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Crisi umanitaria, alimentare ed energetica. L’Ucraina riflessa nel Mediterraneo

Tre grandi crisi si riflettono già oggi – ma possono nei prossimi mesi diventare ancora più complicate – nel Mediterraneo, nel rapporto con l’Africa e nel rapporto con il Vicino ed Estremo oriente. L’analisi del presidente di Med-Or, Marco Minniti

C’è un filo rosso che lega quello che sta avvenendo in questo momento in Ucraina con quanto avviene, è avvenuto e avverrà nel Mediterraneo. Partiamo da tre grandi temi.

La guerra in Ucraina, ha fatto, per esempio, esplodere una gigantesca questione umanitaria, una drammatica crisi umanitaria, nel cuore dell’Europa. In questo momento abbiamo oltre cinque milioni di profughi che hanno lasciato l’Ucraina e sono stati accolti in Europa. L’Italia circa centomila. Cifre non banali.

Poi c’è un secondo tema, si chiama crisi alimentare. Che c’entra la crisi alimentare con l’Ucraina? C’entra eccome. Per una ragione semplicissima: perché noi siamo affacciati sull’Africa. E dobbiamo saperlo, questo impatta sull’Italia, ma su alcuni paesi del Nord Africa l’impatto è drammatico: c’è una dipendenza diretta della produzione di grano della Russia e dell’Ucraina, di cui immediatamente c’è un riflesso nella produzione alimentare. Noi siamo in zone dov’è molto diffusa l’industria alimentare, l’industria della trasformazione del grano. È chiaro che il blocco del commercio, e un domani forse anche della produzione del grano, avrà ripercussioni non banali. Ma mentre l’Italia è un Paese del G7, nei paesi del Nord Africa la dipendenza è molto forte, per alcuni paesi del Nord Africa è intorno al 90%.

Terzo, la crisi energetica. Se qualcuno avesse avuto dei dubbi, nel momento in cui è esplosa la guerra in Ucraina abbiamo immediatamente disvelato un fatto, e cioè che l’Europa ha una dipendenza strategica dalla produzione energetica innanzitutto della Russia. E la dipendenza è talmente strategica che oggi noi siamo stretti in una drammatica contraddizione: cioè l’Europa è contro la guerra, è contro l’invasore russo, e tuttavia non riesce ad applicare fino in fondo le sanzioni. Perché se applicasse fino in fondo le sanzioni, e arrivasse all’embargo per il petrolio e il gas russo, avrebbe conseguenze immediate sulla gestione dell’economia e della vita dell’Europa stessa. Per cui siamo di fronte a una gigantesca contraddizione.
In questi sessanta giorni l’Europa ha inviato finanziamenti all’Ucraina per un miliardo di euro e ha continuato a pagare la produzione petrolifera di gas alla Russia per trentacinque miliardi di euro, praticamente quasi un miliardo al giorno.

Una gigantesca contraddizione. È il segno dell’interconnessione dell’economia mondiale. Il mondo è molto più interconnesso di quanto noi possiamo pensare. Nemmeno la pandemia è riuscita a cancellare l’interconnessione. Eppure, non si poteva uscire di casa, e nonostante questo non ha fermato l’interconnessione perché il mondo è fortemente interconnesso.

Uno studioso americano di origine indiana, Parag Khanna, ha scritto un libro il cui titolo è Connettography, e cioè l’idea che non è possibile più nemmeno leggere la geografia se non attraverso il principio della connessione, per cui dobbiamo misurarci quasi con un approccio di una nuova scienza, cioè la connettografia. La geografia senza la connessione non è più comprensibile.

Crisi umanitaria, crisi alimentare e crisi energetica. Queste tre grandi crisi si riflettono già oggi – ma possono nei prossimi mesi diventare ancora più complicate – nel Mediterraneo, nel rapporto con l’Africa e nel rapporto con il Vicino ed Estremo oriente.

Noi potremmo arrivare nelle prossime settimane, se non c’è un piano di sostegno particolarmente elevato, al fatto che in alcuni paesi dell’Africa non ci sarà più la possibilità di distribuire e di produrre pane. Non cose molto complicate, il pane.
Sono paesi in cui abbiamo già visto per esempio in altri momenti della storia delle rivolte sociali, perché è evidente che se non c’è il pane è difficile gestire un rapporto con la popolazione. Se c’è una crisi alimentare può esserci una drammatica ripresa di una crisi umanitaria. D’altro canto, sappiamo che il Mediterraneo è al centro dei grandi processi migratori.

