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La “ridotta” delle democrazie liberali. La riflessione di Pennisi

Trenta anni fa le democrazie liberali sembravano aver vinto la sfida contro i totalitarismi. Ma guardando al mondo intero e ai sistemi politici si può dire che la storia non è finita, parafrasando Francis Fukuyama e il suo saggio “The End of History” pubblicato poco prima della caduta del Muro di Berlino

Nel gergo militare si definisce ridotta una fortificazione di minore importanza o comunque considerata secondaria. La ridotta generalmente non è mai isolata in un territorio, proprio in funzione della sua minore potenza, ma è utilizzata come parte integrante di un sistema difensivo più ampio, che il più delle volte affianca alle stesse ridotte delle roccaforti, dei castelli o dei muri di difesa. Vi potevano trovar riparo soldati o materiali bellici.

Il termine mi è venuto in mente pensando, mi si scusi il gioco di parole, a come sono ridotte le democrazie liberali che trenta anni fa parevano aver vinto la sfida contro i totalitarismi. Quasi in contemporanea con il crollo del muro di Berlino, il politologo nippo-americano Francis Fukuyama pubblicò il saggio “The End of History”, sul settimanale The National Review. Era il nucleo di un libro che diventò un best seller quando nel 1992 venne pubblicato con il titolo “The End of History and the Last Man”. Fukuyama preconizzava che con il tracollo del comunismo e la vittoria della liberal-democrazia ci sarebbe stata la fine della storia, caratterizzata per decenni, ove non secoli, dal conflitto tra Occidente liberale ed Oriente totalitario (tale da avere ripercussioni in tutto il mondo). In risposta a “The End of History and the Last Man”, Samuel Huntington pubblicò, nel 1992, su Foreign Affairs il saggio “The Clash of Civilizations” destinato anche esso ad essere ampliato e a diventare un saggio di successo.

Ci si accorse che la “storia non era finita” con l’attacco alle Torri Gemelle e la successiva lotta al terrorismo che portò alle due guerre in Iraq, e quelle in Afghanistan, Siria, Libia e altri luoghi. Lontani comunque dai nostri occhi. Restavamo convinti che “la storia” fosse finita con la vittoria delle democrazie liberali, che restavano comunque il fulcro della modernizzazione e del futuro.

L’aggressione della Russia all’Ucraina e le interviste di Karaganov, Surgov, Dughin e degli altri ideologi della Nuova Russia alle principali testate italiane dovrebbe farci riflettere: nell’Europa dall’Atlantico agli Urali ci sono grandi Paesi che si nutrono di un etno-nazionalismo che ricorda Carl Schmitt e una passione per l’autocrazia appoggiata sulla religione che ricorda Joseph de Maistre. Nella stessa Europa occidentale, ci sono Paesi che la settimana scorsa hanno eletto governi che si proclamano “democratici” ma “illiberali” o “non liberali”. Questo fine settimana si vota in Francia: i sondaggi alimentano molti dubbi sulla vittoria di chi vuole essere “democratico” e “liberale”.

Ai tempi di “The End of History and the Last Man” si pensava che l’integrazione economica internazionale (o globalizzazione) avrebbe fatto il resto: portato alla modernizzazione, e quindi alla liberal-democrazia, sulla spinta del progresso economico che il sistema comportava. Occorre dire che in quegli anni unicamente il Pontificio Consiglio Justitia et Pax si levò a dire che una “globalizzazione non gestita” avrebbe potuto fare più danni che altro.

Si aprì alla Cina l’Organizzazione Mondiale del Commercio, senza rendersi conto che sarebbe diventato uno strumento per impossessarsi di tecnologie e rendere ancora più stringente l’autoritarismo. Due anni dopo, a Pratica di Mare si sancì la “svolta storica” della nascita del Consiglio Nato-Russia in cui si pensava che si sarebbe battuto insieme il terrorismo perché “le nazioni civili saranno unite per fronteggiare questo pericolo”. Nessuno o quasi pensava che coloro i quali si nutrono di un etno-nazionalismo che ricorda Carl Schmitt e una passione per l’autocrazia appoggiata sulla religione che rammenta Joseph de Maistre non avrebbero mai apprezzato la liberal democrazia.

Guardiamo rapidamente al resto del mondo, che, secondo Francis Fukuyama, avrebbe dovuto prendere la strada delle democrazie liberali. In America centrale e meridionale sono un fenomeno trascurabile. In Asia, la Cina è sempre più autoritaria e sempre più legata a Mosca (da “amicizia fraterna”). Paesi come la Federazione di Malesia che, negli ultimi decenni del secolo scorso, parevano avviarvici se ne stanno allontanando. La stessa India, che era una democrazia compiuta, non ha preso una posizione chiara e netta nella vicenda dell’aggressione della Federazione Russa nei confronti dell’Ucraina.

Sono certamente liberal-democratici i Paesi dell’Oceania (Giappone, Australia, Nuova Zelanda) ma non possono sbandierarne i principi al resto del mondo data la loro localizzazione. Sono una ridotta così come lo è l’Europa Occidentale che non essendosi data in oltre sessanta anni una politica di difesa comune, deve contare sul supporto degli Stati Uniti. E cantare una canzonetta di George M. Cohan, prolifico autore di commedie musicali, e protagonista di Broadway dal 1900 al 1942: Overthere, overthere, there are yankees everywhere, everywhere! (“Laggiù, laggiù ci sono yankee dappertutto, dappertutto!) composta in occasione dell’intervento Usa della Prima guerra mondiale. Pochi giorni dopo la Rivoluzione russa e l’abdicazione dei Romanov.

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