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Per una pace mai paga. Resistenza, spirito repubblicano e progresso

Pubblichiamo un articolo liberamente tratto dal libro di Michele Gerace dal titolo “Qualcosa che sfiora l’utopia” (Jouvence): “La pace allora diventa in modo manifesto conquista di un equilibrio non inerziale, rottura di tabù che sciatti pacifismi e resistenti di facciata ritengono di proprio ed esclusivo dominio ignorante ed ideologico, divisione, confronto, condivisione, lotta e armonia. Prontezza dell’intelligenza”

Il conflitto è urto, contrasto, contraddizione, opposizione, rimessa alle armi, guerra, assenza di pace, che definita dall’assenza di guerra, è transizione, pacificazione e ristabilimento. Oggi fare la pace significa sostenere la resistenza. La pace indica tanto uno stato di eccezionalità quanto una condizione di normalità. Solo per restare in questa parte di mondo e per non andare troppo indietro negli anni, se si pensa all’occupazione sovietica della Cecoslovacchia raccontata da Milan Kundera ne L’insostenibile leggerezza dell’essere o a quella dell’Ungheria testimoniata da Indro Montanelli, l’invasione in Ucraina da parte della Federazione Russa ricorda in modo violento il tentativo di persuasione, addomesticamento e distorsione della realtà di un regime quando all’inizio si presenta subdolamente paternalista, minaccioso, ricattatore, e, dopo poco, si rivela totalitario.

Degradazione della cittadinanza in sudditanza. Nei regimi totalitari il pacifismo è strumento violentissimo di controllo e soppressione delle libertà, pretesa di rassegnazione anche davanti all’oppressione e alla sistematica soppressione rispetto alla quale fa specie il non voler vedere e il non voler sentire di chi ancora non riesce e forse non vuole distinguere la vittima dal carnefice. In democrazia, il pacifismo corre il rischio di trasformarsi in rassegnazione, immotivata convinzione di inevitabilità, inerzia e rinuncia alla libertà, cavilli da azzeccagarbugli e dietrologie, incapacità di volersi compromettere con scelte che mettono la coscienza alla prova, che richiedono discernimento, responsabilità e presa in carico, e non si nascondono dietro dogmi e ideologie falsamente pacifiste e comodamente deresponsabilizzanti che rappresentano l’anticamera della legittimazione della soppressione di diritti e libertà. La pace in un regime totale e totalitario è desiderabile da parte del regime non da parte del popolo di cittadini fatti sudditi, perché è garanzia dell’impossibilità di qualsiasi ipotesi di futuro alternativo, livellamento verso il basso, mantenimento dello status quo, egualitarismo che genera disuguaglianza, eliminazione della resistenza.

Allo specchio, anche il conflitto può irretire la società se da estroverso, tra gruppi di persone, diventa introverso, autoreferenziale – come osserva il sudcoreano Byung Chul Han dalla Universität der Künste di Berlino – quando la dialettica si fa monologo, chiasso assordante, o soliloquio: quando è inquinata da fonti di informazione che diventano programmi di intrattenimento, quando il discorso pubblico è inibito da tabù che censurano la libertà di espressione, si rischia di delegare ad altri l’approfondimento, l’esercizio critico del pensiero, la partecipazione stessa alla vita entro la società. La delega di coscienza e la pretesa di autosufficienza, di poter allentare e recidere legami entro la società in nome di una fatua libertà, conducono ad un estenuante conflitto di logoramento, al rifiuto dell’incontro e della relazione, e così facendo eliminano la possibilità di una comunità, di una vitale soggettività e dello svolgersi di una storia, al contempo, particolare ed universale. Ma la coscienza non si può delegare, non ci si salva per delega scrive Don Primo Mazzolari ad un aviatore in tempo di guerra, e il nostro statuto costitutivo sta tutto nello stare in relazione gli uni con gli altri, nell’andarci e venirci incontro, nell’essere interdipendenti, nel completarci e perfezionarci a vicenda dichiarato dal presidente del Comitato di Liberazione Nazionale provinciale di Reggio Emilia, sacerdote e politico, Giuseppe Dossetti, nel dibattito durante i lavori preparatori della nostra Costituzione.

