro la pace” così come in particolare definito nello Statuto della CPI è un crimine di leadership, ma, come il codice russo, neppure il codice ucraino riprende tale caratterizzazione. Forse, dunque, davanti alla giurisdizione ucraina ne sarebbero accusati non solo i componenti della leadership russa, ma anche i diversi combattenti per la Russia, forse spesso non consapevoli di commettere un crimine di aggressione.

Non sarà dunque agevole trovare le prove della loro mens rea, come in modo differente non lo sarà per le responsabilità di coloro che in Russia hanno “pianificato, preparato, realizzato la guerra di aggressione contro l’Ucraina” o “cospirato a tal fine” o propagandato la guerra (anche con fake news, proprio come quelle di Hitler). Tali prove si trovano soprattutto nella Federazione russa e, salvo per quanto riguarda Putin, e alcuni Ministri più strettamente competenti in materia e che si sono anche esposti con dichiarazioni pubbliche “particolarmente significative”, non sarà facile distinguere chiaramente i vari ruoli e i vari contributi alle decisioni che hanno portato a questa guerra efferata. Si tratta della tipica situazione di una responsabilità per co-partecipazione, le cui varie forme sono esplicitate nel Capitolo VI del Codice (Articoli 26-31).

Neppure agevole sarà trovare le prove, seppure ce ne siano, del crimine di genocidio di cui la leadership ucraina accusa gli individui-organi dello Stato aggressore. Non è peraltro chiaro se tale accusa si riferisca ad atti di genocidio sul territorio dell’Ucraina in generale o in alcune zone soltanto. Il compito di provare in sede giudiziaria gli actus rei di genocidio come ripresi nel codice dalla Convenzione del 1948 sarebbe abbastanza agevole. Impegnativo sarebbe invece provare il dolus specialis della distruzione totale o parziale della comunità ucraina, che non coincide affatto con la distruzione fisica dei suoi membri di cui all’atto sub c), come alcuni pretendono.

Se non si facesse questa confusione forse si potrebbe cogliere, come a me pare, qualche segno del dolus specialis per il destino che sta subendo la comunità ucraina di Mariupol. Io intravedo infatti alcuni elementi comuni con la situazione della comunità musulmana della municipalità di Srebrenica, che potrebbero risultare confermati in sede giudiziaria. Mi riferisco al numero elevato delle vittime di sterminio, in particolare degli uomini, alla deportazione diretta e al trasferimento forzato, perché indotto dal terrore diffuso dalle atrocità commesse, delle donne, dei bambini e dei vecchi.

Mi riferisco alla fame e sete cui sono sottoposti tanto i combattenti resistenti nell’acciaieria Azovstal quanto i civili lì rifugiati, ai quali viene negato un corridoio umanitario (si tratta soprattutto di donne e bambini che potrebbero morirne se non ne sono già morti). Emblematica per il genocidio è anche la scomparsa da Mariupol, sembra, di un numero elevato di bambini, orfani o strappati alle loro mamme: la loro deportazione in Russia, se confermata, può ben ritenersi realizzata per la loro russificazione, in modo analogo a quanto avvenne nel corso del genocidio armeno. In quel caso, i bambini orfani o strappati alle loro mamme – o da esse consegnati per la loro salvezza –  furono affidati per la loro islamizzazione vuoi alle famiglie turche e circasse o agli orfanatrofi, ciò che fece del tutto perdere loro l’identità armena.

Tale rischio corrono anche i bambini ucraini se deportati in Russia, dove perderebbero la loro identità tanto linguistica quanto religiosa (le due Chiese ortodosse sono separate – ciò che affligge Kirill – e numerosi Ucraini sono cattolici), quanto nazionale ucraina (tale identità si è per l’appunto formata anche fra i russofoni ex-russofili d’Ucraina, da quando è iniziata la guerra nel Donbas e sono apparse più chiaramente di prima per chi voleva vedere e sentire le mire di Putin e Kirill). Emblematico è anche lo stupro, se confermato, delle donne ucraine, forse perpetrato con lo stesso intento con cui si realizzava quello delle donne musulmane in ex-Iugoslavia da parte dei Serbi: il trasferimento dell’identità per via paterna, lì realizzato anche con il sistema delle gravidanze forzate, qualificato poi nello Statuto di Roma come crimine contro l’umanità, che forse viene commesso anche per la “russificazione” dell’Ucraina. Emblematica è anche la distruzione degli edifici delle istituzioni cittadine e regionali ucraine, come anche la sostituzione dei sindaci e in genere o di alti funzionari ucraini con quelli russi o filo-russi.

