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Il fattore Putin nelle elezioni ungheresi. Sondaggi, numeri e schieramenti

Orbàn è favorito, anche se il fronte dell’opposizione è a pochi punti di distacco. La novità dell’ultimo mese è il posizionamento di Budapest nel conflitto ucraino: le durissime parole di Zelensky contro il premier ungherese potrebbero avere un effetto che i sondaggi non riescono a captare

Domenica gli ungheresi saranno chiamati alle urne per esprimersi in merito al rinnovo dell’Assemblea Nazionale e alla proposta referendaria che vieta “la promozione della non conformità di genere, la riassegnazione di genere, l’omosessualità”.

Stando ai recenti sondaggi, l’alleanza Fidesz-Kereszténydemokrata Néppárt (Partito popolare cristiano democratico) convince il 50% dei votanti, mentre la grande coalizione guidata da  Péter Márki-Zay (il giovane sindaco di Hódmezővásárhely) e  sostenuta dal partito socialista ungherese, dai verdi di Dialogo per l’Ungheria e di La Politica può essere Diversa, dalla destra nazionalista di Jobbik, dai progressisti di Coalizione democratica e i liberali di Movimento Momentum, si aggira attorno al 45%.

Le testate nazionali ungheresi prevedono e scommettono senza esitazioni sulla rielezione di Viktor Orbán, al potere dal 29 maggio 2010 e leader indiscusso di Fidesz, il partito che il premier più longevo dell’Unione Europea (dopo il ritiro di Angela Merkel) traghettò, nella fase post-comunista, da posizioni liberali e filo-europeiste a punti prospettici impregnati di conservatorismo ed euroscetticismo.

Ma si da il caso, che in questa tornata elettorale Orbán dovrà fare i conti con alcune dinamiche che la sua rete di potere non può influenzare o dirigere, ovvero: l’instabilità del contesto internazionale e gli sviluppi geostrategici e macroeconomici che ne derivano.

Dunque, quali sono e quali saranno le principali preoccupazioni che attendono il vecchio o il nuovo premier? Innanzitutto, il 72% degli ungheresi (sondaggio Ipsos di febbraio 2022) ritiene che le storture e le piaghe interne al Paese siano maggiori rispetto ai successi conseguiti dall’esecutivo. Il 43% dei cittadini critica e denuncia la corruzione che attanaglia le istituzioni democratiche e, soprattutto, teme l’acuirsi del tasso di disoccupazione e di povertà. Un problema che può essere aggravato dall’elevata inflazione che nel mese di febbraio ha raggiunto l’8,3%.

Durante i precedenti mandati, l’agenda politica promossa da Orbàn ha incanalato l’azione di governo verso un considerevole aumento della spesa pubblica; ricordiamo, inoltre, l’istituzione della commissione di controllo televisiva, le riforme economiche che miravano a “magiarizzare” il capitalismo nazionale, e quelle costituzionali (soggette a varie modifiche) che limitano il pluralismo dell’informazione e l’autonomia della magistratura.

È utile, oltretutto, sottolineare che nel 2017 le relazioni di Budapest con Kiev subirono un grave deterioramento a causa della questione relativa alla presenza della minoranza ungherese in Ucraina. Infatti, il governo di Orbàn criticò aspramente la legge sull’istruzione che faceva dell’ucraino l’unica lingua impartita nelle scuole statali, inducendo il premier ungherese non solo a minacciare il blocco dell’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea e nella Nato, ma a consolidare il legame con il Cremlino.

Oggi, l’ombra dei carri armati russi aleggia sul voto cruciale del 3 aprile, il cui esito modificherà gli equilibri anche all’interno del vecchio continente.

Diversamente dal collega polacco Mateusz Moraweicki, Orbàn ha sempre manifestato una timida equidistanza dalle rivendicazioni di libertà e indipendenza espresse dal popolo ucraino e dalla volontà di un riequilibrio dell’ordine internazionale preteso da Mosca. Tanto che, durante i lavori del Consiglio Europeo, Zelenskyj ha puntato l’indice contro il capo di Fidesz esclamando : “sai cosa sta accadendo a Mariupol?”, quasi a costringerlo a intraprendere una netta presa di posizione contro Putin.

Ma, proprio in occasione dell’imminente consultazione elettorale, Orbàn smercia il rapporto preferenziale con il presidente russo come una scorciatoia pacifista e un utile strumento per ridurre il prezzo dell’energia. Un messaggio che rassicura i timori dell’opinione pubblica e che mobilita l’elettorato delle zone rurali a contribuire alla riconferma del paladino dei valori tradizionali. Si tratta di un martellamento propagandistico che etichetta il fronte eterogeneo dell’opposizione come un motivo di guerra e caos, mentre conferisce a Orbàn la corona del pacificatore. Una sorta di Augusto in salsa ungherese capace di sedare i disordini sociali e di tenere il proprio Paese lontano dagli artigli dell’orso post-sovietico e neoimperialista. I dirigenti e i parlamenti di Fidesz sono così sicuri del trionfo elettorale che dal 2010 omettono di pubblicare un documento programmatico che esplichi e argomenti le priorità del partito di governo.

Per quanto concerne il referendum confermativo sulla legge anti-lgbtq, che a gennaio spinse un gruppo di eurodeputati a chiedere al direttore dell’ufficio per le istituzioni democratiche dell’Osce (Matteo Mecacci) un’osservazione “su vasta scala” per le elezioni in Ungheria, esso verrà somministrato attraverso i seguenti quesiti pubblicati da Eunews: sei a favore dello svolgimento di presentazioni negli istituti di istruzione pubblica che introducano i minori a temi sull’orientamento sessuale senza l’autorizzazione dei genitori? Sei a favore della promozione di trattamenti di riassegnazione di genere per i minori? Sei a favore che trattamenti per la riassegnazione di genere siano messi a disposizione dei minori? Sei a favore che ai minori vengano mostrati, senza alcuna restrizione, contenuti media di natura sessuale in grado di influenzare il loro sviluppo? Sei a favore che ai minori vengano presentati contenuti multimediali che mostrino la riassegnazione di genere?

Ma il vero referendum riguarda la riconferma o lo sfratto del premier Orbàn dalla centrale di comando di Budapest. Domenica gli ungheresi saranno chiamati a scegliere, in un momento di alta tensione internazionale e in un panorama politico radicalmente polarizzato, tra un’adesione chiara e ferma all’asse euro-atlantico e le convergenze politiche con le ambizioni e gli indirizzi interni di Vladimir Putin, tra un continuum tradizionalistico e una svolta liberale, tra un nazionalismo benedetto da Oriente e la cosiddetta pax americana.

Una cosa è certa: qualunque sarà il risultato di domenica, l’Ungheria non potrà più nascondersi nelle zone d’ombra o crogiolarsi nelle sfumature.


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