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Phisikk du role – La lezione di Anna (Politkovskaja)

Per capire ciò che appare incomprensibile ai più bisogna leggere i libri di Anna Stepanovna Politkovskaja la coraggiosa giornalista che fin dai primi anni 2000 raccontò al mondo occidentale le ignominie della Russia putiniana, rimettendoci la vita. La rubrica di Pino Pisicchio

La comunicazione alluvionale dai teatri di guerra che si rovescia sui nostri schermi grandi e piccoli e sui nostri giornali di carta (che comporta – attenzione – anche il rischio dell’assuefazione fino alla nuova escalation dell’orrore), continua a lasciare per aria le domande senza risposta, quelle che diffondono, come fosse un pulviscolo acustico, l’eco di se stesse. A parte la madre di tutte le domande: quando finirà? Quando lo zar Vladimir sarà pago della sua guerra? E, a parte le immaginifiche supposizioni – “smetterà il 9 maggio, festa della vittoria per la Russia sovietica” – restano alcune questioni di tecnica guerresca che aleggiano in attesa di chiarimenti.

Una riguarda l’esercito russo che appare crudele e, al tempo stesso, del tutto inadeguato. Ma come ha potuto l’armata della Grande Russia, dalla potenza quasi mitologica, non mangiare in un solo boccone i resistenti della ”piccola Russia”, l’Ucraina inerme, che si permette addirittura di tenerle testa da 45 giorni e perfino di riconquistare pezzi di territorio strappati?

Per capire ciò che appare incomprensibile ai più bisogna forse leggere i libri di Anna Stepanovna Politkovskaja, la coraggiosa giornalista che fin dai primi anni 2000 raccontò al mondo occidentale – seguendo il destino di indifferenza che si confà alle Cassandre – le ignominie della Russia putiniana, rimettendoci la vita, come non di rado è accaduto da quelle parti per i giornalisti sgraditi al potere. Cioè quelli veri.

Anna Politkovskaja ci racconta, infatti, delle prime imprese del nuovo zar del Cremlino nelle due aggressioni della Cecenia nel primo decennio del nuovo millennio, perpetrate con registro esattamente uguale all’invasione dell’Ucraina di oggi. Solo che l’intento dichiarato oggi dell’operazione “antinazista” del Donbass e dintorni, allora si chiamava intervento “antiterroristico”.

È la narrazione di una giornalista d’inchiesta, seria e documentata, che fa parlare i documenti faticosamente reperiti. Prendono così forma le radici profonde del male di oggi: potere assoluto nelle mani di un autocrate visionario e psicologicamente allevato in ambienti di spioni, dove il sospetto e la dissimulazione sono il pane quotidiano; una circolazione virale del morbo corruttivo, che prospera in qualsiasi anfratto del potere pubblico; l’egemonia di una casta militare che riproduce stratificazioni piramidali tendenti a scaricare sui gradini successivi il peso di angherie, frustrazioni, crudeltà, sfregi alla dignità umana accumulati, annullando chi è all’ultimo livello della scala gerarchica.

Che a sua volta scaricherà il suo odio sui civili nelle “guerre di liberazione”; un’impreparazione e un pressappochismo della struttura militare che – al netto del pericolo sempre attuale del bottone nucleare – fa andare il pensiero piuttosto che ai soldati di ferro dell’Armata Rossa, ai soldatini di Mussolini, mandati a morire proprio in Russia con gli stivali di cartone. E questo aiuta a capire parecchio di quello che accade oggi.

Poi ci sono le storie di viltà, di devastazioni gratuite, di eccidi per scommessa tra gerarchi ubriachi, di stupri e di ruberie che pensavamo sepolti nei libri di storia ma che sono qui, a un passo da noi, e urlano a squarciagola.

C’è, però, un altro aspetto che Anna Politkovskaja racconta e che nelle nostre analisi non trova sempre un’adeguata accoglienza, ed è l’incertezza assoluta del diritto, la subordinazione della magistratura al potere politico, l’ancora troppo tenue consapevolezza civile del popolo, la fatica dell’affermazione sociale di un ceto medio comparabile a quello occidentale (che, in verità, anche lui non si sente troppo bene) e, infine, il valore meramente esornativo della Costituzione del 1993. Basti pensare che, dopo un roboante preambolo che afferma “i diritti e le libertà della persona, la pace civile e la concordia… basandoci sui principi universalmente riconosciuti dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli”, scolpisce all’art. 1 la sua tranquillizzante vocazione: “La Federazione Russa – la Russia – è uno stato federale democratico di diritto con forma di governo repubblicana”.

Sembra l’aria fresca della democrazia repubblicana e invece è solo inchiostro su carta antica. Che puzza del comunismo burocratico del secolo scorso, stantio e crudele.



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