Insomma, se gli atti di genocidio di cui alla Convenzione del 1948 ci son tutti, almeno a Mariupol, alcuni di tali atti, insieme ad alcune dichiarazioni in particolare di Putin e Lavrov – sono anche indicativi, a mio avviso, del dolus specialis della distruzione non solo del presente ma anche del futuro della relativa comunità: insomma l’intento della sua “russificazione”. Tale indicazione potrebbe arrivare anche dai documenti ufficiali russi che, seppure segreti, non è affatto escluso che arrivino nelle mani degli investigatori, come sono arrivati davanti al TPIY quelli della ex-Iugoslavia e della RS.

Ricorrono qui proprio alcuni degli elementi cui si è data rilevanza nella giurisprudenza del TPIY, soprattutto nel processo Karadzic, per qualificare le gravi condotte criminali poste in essere a Srebrenica come atti volti a distruggere il presente e il futuro di quella municipalità della Bosnia (qui si trattava della sua “serbizzazione”), e quindi come atti di genocidio. Per una migliore comprensione degli elementi caratterizzanti gli atti di genocidio in quanto posti in essere con l’intento della distruzione di una comunità, merita qui sottolineare che, nella giurisprudenza del TPIY, alcuni di tali elementi non si sono riscontrati con riguardo alle altre municipalità della Bosnia-Erzegovina.

In verità, anche in queste erano stati realizzati stermini di massa, trasferimenti forzati, deportazioni di Musulmani e Croati, ma molti di costoro avevano avuto la possibilità di ricostituire la loro comunità nella parte del territorio bosniaco o della Croazia sotto il controllo della loro rispettiva leadership. Tale possibilità non era invece stata data alla comunità musulmana di Srebrenica anche perché tutti i maschi dai quattordici anni in su, e quindi atti alla procreazione, come si è detto nella sentenza Karadzic, erano stati sistematicamente uccisi in una settimana dalle forze armate serbo-bosniache – circa 7000/8000 individui -, ciò che negava a tale comunità un futuro.

A me sembra che neppure alla comunità di Mariupol sia data la possibilità di ricostruire un proprio futuro. Per provare l’intento della sua distruzione ci si può anche riferire a quanto detto pubblicamente da Putin il 21 aprile 2022: “neppure una mosca deve uscire dall’Azovstal né entrarvi”. E’ forse in corso, nella immensa acciaieria di Mariupol, una “soluzione finale” per la comunità locale, il cui intento appare anche dal fatto che non è stata neppure concessa una tregua per la Pasqua ortodossa, sicuramente anche con l’accordo di Kirill.

E’ questa la tragedia di un popolo molto religioso come quello russo: di avere un capo della loro Chiesa assetato di potere come il loro capo politico, entrambi volendo, a tutti i costi, dominare su altri popoli, ognuno con il proprio ruolo supremo e dispotico. La loro alleanza è diabolica, come lo era l’alleanza dei sacerdoti ortodossi serbo-bosniaci con i leaders della RS e che benedicevano le milizie di Arkan e di Seselj prima della partenza per le imprese criminali. Se i 400 sacerdoti e diaconi ortodossi in rivolta, sembra, contro Kirill, riuscissero a prevalere e a darsi un capo ispirato dalla fede che professa, a mio avviso, potrebbe cadere anche Putin.

Per ora si può solo sperare che gli elementi rilevanti per una qualificazione di genocidio della comunità di Mariupol non si estendano in altre località o per tutta l’Ucraina. Bisogna in ogni caso non dimenticare che per Putin questo Stato indipendente non esiste se non, nella migliore delle ipotesi, come entità autonoma della Federazione russa, dominata quindi, come tutte le altre entità autonome, dalla leadership russa: consiglio in proposito la lettura dell’articolo da lui scritto nel luglio 2021 e che si può trovare sul sito del Cremlino, cui si ispirano tutti i suoi attuali discorsi[5].