Si tratta del fondamento della libertà – osserva la grande pedagoga Maria Montessori – da ricercare all’interno di una relazione tra lo stato di natura, l’evoluzione naturale, la civiltà e la storia della nostra umanità che tra nascite e rinascite procede a zig zag e si trova in piena età adolescenziale che, in fondo, è istanza di progresso, presa d’atto ed esperienza di imprevedibilità, conflitto, pace e libertà. Consapevolezza che c’è una pace che risuona nell’ingiustizia e c’è un conflitto che è chiusura in se stessi, umiliazione dello spirito, soppressione della libertà; e che c’è una pace che genera giustizia e c’è un conflitto che apre alla vita, esalta lo spirito ed è principio di libertà. Pace che è conflitto, pensiero, parola, segno e azione. Vita, giustizia e libertà. Autocoscienza di un’umanità a venire che trova nel perché e indica nel dove il senso e la direzione del proprio agire culturale, sociale, propriamente politico. Insieme, limite e possibilità. Perspicacia e ostinata conquista. In questo senso, e non in altri precisa lo scrittore e filosofo Albert Camus, la grande commedia dell’esistenza, all’interno di un universo, che chiamiamo orizzonte, in cui l’opera rappresenta la possibilità e il modo di conservare la coscienza.

Alla pace che è conflitto ed armonia tipica degli esseri dislocati quali siamo tra terra e cielo, alle profondità ed altezze di un mondo a volte rovesciato, abbiamo a lungo preferito la scorciatoia dell’aspirazione ad una pace senza conflitto, tra esseri esasperatamente razionali, privi di trascendenza, spersonalizzati, dissolti in una massa indistinta votata al sacrificio ed alla sofferenza di un’opera collettiva che è redenzione economica, sociale e politica per mezzo di una lotta di classe posta alla fine della storia e chiamata rivelazione che riaffiora per mezzo della guerra nel funesto calcolo sbagliato di Vladimir Putin. In questa evoluzione di una esistenza che Jacques Maritain definisce “inesistenziale” l’amore e la generosità, quella gratuità che lo stesso Camus, pur giungendo ad altre conclusioni, richiama ad elemento di una vita autentica e libera, vengono soppiantate dalla fede in un imperialismo sostenuto da un’ideologia antistorica e senza avvenire.

L’amore, la generosità, per come l’abbiamo intesa la gratuità, appartengono all’universo della persona tra persone in cui conflitto e pace riempiono le esperienze della vita nelle quali risuonano l’armonia ed il vero progresso della civiltà, meta che Jacques Maritain intravede in “un movimento della storia fuori della storia”, in questi giorni di preparazione alla Santa Pasqua, di rinascita nell’incontro della terra con il cielo. Un mettersi in movimento ed un muoversi insieme.

Allora ecco che la proporzione e la prospettiva che ci diamo diventano lo spazio nel quale pensiamo di radicare e svolgere la nostra vita proprio a partire da ciò che sentiamo e vediamo al di là da venire, il desiderio di una condizione di una pace mai paga, non scontata, adesso drammaticamente più facile da tenere presente data l’idea della guerra alle porte e la paura che possa non arrestarsi. Sappiamo che date le circostanze non può darsi pace senza resistenza, senza difendere una libertà che pur essendo innata, evidentemente, non è data una volta per tutte. Dovremmo essere in grado di capire, di sostenere, di “parteggiare” per il popolo ucraino il quale trova forza nello stesso e profondo sostrato culturale della Resistenza degli italiani sul finire della seconda guerra mondiale – per dirlo con le parole di Pierluigi Castagnetti ne Il contributo dei cattolici alla Resistenza e alla Ricostruzione democratica – ed è “spinto dalla fede profonda nei valori della centralità della persona umana. Mosso dall’aspettativa a vedere riconosciuti i diritti di cittadinanza, dal valore dell’indipendenza oltreché del prestigio storico e morale della propria patria che nessuna potenza straniera può calpestare, oltretutto nei valori irrinunciabili della libertà, della giustizia, della democrazia”. Conta la memoria di un “noi” non generico né generalizzabile, di donne e uomini per non ridurci ancora una volta ad incidenti della storia. Ne va del nostro presente e del nostro futuro, di ciò che siamo, del riaprirci ad una solidarietà di tipo nuovo, stimolare una nuova coscienza, ritrovare in grazia di Dio la ragione, la libertà, una legge, con cui regolare la convivenza ed illuminare la nostra esistenza.

