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Le rotte dell’idrogeno, dal Golfo al Nord Africa. La cartina di Bianco (Ecfr)

Di Otto Lanzavecchia e Emanuele Rossi
Golfo idrogeno

I Paesi del Golfo Persico guardano all’idrogeno e studiano come sfruttare il loro vantaggio per anticipare il mercato. L’Ue conta sul Nord Africa, ma dovrà investire nelle infrastrutture. Con Cinzia Bianco, esperta dell’area Mena e ricercatrice di Ecfr, abbiamo tratteggiato le direzioni e le strettoie (geopolitiche) dell’industria in divenire

I Paesi del Golfo come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e l’Oman sono sempre più interessati ad assicurarsi un posto di primo piano nel mercato internazionale dell’idrogeno, anche perché sono sempre più consapevoli di avere un potenziale quasi inarrivabile per farlo. La produzione locale può essere notevolmente più economica nei Paesi del Consiglio di Sicurezza del Golfo rispetto ad altri Stati, poiché hanno più accesso all’energia solare a basso costo rispetto a qualsiasi altra regione del mondo.

Per esempio, il progetto da 2GW dell’Arabia Saudita a Neom – la megalopoli pianificata vicino ai confini di Egitto e Giordania – mira a produrre idrogeno verde (cioè utilizzando solo energia pulita) a un prezzo compreso tra 1,5 e 1,95 dollari al chilogrammo. Per confronto, l’Unione europea stima che l’idrogeno prodotto dagli Stati europei a livello nazionale costerà tra 3 e 6 dollari al chilogrammo, spiega Cinzia Bianco, esperta della regione del Golfo Persico dell’Ecfr di Berlino, in una conversazione con Formiche.net.

La Commissione europea sta attualmente considerando i Paesi del Nord Africa come potenziali fornitori, anche perché lo sviluppo della capacità di idrogeno in questi Stati “potrebbe favorire lo sviluppo economico locale e dunque ridurre i flussi migratori verso l’Europa”, aggiunge Bianco. “Tuttavia – continua – ci vorrebbe molto tempo e un investimento sostanziale per sviluppare una capacità di idrogeno su larga scala in questi Paesi, poiché la maggior parte di essi ha infrastrutture e capacità tecnologiche sottosviluppate”.

Gli europei non dovrebbero abbandonare la strategia di produzione nazionale, ma dovrebbero riconoscere che nell’immediato sarebbe più veloce e più facile  importare idrogeno dai paesi del Golfo, sostenendo lo sviluppo dei paesi del Nord Africa come hub di transito energetico, ha scritto l’analista in un policy paper pubblicato dal think tank paneuropeo per cui svolge ricerca. Tuttavia, indipendentemente dal fatto che le aziende trasportino l’idrogeno tramite gasdotti o navi cisterna, ci sono ragioni tecniche e commerciali per cui avrebbero bisogno di utilizzare hub intermedi tra il Golfo e l’Europa.

Questo porrà alcune sfide geopolitiche; d’altronde l’approccio stesso alla materia energetica è imprescindibile da esse. “Gli europei – secondo Bianco – dovrebbero comunque evitare la dipendenza energetica dal Golfo, tenendo conto della necessità di diversificazione e di autosufficienza a lungo termine”. In questo contesto, le infrastrutture che corrono tra l’Iraq e la Turchia potrebbero fornire una via alternativa al canale di Suez. E se l’Arabia Saudita normalizzasse i suoi legami con Israele, verrebbe a crearsi un percorso alternativo.

Per Bianco, gli europei dovrebbero rispolverare i loro piani per il gasdotto EastMed, adattarlo all’idrogeno e coinvolgere più Paesi nel progetto. Infine, “dovrebbero aumentare i loro sforzi per fornire sicurezza marittima nei punti di strozzatura dello Stretto di Hormuz e Bab al-Mandab, che diventeranno strategici per il commercio di energia pulita tra il Golfo e l’Europa”. Nell’area sono attive diverse operazioni, tra cui “Emasoh” nel Golfo Persico (a cui da qualche mese partecipa anche l’Italia) o la nuova task force guidata dagli Stati Uniti.


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