Nonostante tutto, spero ancora che l’Ucraina prevalga sull’aggressore e resti indipendente (o forse posso solo sperare che questa guerra porti a un cambiamento radicale nella Federazione russa per permettere all’Ucraina di riacquistare la sua indipendenza se dovesse tragicamente perderla) e che i tribunali ucraini possano occuparsi in modo imparziale dei crimini ivi commessi, compreso l’eventuale genocidio. Spero anche che su questo crimine soprattutto essi tengano conto della giurisprudenza del TPIY e del TPIR, i primi Tribunali penali internazionali a interpretare – e a mio avviso correttamente – la nozione di genocidio di cui alla Convenzione del 1948.

Non sarà facile neppure raccogliere le prove sui crimini di guerra e crimini contro l’umanità di cui ogni giorno prendiamo conoscenza dai racconti dei coraggiosi inviati di guerra, che però non sempre costituiscono evidenze chiare di quanto accaduto (e spesso si rivelano anche come fake news). Se, infatti “sulla provenienza” del crimine di aggressione contro l’Ucraina non si possono avere dubbi, a volte ne emergono invece, anche fra gli inviati di guerra secondo quanto abbiamo avuto modo di sentire, per certi crimini di guerra o crimini contro l’umanità di cui potrebbe essersi macchiato anche qualche combattente ucraino.

Non si può del resto trascurare che tra i combattenti a difesa dell’Ucraina ci sono anche molti civili che partecipano alla leva di massa e che forse non conoscono molto le regole che limitano la violenza bellica (spero non ignorino i principi fondamentali di umanità, come, con maggiore evidenza, i combattenti della controparte). Ma soprattutto, non si possono sottovalutare le accuse di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità che sono state rivolte alla milizia di estrema destra da fonti autorevoli, come Amnesty nel 2014 e La Missione speciale di monitoraggio in Ucraina l’OSCE nel 2016, come il Commissariato NU sui diritti umani con i due Rapporti del 2015-2016, allorché tale milizia era già stata integrata dall’allora Presidente Poroshenko nelle Forze armate ucraine, con un errore a mio avviso imperdonabile. Si tratta del Battaglione che resiste ora strenuamente nell’Azovstal e che pare si sia votato a una fine eroica. Spero almeno che tale integrazione abbia gradualmente permesso loro di divenire più rispettosi del diritto internazionale umanitario.

E’ in ogni caso importante che le istituzioni ucraine competenti si impegnino intensamente nella raccolta delle prove, compito reso ancora più difficile dalla situazione di guerra, nella quale anche le forze di polizia sono intensamente coinvolte per la difesa del loro Paese. Sembra però che esse si stiano organizzando per poter svolgere al meglio questo compito, con la determinazione che li contraddistingue. E’ così pervenuta da fonte ufficiale ucraina l’informazione che le autorità hanno approntato un archivio online per la raccolta di prove che esse intendono poi anche consegnare alla CPI. Inoltre, la procuratrice generale ucraina, Irina Venediktova, ha annunciato qualche giorno fa da Bucha, dove si è anche incontrata con il Procuratore della CPI, che 5000 fatti criminosi sarebbero oggetto delle indagini ucraine, e che nell’ordine apparirebbero i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità e il genocidio (fonte: Kyiv Independent).

Anche gli Stati terzi e, in particolare gli Stati parti dello Statuto della CPI, soprattutto quelli che ospitano i rifugiati ucraini testimoni oculari dell’accaduto, debbono impegnarsi nella raccolta delle prove testimoniali, che nel processo sono le più significative e rilevanti. Essi vi si debbono impegnare sia ai fini della cooperazione con la stessa giurisdizione ucraina e con la CPI, sia, come vedremo, ai fini di eventuali processi davanti ai propri Tribunali. E c’è chi lo sta facendo dai primi giorni della fuga di migliaia di Ucraini, divenuti ormai milioni.

E’ così che la Polonia, già a metà marzo ha informato il Procuratore di quella Corte di aver ascoltato centinaia di rifugiati testimoni dei fatti. E’ quanto avrebbe dovuto fare anche il nostro Paese dal momento dell’arrivo dei tanti rifugiati ucraini. Plaudo dunque alla informazione dataci il 24 aprile dal Ministro Di Maio della decisione di mettere alcuni investigatori italiani alla disponibilità dell’Ufficio della Procura della CPI. Da fonte ufficiale si è anche saputo che il Canada ha costituito una task force di investigatori componenti della Gendarmeria del Paese, che si troverebbero già sul territorio ucraino e che sono impegnati anch’essi a collaborare con gli investigatori di quella Procura.