La pace allora diventa in modo manifesto conquista di un equilibrio non inerziale, rottura di tabù che sciatti pacifismi e resistenti di facciata ritengono di proprio ed esclusivo dominio ignorante ed ideologico, divisione, confronto, condivisione, lotta e armonia. Prontezza dell’intelligenza. “Readiness is all” scrive Thomas Mann citando l’Amleto di William Shakespeare in fondo alla premessa al testo del disegno di Costituzione Mondiale promosso, primo fra tutti, da Giuseppe Antonio Borgese. Presenza a noi stessi, certezza di poter contare su inesauribili energie spirituali, di superare questo oscuro periodo della nostra vita e di ritrovare l’equilibrio – nello stesso scritto, Castagnetti cita una importante considerazione di Francesco Luigi Ferrari sul valore della libertà che riporto quasi testualmente – “dopo aver imparato a soffrire, dopo aver appreso che si devono seguire i migliori e non si deve servire nessuno, dopo aver sperimentato che, per possedere la libertà, bisogna diventare degni di questo tesoro incomparabile”. Esigenza di riconoscere a chiunque diritti, libertà e doveri che sono misura di giustizia, di difenderli anche ricorrendo a sanzioni pesanti nei confronti dell’oppressore e di chi, anche all’interno dello spazio europeo, mina alla base i valori della nostra società e ne viola lo stato di diritto.

Richiamo allo spirito repubblicano in ballottaggio in Francia tra i candidati Emmanuel Macron e Marine Le Pen e il peso specifico di Jean-Luc Mélenchon. Scelta di unire, nelle forme della cooperazione rafforzata prima e della modifica dei Trattati poi, la politica della difesa, dell’energia, del bilancio, di rinnovare il rapporto naturale e culturale con il Mediterraneo – come testimonia il Governo italiano con Mario Draghi e la Commissione europea con Ursula von der Leyen – di rinvigorire l’amicizia tra le sponde dell’Atlantico, in generale, di unirci e trovare nel federalismo europeo l’unità di un continente, il volto di una istituzione non sovrapponibile a confini nazionali e continentali che estende ad una Repubblica grande come il mondo la garanzia di durata della vita sul pianeta.

Attribuzione di un significato nuovo ad una parola che respira oltre il tempo ed è, come scrive Hannah Arendt rileggendo Sant’Agostino, una parola d’amore che, senza temere di essere fraintesi, possiamo intendere nel senso più proprio. Libertà e grazia attraverso le quali assume dignità il preambolo del capitolo della storia universale. “Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono felice l’uomo” scrive Vaclav Havel in una frase che la presidente emerita della Corte Costituzionale e attualmente ministro della Giustizia, Marta Cartabia, cita nella prefazione al volume Il potere dei senza potere dello stesso Havel, e aggiunge “L’individuo, che a prima vista è l’essere più impotente di fronte alle proporzioni dei meccanismi che governano la vita politica, ne è invece il protagonista necessario”.

Non servi né padroni, ma liberi tutti. Natura e ragione di identità consapevoli e molteplici nella comunità che dirige all’orizzonte una legge di convivenza che riconosce nel primato della persona la ragione ultima di stato, il vero fine, l’unico programma possibile, la realizzazione dell’umanità. Pratica dell’“abbasso” e del “viva” che Luigi Einaudi propone a chi veramente vuole la pace.

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