Parigi, data la sua uscita di scena dal Mali, ha denunciato a più riprese la crescente influenza militare di Mosca in Africa. Il continente può essere un nuovo scenario per la Russia, condizionata dalle sanzioni adottate dai Paesi occidentali nelle ultime settimane? L’analisi di Giovanni Savino, storico, e Maria Amoroso, professoressa dell’Accademia presidenziale russa
Le ambizioni della Russia non si limitano solo all’Europa orientale, come dimostra in queste settimane l’aggressione militare all’Ucraina, né all’Asia centrale: negli ultimi anni la presenza militare ed economica di Mosca comincia a essere un elemento importante negli scenari politici interni di alcuni Paesi africani.
Il caso più eclatante negli ultimi mesi è rappresentato dal Mali, dove le forze francesi di stanza per le operazioni antiterrorismo hanno lasciato il Paese a causa della presenza di soldati russi. Parigi a più riprese, nei mesi di gennaio e febbraio, ha denunciato la crescente influenza militare di Mosca nella regione, descrivendo le truppe presenti come mercenari della nota compagnia di contractor Wagner, ritenuta legata all’oligarca Evgeny Prigozhin, noto per essere ispiratore della fabbrica dei troll di San Pietroburgo. Bamako, dal canto suo, ha dichiarato di aver chiesto l’invio di istruttori e consiglieri militari dalla Russia, nell’ambito dell’acquisto di quattro elicotteri Mi-171, avvenuto nello scorso autunno.
Il Cremlino non è presente solo in Mali, in Africa interessi russi vi sono fin dal 2010, dopo l’annessione della Crimea e l’intervento in Siria al fianco di Bashar al-Assad. Per la Russia la ricerca di nuovi alleati ha portato inevitabilmente a guardare a sud, e nel 2019 il summit Russia-Africa, svoltosi a Soci, ha visto la partecipazione di ben 54 delegazioni, di cui 43 guidate dai rispettivi capi di Stato.
Il vertice di Sochi è stato il compimento di un processo avviato negli anni precedenti dove Mosca, partendo dalla partnership strategica ormai storica con Algeria, Egitto e Sudafrica, è riuscita a estendere il proprio intervento anche in altri Paesi, come la Repubblica Centrafricana, dove per la prima volta è stata impiegata la Wagner. Il presidente Faustin-Archange Touadéra gode del sostegno di Putin e sia nel 2020 che nel 2021, oltre ai mercenari, un piccolo contingente di militari russi ha garantito l’ordine durante le elezioni.
Nel 2018, durante le riprese di un documentario sulle attività della Wagner, un gruppo di reporter russi, formato da Olkhan Dzhemal, Alexandr Rastorguev e Kirill Radchenko, è caduto vittima di un’imboscata ancora oggi dai contorni mai chiariti. Le ambizioni di Mosca vanno anche al di là degli interessi puramente militari, individuando nei Paesi a sud del Sahel un importante mercato in grado di assorbire le merci russe, che si trovano a dover soffrire la concorrenza di altri produttori nel resto del mondo.
Su questo elemento punta chi in Russia si occupa di Africa, provando a utilizzare la strada aperta dall’export bellico come volàno per altri tipi di commerci. Secondo Irina Abramova, direttrice dell’Istituto dell’Africa dell’Accademia russa delle scienze, il riorientamento verso il continente assume un’urgenza strategica: “La Russia, che si trova a dover ridurre la propria attività economica estera in occidente a causa delle sanzioni, deve cercare nuovi mercati per i suoi prodotti, principalmente per le esportazioni non legate alle materie prime.
Appare ovvio che sarà praticamente impossibile risolvere questi problemi senza l’Africa”. E alcuni dati sembrerebbero confermare questo tentativo di penetrazione economica nel continente: il ministero dell’Industria e del commercio russo, sulla base delle statistiche fornite dal Servizio doganale federale, ha registrato un fatturato del commercio estero della Russia con i Paesi africani pari a 16,8 miliardi di dollari.
Di questa somma, il 24% delle esportazioni era rappresentato da macchinari, attrezzature e veicoli, il 22,4% da prodotti alimentari e materie prime agricole, il 19,9% da prodotti minerali. Per il resto si tratta di metalli, prodotti chimici, gomma, legno e cellulosa e prodotti di carta, oltre a perle e pietre preziose. Una cifra di poco superiore ai 14 miliardi di dollari di export di materiale bellico dichiarata nel 2021 da Dmitry Shugaev, direttore del Servizio federale per la cooperazione tecnico-militare della Federazione Russa.
Le esportazioni di armi in Africa rappresentano il 30-40% del volume complessivo di quanto viene inviato all’estero dalle aziende militari russe. L’Africa può essere un nuovo scenario per Mosca, condizionata dalle oltre seimila sanzioni adottate dai Paesi occidentali nelle ultime settimane? In realtà le cifre, alquanto imponenti, non tengono conto di un altro, ben più potente, attore geopolitico ed economico nel continente, cioè la Cina. Un fatto in grado di porre più di qualche dubbio sulla solidità dei rapporti fra la Russia e Pechino, dove quest’ultima parte di gran lunga avvantaggiata sia per possibilità economiche sia per sostegno allo sviluppo delle infrastrutture e delle industrie locali. Ancora una volta, per la Russia l’essere gigante militare e nano economico rappresenta un limite con cui dover fare i conti.