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Libia, Egitto, Tunisia. Il risiko ucraino in Africa

Dalla Libia alla Tunisia, dall’Egitto al Marocco. Mentre i riflettori del mondo sono sull’Est Europa in Africa si decide il destino energetico e geopolitico europeo. Ma le incognite sono tante, troppe: memo per Palazzo Chigi. L’analisi di Leonardo Bellodi

La guerra in Ucraina ci ha costretti in questi mesi a concentrare il nostro sguardo verso nord est dimenticandoci che le problematiche politiche, sociali, economiche nei Paesi Mena (Middle East and North Africa) non sono certo scomparsi e anzi sono acuiti da ciò che sta succedendo a Nord. Problemi che, vista la vicinanza geografica con l’Italia, possono avere ripercussioni nel nostro Paese.

Algeria, Libia, Egitto, Marocco, Tunisia, gli Stati del Golfo, Israele, Libano per non nominarne che alcuni hanno preso posizioni diverse nelle varie istanze internazionali sul conflitto ucraino per rapporto alla rispettiva dipendenza dall’importazione di petrolio, gas e grano e a considerazioni di carattere politico.

Nestle ha annunciato che aumenterà del 5% i prezzi di Kikats e Nesquik a causa dell’incremento del prezzo del grano negli ultimi tre mesi. Possiamo sorridere a questo annuncio e forse molti di noi nemmeno ci hanno fatto caso (ma ci siamo sicuramente accorti di quanto stiamo pagando le fatture del gas e della luce). Per contro i grandi importatori di grano della regione Mena solo alle prese con difficoltà crescenti che potrebbero fomentare rivolte sociali non lontano dai nostri confini.

È vero che al momento né l’Unione Europea negli Stati Uniti hanno pensato, giustamente, di imporre sanzioni sul grano russo. Ma è sempre più complicato noleggiare navi che abbiano a che fare con la Russia, assicurarle, e trovare banche disponibili a effettuare pagamenti verso quel Paese.

Quasi tutti i governi in Medio Oriente e Nord Africa, sussidiano pesantemente grano e benzina. La crescente inflazione, l’aumento del prezzo del grano e degli idrocarburi fa si che diventi sempre più costoso per le casse dello Stato mantenere i sussidi alla quale la gente è abituata. Aumenta dunque il risentimento popolare e con esso il rischio di moti interni che possono destabilizzare democrazie fragili.

I governi di questi Paesi hanno dunque un atteggiamento ambivalente nei confronti della Russia pur non avvallando apertamente la sua politica di aggressione (a differenza di quanto ha fatto l’Iran, la Siria, gli Hezbollah in Libano e gli Huthis yemeniti, non certo la creme della comunità internazionale).

Non è dunque un caso che all’inizio del conflitto il governo egiziano non abbia condannato l’invasione ucraina cercando di restare neutrale. E ciò non solo per le storiche relazioni tra il Cairo e Mosca ma anche e soprattutto perché l’ Egitto dipende per circa l’ 85%  dalla Russia e l’Ucraina per le importazioni di grano. Il prezzo del pane non sussidiato in Egitto è aumentato del 50% in questi mesi. Un vero e proprio incubo per un governo che ha come priorità numero uno il tema della sicurezza nazionale e dunque non può permettersi un crescente e diffuso risentimento popolare.

L’Italia dovrebbe poi guardare con molta attenzione, e altrettanta preoccupazione, alla Tunisia (non dimentichiamoci che da qui è partita la cd primavera araba a causa della rivolta popolare scaturita dopo un sopruso della polizia nei confronti di un venditore ambulante). La produzione di gas e petrolio tunisino non è sufficiente a esaudire la domanda interna e il governo si vede costretto a importare circa il 60% del proprio fabbisogno energetico.

Secondo il think tank americano Csis il costo della bolletta energetica passa da 1.6 miliardi di dollari nel 2019 a 4 miliardi nel 2022. Il governo ha aumentato il prezzo, altamente sussidiato, della benzina e ciò ha risvegliato il mai spento risentimento popolare.

Ma anche con un diverso prezzo dell’energia le casse delle Stato si stanno dissanguando. E questo ha un impatto sulle forniture di grano. La Tunisia importa circa il 50% del grano dall’ Ucraina a cui deve circa 350 miliardi di dollari. Kiev ha bisogno di soldi e ha chiesto il pagamento immediato del 50% del debito. Tunisi non può permetterselo con il risultato che alcuni carichi di grano ucraino destinati alla Tunisia sono stati dirottati altrove.

Il Fondo Monetario Internazionale nel suo rapporto mensile di marzo ha ben evidenziato i rischi: la pandemia e la guerra stanno provocando nel Paese cambiamenti strutturali che si traducono in profondi squilibri macroeconomici, un ulteriore aumento della disoccupazione, investimenti al minimo e una sempre più profonda diseguaglianza sociale.

Anche la situazione in Libia non è delle migliori. Sembra un paradosso ma la Libia non ha abbastanza petrolio e gas per soddisfare la domanda interna. In queste settimane, Tripoli sta perdendo circa 70 milioni di dollari e 400.000 barili di produzione al giorno a causa della chiusura dei porti. Chiusure che sono determinate dalle profonde divisioni politiche ancora presenti nel Paese.

Il famigerato gruppo paramilitare Wagner è ancora presente in Cirenaica supportato da un altro gruppo russo meno conosciuto, l’Rsb. E, tanto per aggiungere altro variabili alla già impossibile equazione geopolitica, il capo delle forze armate ucraine ha affermato che il fedmaresciallo Haftar ha inviato combattenti libici a fianco delle truppe russe nel Donbas.

La comunità internazionale, in primis gli Stati Uniti, sono in questo momento storico concentrati sull’ est Europa. E anche gli Stati donatori tradizionalmente vicini al Nord Africa hanno ridotto i loro grants. È tempo per l’Italia di riempire questo vuoto. Non è un solo un tema etico-umanitario, è un imperativo per la nostra sicurezza nazionale.

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