Immaginate una grande crisi umanitaria nel Mediterraneo e la crisi umanitaria prodotta dalla guerra in Ucraina. L’Europa sarebbe stretta in una sorta di morsa umanitaria, cosa non semplicissima da gestire.
Fino ad adesso l’Europa ha gestito bene la crisi umanitaria provocata dall’Ucraina, con solidarietà, nessuno si è sottratto.
Ho parlato volutamente dei centomila arrivi in Italia, perché appunto l’Italia, che è molto lontana dall’Ucraina, ha accolto centomila persone ma naturalmente so perfettamente che il peso maggiore lo hanno sofferto la Polonia, l’Ungheria, i Paesi Baltici.
Siamo certissimi che di fronte ad un flusso imponente migratorio nel Mediterraneo i Paesi Baltici saranno così solidali come siamo stati noi? Non è soltanto un problema di volontà, è un problema anche di gestione concreta. Dal momento che c’è un paese che ha un milione e mezzo di profughi, può pensare realisticamente di prenderne degli altri che vengono da fuori?

Crisi energetica. Voi avete visto che il governo italiano sta lavorando per diversificare le importazioni. E dov’è andato? In Africa. Algeria, Congo, Angola. Ma c’è un grande tema. Nel Mediterraneo, seppur allargato, si affacciano i grandi paesi produttori di petrolio del mondo, e cioè la penisola arabica. È evidente che lì si gioca un punto cruciale della partita ma qui c’è un punto delicatissimo. Dopo la crisi e la guerra in Ucraina il mondo ha chiesto ai paesi arabi. Il cartello prima si chiamava Opec (ed era il cartello dei produttori di petrolio del mondo), poi ne hanno fatto un altro che si chiama Opec Plus perché si è aggiunta la Russia.

Tutti hanno fatto appello perché si aumentasse la produzione di petrolio, perché nel momento in cui c’è il blocco dei rapporti con la Russia se aumenti la produzione degli altri paesi rendi ininfluente la produzione russa. Cosa che il mondo vorrebbe. E tuttavia la risposta del cartello Opec più Opec Plus è stata no, non si aumenta la produzione di petrolio.
Dietro a questo no non c’è una ragione economica, perché è evidente che aumentando la produzione aumentano anche i ricavi, anche se naturalmente alcuni scommettono sull’aumento del costo del petrolio (e quindi i ricavi aumentano anche se vendi di meno).

C’è un problema di un’incomprensione politica. Cioè nel mondo ci sono due grandi assi in questo momento: l’asse della solidarietà nei confronti dell’Ucraina, e cioè di coloro di quei paesi che considerano con tanta nettezza che c’è un invasore (la Russia) e un invaso (gli ucraini).

Poi c’è un’altra parte del mondo che pur giudicando che c’è un invasore e un invaso è distante da questi fenomeni, da questa partita, si sente non pienamente coinvolto, e viene chiamato tecnicamente “l’asse dell’indifferenza”.
Non vi rivelo nulla di particolarmente segreto se vi dico che in questo momento l’asse dell’indifferenza coinvolge la maggioranza della popolazione del mondo.

È chiaro di cosa stiamo parlando? Perché c’è quest’asse dell’indifferenza? Perché come voi sapete ad un certo punto, quando ci sono tornanti particolarmente complessi della storia, ognuno porta nella storia immediata quello che è successo prima. Tutti arrivano a valutare l’elemento storico forti di un’esperienza passata, per cui ad un certo punto c’è qualcuno che dice “sì è drammatico che ora ci sia un invasore e un invaso, ma perché prima non vi siete occupati, per esempio, degli attacchi del terrorismo internazionale a grandi paesi arabi?” O “Perché non vi siete occupati prima dell’Africa?”.
Ad un certo punto, quando arrivi ai grandi tornanti della storia, il tema delle recriminazioni storiche diventa particolarmente rilevante.

(Questo articolo è parte dell’intervento del Presidente di Med-Or Marco Minniti in occasione della firma del protocollo di collaborazione tra l’Università di Foggia e la Fondazione, venerdì 22 aprile 2022. Leggi qui l’intervento completo)



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