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Dal Covid alla guerra in Ucraina. I tre errori madornali di Xi Jinping

Xi volerà a Bruxelles. Sarà paciere o polarizzatore?

Gli stati autoritari possono fare le cose per bene, ma odiano ammettere quando sbagliano. E gli indizi sul fallimento della strategia cinese sono evidenti, basta camminare per le strade deserte di Shanghai o guardare i video delle proteste online e in piazza. L’analisi dell’Economist

“Si dice speso che la Cina pianifica con dieci anni di anticipo, prendendo con attenzione la strada più lunga, mentre le democrazie barcollano ed esitano. Ma a Shanghai in questo momento non ci sono molti segnali di genio strategico”.

Comincia così un’analisi del settimanale The Economist sugli errori recenti della Cina. Con circa 25 milioni di persone bloccate in casa nella capitale finanziaria del Paese, e rivolte online e per le strade, i censori cinesi non riescono a nascondere la situazione.

Quest’anno sono principalmente tre i problemi che mettono in difficoltà le autorità di Pechino: la politica zero Covid, il rallentamento della crescita economica e la guerra russa in Ucraina.

“Si può pensare che non sono collegati – scrive l’Economist, ma la risposta della Cina per ognuno di loro ha una radice comune: arroganza in pubblico, ossessione per il controllo in privato e risultati che fanno sorgere grandi dubbi”. Le misure cinesi riflettono la natura autoritaria del regime di Xi Jinping, che si batte tra la ricerca di un equilibrio politico e l’ammissione degli errori commessi.

E questo non è il momento di sbagliare. L’approfondimento spiega che quest’anno il presidente Xi deve seguire una sceneggiatura precisa, giacché ad autunno è prevista la conferma del suo terzo mandato al congresso del Partito Comunista Cinese. Per dare inizio di un possibile mandato vitalizio, il leader cinese deve presentare un Paese stabile e di successo.

La propaganda cinese vuole presentare una buona gestione della pandemia, con un bilancio di morti molto basso e un’economia che è cresciuta, nonostante le difficoltà globali. Tuttavia, guardato con attenzione, il sistema cinese ha grandi debolezze.

Dopo due anni di frontiere chiuse, lockdown e test di massa, le autorità hanno deciso di eseguire un altro esperimento: imporre una quotidianità senza Covid a costo di perdere le libertà individuali e vivere in totale isolamento. Ma il Covid non sparirà e il governo non ha preparato minimamente la popolazione per convivere con il virus, non sono stati vaccinati molti anziani e persone vulnerabili e non c’è accesso ai vaccini occidentali, più efficaci di quelli domestici.

Anche sul fronte economico Pechino inciampa. Il governo ha chiesto alle aziende cinesi di essere più autosufficienti, ma secondo l’Economist l’imposizione di concetti generali come “prosperità comune” evidenza il tentativo di controllo statale e intimidisce gli imprenditori.

“L’industria tecnologica, che a un certo punto è stata effervescente, ora si trova in terapia intensiva – si legge sul settimanale -, e le dieci imprese più grandi hanno perso 1.700 miliardi di dollari di capitalizzazione dopo l’ondata di nuove regole”. I vertici di Alibaba e Tencent sono stati costretti ad “obbedire” alle indicazioni statali e hanno ridotto le loro apparizioni pubbliche e la crescita delle loro aziende.

Infine, il buco sulla politica estera e il coinvolgimento nella guerra in Ucraina. Xi si è schiarato a favore della Russia, seguendo l’allineamento contro l’Occidente. Tuttavia, questa posizione ha un prezzo. “Peggiorerà ancora di più i rapporti con gli Stati Uniti e l’Europa”. Il conflitto ha riacceso i temi che riguardano la Nato e la cooperazione transatlantica.

“È vero che molti Paesi non vogliono prendere posizione tra Occidente e Cina e Russia. Ma la diplomazia cinese dei “lupi guerrieri” sta fallendo perché gli stranieri resistono agli insulti e minacce di Pechino. Nei Paesi sviluppati, l’immagine pubblica della Cina è al punto più basso degli ultimi 20 anni. Ma accade anche in alcuni Paesi in via di sviluppo, come l’India, che temono l’aggressività cinese”.

La pubblicazione è enfatica, e poco ottimista, nella conclusione: “Gli stati autoritari possono fare le cose per bene, ma odiano ammettere quando sbagliano. Per ora, la crescita non è messa in discussione, ma basta guardare le strade deserte della sua città più grande per chiedersi se davvero Xi ha il monopolio della saggezza”.



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