4. La giurisdizione di Stati terzi

Vi è anche la possibilità reale che dei crimini di cui qui discuto si occupino i tribunali di Stati terzi, in particolare di quegli Stati, pochi, dotati del criterio di giurisdizione universale puro (a prescindere cioè da qualsiasi nesso fra crimine e Stato) o condizionato (dal nesso della presenza del presunto responsabile sul territorio dello Stato). Qui posso dare solo qualche esempio dell’esercizio dei due criteri di giurisdizione universale.

Particolarmente interessante in questo campo è la legislazione svedese, che non solo contempla la giurisdizione universale pura per crimini di guerra, crimini contro l’umanità (non per il crimine di aggressione), ma permette anche, nel caso in cui essa venga esercitata, il processo in contumacia, ciò che rende più efficace il suo esercizio. Ed è così che i Tribunali svedesi hanno già avviato le indagini c.d. strutturali sui crimini nell’Ucraina, come era accaduto per i crimini della Siria, che hanno poi portato a vari processi nei confronti di ex-alti funzionari siriani e alla loro condanna (per lo più in loro presenza, perché rifugiati in Svezia o lì estradati) per crimini commessi nello svolgimento della loro funzione ufficiale. Qui, naturalmente, il governo siriano non ha eccepito l’immunità funzionale, poiché si trattava di individui che si erano rifugiati in Svezia o erano stati estradati in Svezia da altri Paesi di rifugio.

Sulla base delle prove che si stanno raccogliendo con le indagini in corso, si può ben ritenere che i Tribunali svedesi procederanno anche in contumacia nei confronti dei sospetti responsabili dei crimini nell’Ucraina, organi della Federazione russa. E’ altamente probabile, però, che la Federazione russa, oltre a eccepire l’immunità funzionale, eccepirebbe per il Capo dello Stato, per il Capo del governo e per il Ministro degli affari esteri anche l’immunità personale secondo il secolare principio ne impediatur legatio applicato agli agenti diplomatici ed esteso a chi gestisca rapporti internazionali per conto del proprio Paese.

Tanto le immunità funzionali quanto quelle personali sono contemplate dal diritto internazionale consuetudinario e la CIG ne ha riconfermato l’applicabilità anche nei confronti dei sospetti responsabili dei c.d. “core crimes of international law” in una controversia Congo contro Belgio nel caso Yerodia[6]. La Corte si è in verità limitata ad applicare l’immunità personale assoluta a favore di un Ministro degli Esteri sospettato di crimini internazionali (la decisione sul punto fu presa con tre opinioni dissidenti), precisando che essa si perde alla fine dell’incarico. Al contempo, essa ha però affermato, en passant, che resterebbe pur sempre l’immunità per gli atti posti in essere a titolo ufficiale. In tal modo la Corte ha implicitamente sostenuto l’esistenza davanti alle giurisdizioni nazionali anche dell’immunità funzionale, senza eccezione con riguardo ai crimini internazionali. Su questo punto essa non ha però provveduto ad alcuna analisi della prassi statale.

In realtà, la prassi statale relativa al rapporto fra crimini internazionali e immunità funzionale mostra la sempre più frequente disapplicazione di tale immunità. E’ improbabile, dunque, che essa venga riconosciuta dalla giurisdizione svedese, particolarmente sensibile all’esigenza di non garantire l’impunità per crimini così gravi. Non è però escluso che ciò possa far sorgere una controversia internazionale fra Russia e Svezia, che, a certe condizioni, potrebbe arrivare davanti alla CIG. Forse, però, alla luce di una prassi statale più frequente in favore dell’eccezione all’immunità funzionale per accuse di crimini internazionali, la CIG potrebbe cambiare orientamento rispetto a quanto affermato en passant nel caso Yerodia.

