Il Cremlino vuole vendere il gas ai mercati asiatici, ma mancano le infrastrutture. Nel frattempo l’Ue (che continua a pagare in euro) va verso un embargo “alleggerito” del petrolio. Segnali di cauto ottimismo dalle aste del gas, si comincia a stivare per l’inverno
La saga dell’energia continua in parallelo a quella bellica. Ora che il conflitto in Ucraina si sposta nell’est del Paese, e l’Unione europea pondera come liberarsi delle importazioni di idrocarburi dalla Russia, Vladimir Putin tenta di muovere verso est anche il baricentro della questione energetica annunciando che sposterà gradualmente le esportazioni di petrolio e gas verso i mercati asiatici. Nel frattempo, ha reiterato che l’Ue non avrebbe potuto fare a meno del suo gas.
Quella che voleva essere una minaccia è stata percepita come un segnale di debolezza. Come avvenuto per la minaccia di rinuclearizzare il Baltico e quella di forzare i pagamenti delle forniture in rubli: in settimana lo stesso Putin ha ammesso al cancelliere austriaco Karl Nehammer che si potrà continuare a pagare il gas in euro. È vero che per l’Ue disassuefarsi dal gas russo è molto difficile, seppur possibile, però la maggior parte dei gasdotti russi vanno verso l’Europa.
Non si scappa: il gas naturale liquefatto (Gnl) è una frazione marginale delle esportazioni russe, la costruzione del secondo gasdotto Siberia-Cina impiegherà altri tre anni, mentre gli altri due tubi esistenti non sono collegati ai pozzi che approvigionano l’Europa. Giovedì Putin ha parlato anche di collegare le infrastrutture orientali a quelle occidentali, ma è una finestra temporale di anni – e con il default sempre più vicino, non è affatto detto che possa riuscirci in tempo utile.
Altro discorso per il petrolio, che può essere spostato con molta più facilità verso qualsiasi destinazione. Ammesso e non concesso che quello russo trovi acquirenti, in un momento nel quale anche gli alleati cinesi interrompono le collaborazioni con la Russia per timore delle sanzioni. Vale anche l’inverso: l’Unione europea dovrebbe poter diversificare le forniture di petrolio ben più facilmente di quelle di gas.
È anche per questo che tra i Ventisette si pondera di includere il settore petrolifero russo nel sesto pacchetto di sanzioni, ancora allo studio. La proposta europea dovrebbe arrivare il 24 aprile, scrive il Foglio, avvertendo che secondo le indiscrezioni non si tratterebbe comunque di un embargo totale e immediato. “Come nel caso del carbone, ci sarà comunque un lungo periodo transitorio per i contratti in essere”, riporta, aggiungendo che si parla già di distinguo tra greggio e raffinato e potrebbe esserci un’eccezione per quello veicolato via oleodotto.
Insomma, l’embargo “sarebbe costruito su misura della Germania”, che assieme all’Ungheria – e pur disponendo di una via alternativa al gas russo – è il principale freno all’iniziativa europea. Il governo tedesco ha già annunciato che avrebbe voluto rinunciare al petrolio russo entro fine anno, ma “le raffinerie nella Germania dell’est continuerebbero nel frattempo a ricevere il greggio attraverso gli oleodotti”, scrive Carretta.
L’embargo sul gas, per il momento, rimane escluso. Ma ci sono leggere schiarite, come riporta Il Sole 24 Ore: alle aste di questa settimana sono stati conferiti 1,3 miliardi di metri cubi di gas, dopo settimane di prezzi alle stelle e il conseguente disinteresse degli investitori, e Snam ha iniziato a pomparlo nelle riserve italiane. L’obiettivo che si è data l’Ue è arrivare al prossimo inverno con le riserve piene al 90%, e il nostro Paese dispone dell’infrastruttura di stoccaggio più vasta d’Europa. Finora abbiamo riservato 3,2 miliardi su 12 complessivi (oltre ai 4,6 di cuscinetto d’emergenza), grazie anche all’ampliamento della “cassetta degli attrezzi” con cui l’Autorità per l’energia definisce le tariffe.