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Minacce in arrivo per il sistema sanitario. L’avvertimento di Pennisi

Il Sistema sanitario nazionale ha tenuto bene, con grandi sacrifici, nei momenti più bui della pandemia. Ma servono grandi investimenti in ricerca e tecnologia. Gli strumenti ci sono: eccoli

La salute è il bene pubblico per eccellenza. Su questa testata, durante la pandemia di Covid-19, la preparazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e la prima documentazione sulla sua attuazione, abbiamo sostenuto l’urgenza di aumentare gli stanziamenti di parte corrente (essenziali per il buon funzionamento delle nuove infrastrutture previste nel Piano) e di effettuare riforme (ad esempio, nei rapporti contrattuali tra i medici di base – o di famiglia – con il Servizio sanitario nazionale, Ssn), nonché l’ aggiornamento ogni anno il piano di prevenzione delle emergenze sanitarie, liberalizzazione l’accesso alla facoltà di medicina e potenziare le specializzazioni mediche legate all’emergenza e a ogni tipo di terapia intensiva; l’adeguamento degli stipendi ospedalieri al livello medio degli stipendi europei; norme chiare e innovative per garantire ai pazienti cronici facilità di accesso alle cure e facilità della fruizione dei farmaci innovativi.

Tre documenti in uscita in questi giorni ma non di facile accesso confermano che il Ssn ha tenuto bene (con grandi sacrifici dei medici e del personale sociosanitario) anche nei momenti più bui della pandemia, ma che nuovi virus sono in arrivo e possono essere prevenuti o sconfitti unicamente con grandi investimenti in ricerca e tecnologia.

Il primo è il capitolo sulla santità nel rapporto annuale del Cnel sulla qualità dei servizi della pubblica amministrazione, il secondo un lavoro scientifico apparso sull’ultimo fascicolo della rivista Nature, il terzo un’analisi del Cary Institute of Ecosystem Studies.

Andiamo con ordine. Il documento Cnel conferma che sia il buon livello qualitativo della sanità italiana rispetto al panorama internazionale per durata della vita e condizioni degli anziani con malattie croniche, efficienza gestionale e investimenti in prevenzione, sia criticità ormai storiche del debole finanziamento pubblico – sotto la media europea -, del peso significativo e crescente della spesa privata out of pocket a carico dei cittadini, e del non completo rispetto degli obiettivi di equità ed universalismo.

L’impatto devastante della pandemia da Covid-19 ed il suo lungo decorso hanno portato nel sistema un aumento del finanziamento pubblico e delle borse di specializzazione per medici. Ma al contempo si sono verificati: un arretramento della speranza di vita alla nascita, che passa dagli 83,2 anni medi del 2019 agli 82,3 del 2020; la riduzione dei posti letto in degenza ordinaria per acuti rispetto alla popolazione, che cala del 13,5%; ed il peggioramento degli stili di vita, in particolare per il consumo eccedentario di alcol, che sale dal 15,8% al 16,8%, e per il fumo di tabacco, che sale dal 18,7% al 18,9%, ambedue dopo un lungo periodo di trend discendente. Tanto che flette verso il basso con il 2020 la curva dell’indice composito relativo all’obiettivo 3 dell’Agenda dell’Onu al 2030, pubblicato da ASviS nel suo rapporto annuale 2021.

Secondo i dati ufficiali più recenti, al 10 marzo 2022 si contano in Italia dall’inizio della pandemia 13.214.498 casi totali di Covid, e 156.493 deceduti a causa del Covid. Del totale dei casi segnalati, 2.169.116 sono relativi al 2020, 4.237.257 al 2021, e oltre 4,5 milioni sono stati diagnosticati nel solo mese di gennaio 2022 (42% del totale). Il che si spiega in gran parte con la aumentata capacità diagnostica che il sistema ha acquisito nel tempo. Il tasso di incidenza annuale standardizzato è pari a 3.438 casi per 100 mila abitanti nel 2020 ed a 7.681 casi per 100 mila abitanti nel 2021.

Tuttavia, sottolinea il Cnel, ci sono state conseguenze subite a livello di altre patologie rispetto al Covid, in quanto numerosi dati segnalano il forte aumento delle patologie psichiatriche e del disagio psicologico, specie tra gli adolescenti, ed un peggioramento dal punto di vista della prevenzione e della tempestività ed appropriatezza delle cure per molte patologie importanti a seguito dell’intasamento delle strutture ospedaliere e del blocco delle prestazioni ordinarie richieste da pazienti non Covid.

Inoltre, due anni di pandemia hanno determinato una spesa aggiuntiva in Italia di 19 miliardi di euro, di cui 11,5 miliardi per l’incremento della spesa regionale, 4,3 miliardi per l’acquisto di dispositivi, farmaci specifici e software, e 3,2 miliardi per i vaccini. Importante è stato anche l’impegno rivolto all’aumento dei posti letto in terapia intensiva, pari al 78% tra 2020 e 2022.

Lo studio Climate change increases cross-species viral transmission risk (redatto da un team guidato interdisciplinare da Colin Carlson di Georgetwon Universty e pubblicato su Nature) avverte che nuove pandemia minacciano di esser in arrivo. Il cambiamento climatico fa sì che milioni di virus presenti per lo più in zone tropicali stiamo “migrando” verso zone oggi temperate utilizzando come “ospiti” animali mammiferi, le cui carni finiscono come pietanze di donne e di uomini.

Cosa si può fare per prevenire o almeno limitare il problema? In collaborazione con Georgetwon Uniersity, il Cary Institute of Ecosystem Studies sta mettendo a punto un programma computerizzato (per ora ha il nome provvisorio di machine learning) per tracciare i trasferimenti da virus a mammiferi, il primo passo essenziale per cercare di bloccarne la diffusione. Per ora, ne hanno individuati un migliaio, ma sono convinti che si tratta di una piccolissima frazione. Il sospetto è che già ora i mammiferi portino un centinaio di migliaia di virus, non tutti, fortunatamente, trasmissibili a donne ed uomini.

Non è questa la sede per entrare in dibattito scientifico. Si vuole solo sottolineare l’esigenza (poco avvertita nel Pnrr) di dare priorità al finanziamento della ricerca nella sanità.


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