Si potrebbe dunque ben arrivare in Svezia alla conclusione di processi in contumacia con la condanna degli imputati organi dello Stato russo, compresi alti comandanti militari, che risultassero aver commesso crimini di guerra e/o crimini contro l’umanità ed eventualmente atti di genocidio. E ciò potrebbe occorrere anche per alcuni membri della leadership di Mosca. Purtroppo, però, allo stato attuale a tutti sarebbe sicuramente garantito con la mancata estradizione in Svezia di non espiare la pena, né si può sperare che essi la espierebbero nel loro Paese. E’ però pacifico che i condannati si troverebbero sino alla fine dei loro giorni o di un cambio radicale di regime sotto la spada di Damocle di un tale cambio, come del rischio dell’estradizione da parte di uno Stato nel quale essi possano trovarsi in visita ufficiale o privata.

Ciò comporterebbe a ogni buon conto la riduzione drastica della loro mobilità e quindi pur sempre una sanzione. Certamente un condannato in Svezia per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio commessi sul territorio ucraino non si azzarderebbe a venire in uno dei Paesi europei e neppure in nessuno degli Stati extra-europei che fossero tenuti a estradarlo verso la Svezia.

Quanto all’immunità personale, non credo che la CIG possa cambiare posizione, anche in ragione della prassi statale che sembra ancora in prevalenza saldamente ancorata ad applicarla a certi alti vertici sospettati di crimini internazionali. Molto probabilmente, quindi, anche la giurisdizione svedese l’applicherebbe. Credo quindi che Putin e Lavrov possano, almeno per ora, dormire sonni tranquilli rispetto alle indagini dei Procuratori svedesi.

Anche la legislazione tedesca contempla il principio di giurisdizione universale puro per i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità e il genocidio, permettendo il suo esercizio a prescindere da qualsiasi collegamento della fattispecie di reato con la Germania (art. 1 della Völkerstrafgesetzbuch – VStGB – del 2002). Ma più spesso vi si è utilizzato il principio di giurisdizione universale relativo, condizionato cioè al fatto che il sospetto reo si trovasse sul territorio tedesco oppure si prevedesse che in futuro potesse trovarvisi.

E’ così che si sono avute qui, come in Svezia, alcune condanne per i crimini commessi nel corso del lungo conflitto siriano da funzionari del regime di Assad poi rifugiati in Germania. Si veda, per esempio, la condanna all’ergastolo per crimini contro l’umanità di un ex-colonnello dei servizi di intelligence siriani rifugiato in Germania; ma più significativo, perchè si tratta della prima condanna per il genocidio della comunità yazidi ad opera dell’ISIS, è l’ergastolo comminato a un iracheno affiliato a tale organizzazione, il quale, durante quel genocidio, aveva schiavizzato una donna e la sua bambina di cinque anni, sottoponendo poi questa a torture e provocandone il decesso. Il procedimento era partito sulla base del criterio di giurisdizione universale puro, perché egli era stato arrestato in Grecia.

Anche in Germania sono quindi possibili processi per crimini di guerra e crimini contro l’umanità da chiunque commessi in Ucraina durante la guerra civile del Donbas e quelli commessi e in corso durante l’attuale conflitto armato. Infatti, la procura federale tedesca ha aperto un’indagine per tali crimini, anche in funzione di una cooperazione con la CPI.

Purtroppo, neppure in Germania la giurisdizione universale è contemplata per il crimine di aggressione. Per questo crimine la giurisdizione tedesca è sottoposta a due condizioni alternative: il crimine commesso all’estero è punito solo se diretto contro la Germania o se l’autore è cittadino tedesco.

5. La Corte penale internazionale

Sappiamo che anche la CPI ha competenza a occuparsi dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità nell’Ucraina e, se del caso, anche del genocidio. Purtroppo, non è competente, in questa situazione, per il crimine di aggressione (si veda mio scritto già citato [7]).

Sappiamo anche che il Procuratore della Corte ha concluso una fase preliminare iniziata durante il conflitto in Donbas e proseguita con riferimento ai crimini di tutto il territorio ucraino a partire dal 24 febbraio 2022. Tale fase era volta all’accertamento dell’esistenza di una situazione in Ucraina in cui vi fosse evidenza di crimini di competenza della Corte. Grazie al rinvio della situazione dei crimini ucraini ad opera di 43 Stati parti dello Statuto, egli è potuto passare alla fase ulteriore di apertura delle investigazioni per l’ individuazione di casi concreti di sospetti responsabili rispetto a specifici crimini di guerra, crimini contro l’umanità e atti di genocidio.

A questo fine, l’11 marzo egli ha annunciato che la Procura aveva creato un portale accessibile da chiunque possa fornire informazioni rilevanti sulla situazione dell’Ucraina e che le investigazioni sono condotte da un team che opera sul campo. Con enfasi egli ha poi ricordato: tutti coloro che sono coinvolti in questo conflitto sono tenuti a rispettare strettamente le regole applicabili del diritto internazionale umanitario; in particolare, se gli attacchi sono intenzionalmente diretti contro la popolazione civile, questo è un crimine; se sono intenzionalmente diretti contro obiettivi civili, questo è a crimine. Egli ha infine sollecitato fermamente le parti al conflitto a evitare l’uso di pesanti armi esplosive nelle zone popolate, poiché “non c’è giustificazione giuridica, né scusa per attacchi indiscriminati o sproporzionati nei loro effetti sulla popolazione civile”.

Inoltre, il Procuratore ha più volte sollecitato la cooperazione degli Stati coinvolti e degli Stati terzi alle investigazioni della Corte. A questo fine egli si è anche recato in Ucraina due volte: la prima, il 16 marzo, allorché ha incontrato la Procuratrice generale dell’Ucraina, altre personalità e lo stesso Presidente Zelensky, e si è poi fermato in Polonia per parlare con numerosi rifugiati; la seconda, il 13 aprile, allorché egli ha incontrato la Procuratrice generale a Bucha. Grazie alla cooperazione che molti Stati terzi hanno assicurato e stanno già realizzando, come si è visto, la procedura davanti alla Corte sui crimini dell’Ucraina dovrebbe dunque essere più rapida di quanto lo sia stata per altre situazioni.

Il Procuratore non potrà però procedere in un caso sul quale siano in corso investigazioni o si stia procedendo in uno Stato in modo genuino ed efficace o si siano già svolte investigazioni genuine e lo Stato abbia deciso di non procedere, a meno che tale decisione non sia frutto di incapacità o mancanza di volontà. Ugualmente il Procuratore non potrà procedere se la persona coinvolta abbia già subito un processo genuino e imparziale per la condotta oggetto delle investigazioni davanti alla Corte (Art. 17 dello Statuto).

Dunque, nella misura in cui l’Ucraina o gli Stati terzi procedano in modo genuino e imparziale sugli stessi casi sotto investigazioni o procedure davanti alla CPI, nonché nella misura in cui tali Stati siano in grado di condurre una procedura e di portarla a termine con l’assoluzione o la condanna dell’imputato, la giurisdizione della CPI non può essere esercitata. La priorità della competenza gioca in questo caso a favore delle giurisdizioni nazionali, a condizione naturalmente che conducano investigazioni genuine, che conducano processi imparziali, che non intendano garantire ai responsabili l’impunità.

Il principio di complementarietà alla base della giurisdizione della CPI non è altro che la presa d’atto del fatto che essa non può certo occuparsi di migliaia di sospettati di crimini internazionali commessi sul territorio di numerosi fra gli Stati parti (123) (e quelli che abbiano accettato ad hoc la competenza della Corte, come per l’appunto l’Ucraina) o dai cittadini di tali Stati. Non si poteva quindi non lasciare anzitutto agli Stati la priorità della funzione di rendere giustizia.

Del resto è sul loro territorio che i crimini vengono commessi, sono i loro cittadini a commetterli anche su territori altrui, sono i loro cittadini a esserne vittima e quindi gli Stati hanno certamente interesse alla loro repressione, a meno che la sua leadership, con la complicità del sistema giudiziario, non vi sia essa stessa coinvolta, come il più delle volte avviene proprio con riferimento ai crimini internazionali e come è il caso per i crimini nell’Ucraina.

Ma proprio tale coinvolgimento ha ispirato le disposizioni operative del principio di complementarità di cui all’Art. 17 dello Statuto. Ciò comporta anche che i TPI sono i più idonei a conoscere dei crimini di cui siano sospettati i c.d. “pesci grossi”, piuttosto che occuparsi degli esecutori sul campo. E’ così, per esempio, che secondo la policy, che è stata in particolare seguita, soprattutto ai sensi di una decisione del C.d.s., dai Procuratori dei due Tribunali ad hoc – TPIY e TPIR – queste due giurisdizioni internazionali si sono piuttosto dedicati a processare i c.d. “più alti responsabili” dei crimini della ex-Iugoslavia e del Ruanda, lasciando alle giurisdizioni nazionali le procedure contro gli esecutori sul campo.

In questo contesto valeva però il principio della primazia della giurisdizione internazionale sulle giurisdizioni nazionali e quindi restava nelle mani delle due giurisdizioni internazionali la scelta di chi occuparsi. Nel rapporto fra la CPI e le giurisdizioni nazionali il rapporto è inverso: è la Corte che deve verificare cosa fanno o hanno fatto anzitutto gli Stati, salvo poi a riprendere in mano la situazione se questi non hanno la capacità o la volontà di rendere giustizia. E l’incapacità può anche consistere nella non previsione di alcune fattispecie di reato nella propria legislazione (che testimonia anche della non volontà di reprimere i crimini internazionali), oppure nell’impossibilità di ottenere l’estradizione del sospettato o imputato (ma la questione della mancata consegna – il termine estradizione si usa solo nei rapporti fra Stati – si può porre anche per la CPI) oppure nella impossibilità di poter procedere in ragione dell’immunità – di diritto interno o diritto internazionale – di cui egli benefici.

Ebbene, nonostante il processo davanti alla CPI sia possibile solo in presenza dell’accusato, quest’ultima ipotesi di incapacità è quella che finisce col rendere tale Corte l’unico meccanismo attualmente esistente ad assicurare la giustizia nel caso in cui sospetto responsabile di un crimine internazionale sia un Capo di Stato o di Governo o un Ministro degli Esteri e certamente il migliore anche per qualsiasi altro individuo-organo statale: ai sensi dell’Art. 27, infatti, lo Statuto “si applica a tutti in modo uguale senza alcuna distinzione basata sulla qualifica ufficiale”.

In particolare, la qualifica di capo di Stato o di governo, di membro di un governo o di un parlamento, di rappresentante eletto o di agente di uno Stato “non esonera in alcun caso una persona dalla sua responsabilità penale …e non costituisce in quanto tale motivo di riduzione della pena” Dunque, le immunità “inerenti alla qualifica ufficiale di una persona in forza del diritto interno o del diritto internazionale non vietano alla Corte di esercitare la sua competenza”.

Si può dunque ben arrivare davanti alla CPI a un mandato internazionale contro gli “alti responsabili”, con l’effetto della Spada di Damocle di cui si diceva per le procedure davanti alle giurisdizioni nazionali, ma rafforzato: i 123 Stati parti dello Statuto della CPI hanno infatti l’obbligo di consegnare l’accusato.

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[1] Questa lacuna non è casuale, essendo questa categoria di crimini internazionali applicabile anche in tempo di pace e soprattutto nei rapporti fra gli organi di stato e i loro concittadini vittime di feroci repressioni per il fatto di opporsi al potere in carica. Bisogna ammettere però che molti Stati sono riluttanti a contemplare nella loro legislazione tale categoria di crimini. Non possiamo però meravigliarci troppo di ciò visto che neppure la legislazione italiana prevede specificamente i crimini contro l’umanità – ma neppure i crimini di guerra nelle guerre altrui. Spero che queste lacune siano presto colmate dalla ennesima Commissione recentemente incaricata dell’adattamento allo Statuto della CPI: almeno due progetti giacciono nei cassetti del Ministero di giustizia, uno, completo, che proponeva l’adattamento a tutte le fattispecie criminose dello Statuto di Roma, e l’altro che ne escludeva, purtroppo, la categoria dei crimini di guerra.

[2] A seguito dei risultati della ricerca scientifica sull’inesistenza delle “diversità razziali”, tale termine ha ormai acquisito un significato soltanto soggettivo riferibile alla convinzione di alcuni, seppure errata, dell’esistenza di tali diversità.

[3] Tra questi strumenti sono naturalmente da ricomprendere le Convenzioni di Ginevra del 1949 sui limiti alla violenza bellica e i Protocolli aggiuntivi del 1977, di cui sono parti tanto la Federazione russa quanto l’Ucraina. In essi si vieta non solo il ricorso a certi mezzi e metodi di condotta delle ostilità – in parte qualificabili come crimini di guerra -, ma anche, in particolare nella normativa concernente la protezione della popolazione civile in regime di occupazione bellica, la violazione di principi fondamentali di umanità, e cioè i crimini contro l’umanità.

[4] Euromaidan SOS: a new government bill № 7290 artificially reduces opportunities to prosecute Russian military commanders and civilian superiors liable for war crimes – Центр Громадянських Свобод (ccl.org.ua)

[5] V. Putin, On the Historical Unity of Russians and Ukrainians, en.kremlin.ru/events/president/news/66182. Mi chiedo se i tanti opinionisti che leggiamo e ascoltiamo ogni giorno, soprattutto quelli che vedono la salvezza dell’Ucraina nelle trattative con Putin se lo sono letto! La “pace” la imporrà lui allorché si sarà mangiato buona parte o tutta l’Ucraina!

[6] Allora, la CIG chiese al Belgio l’annullamento del mandato di arresto internazionale emanato da un Tribunale belga sulla base del criterio della giurisdizione universale contro il Ministro degli Esteri congolese accusato di crimini contro l’umanità. Tale mandato avrebbe violato le norme sull’immunità tanto funzionale che personale di tale organo straniero.

[7] Come ho già scritto allora servirebbe una modifica agli Emendamenti di Kampala. La via alternativa, proposta da alcuni, della istituzione tramite accordo fra Nazioni Unite e Ucraina di un nuovo TPI ad hoc competente almeno sul crimine di aggressione, non la vedo facilmente percorribile: anzitutto perché i tribunali ad hoc ibridi – quello per la Sierra Leone, quello per la Cambogia, ecc. – sono sempre stati istituiti con accordi con lo Stato sì territoriale, ma la cui leadership si era macchiata dei crimini, situazione ben diversa da quella dell’Ucraina vittima dell’aggressione. Inoltre, tali accordi avevano tutti alla base una decisione del C.d.s. che ai sensi del Capo VII accertava la minaccia alla pace in quelle situazioni (con decisioni dunque vincolanti e autoritative), ciò che sarebbe impossibile nella situazione dell’Ucraina per via del diritto di veto. Si dovrebbe quindi seguire una procedura diversa, come quella proposta proprio oggi (28 aprile 2022) da una Risoluzione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (la n. 2436-2022): vi si sollecitano gli Stati parti di questo organismo a creare essi stessi un siffatto Tribunale, che s’imporrebbe quindi in modo autoritativo rispetto ai vertici della Russia, nel modo in cui il Tribunale di Norimberga è stato imposto dagli Stati vinti ai vertici della Germania sconfitta, situazione però ben diversa da quella della Russia. Si tratta di qualcosa di non facile da realizzare, quindi, e del resto di anacronistico in un’epoca in cui si riteneva superata l’esperienza significativa di Norimberga. Inoltre, non sarebbe facile coprire i costi di un tale Tribunale, viste le difficoltà nelle quali già si trova la CPI per la condotta delle investigazioni appena aperte e, anzi, quei costi porterebbero inevitabilmente alla riduzione delle risorse della Corte; i tempi organizzativi sarebbero estremamente lunghi; le difficoltà operative, pressoché coincidenti con quelle che affronterà la CPI per le procedure sugli altri crimini permetterebbero al nuovo tribunale, solo se si prevedesse il processo in contumacia, di arrivare alla condanna di qualche responsabile, ma non, per ora, all’espiazione della pena. Alla luce di tutto ciò, non vedo una grande convenienza per un tale tribunale. Alla fin fine, io mi riterrei già molto soddisfatta se contro i componenti della leadership russa potessero essere emanati mandati di arresto internazionali per crimini di guerra, crimini contro l’umanità ed eventualmente genocidio, in attesa del loro arrivo, magari fra qualche anno, a difendersi davanti alla Corte. Ma già ora questi mandati rappresenterebbero una sanzione pesante per persone abituate a girare il mondo sui propri milionari yacht per fare acquisti milionari e godersi la vita con i bottini saccheggiati al popolo russo (a partire dalla transizione della fine degli anni ’80 del secolo scorso).



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