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Che ruolo avranno i giovani nel Pnrr e nell’Europa che verrà

Di Idiano D'Adamo e Giuseppe Pennisi
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Il nostro Paese ha bisogno delle migliori sinergie tra i profili più giovani e quelli senior, di avviare politiche partecipative, di ottimizzare le risorse e le competenze di cui disponiamo. In questa epoca di cambiamento occorre riportare al centro della scena la capacità dell’individuo di essere inserito all’interno di una società e di sentirsene parte. Il commento di Idiano D’Adamo, docente alla Facoltà di Ingegneria della Sapienza e Giuseppe Pennisi, economista

Secondo la Corte dei Conti, l’Italia fatica a spendere i soldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, soprattutto nel Sud e nelle isole. Lo confermano molte altre fonti sia istituzionali (come il servizio studi del Parlamento) sia organizzazioni imprenditoriale e sindacali. Ciò nonostante – come ha sottolineato un buon lavoro dell’Istituto Bruno Leoni – dalla politica si solleva la richiesta di “un nuovo recovery”. Da ultimo lo ha invocato il ministro della Salute e segretario di Articolo Uno, Roberto Speranza. Commentando la rielezione di Macron, egli ha detto che “con Francia e Germania si potrà promuovere una nuova politica espansiva” e disegnare “un intervento che possa mitigare gli effetti del carovita”. Come? Riducendo i prezzi dell’energia, adottando politiche di “regolazione dei prezzi” e “se necessario potremo toccare ancora gli extra profitti”.

È di questo che ha bisogno l’Europa? Non sarebbe più utile se possibile orientare meglio il Pnrr esistente alle esigenze dei nostri giovani? In Italia la disoccupazione giovanile sfiora il 30%. L’Italia ha un triste primato: è il Paese in cui ci sono più Neet (Not in Employment, Education or Training) rispetto a tutti gli altri Stati dell’Unione Europea. Con questa sigla si fa riferimento a tutti quei giovani, con un’età compresa tra i 15 ed i 29 anni, non inseriti in alcun percorso scolastico o formativo e non impegnati in un’attività lavorativa. Da quanto emerge dal Rapporto Bes (Rapporto sul Benessere equo e sostenibile), nel secondo trimestre 2020, l’incidenza dei Neet cresce in media europea di +1,7 punti rispetto al trimestre precedente, incremento trainato da Paesi come Spagna (+4,2) ma anche Francia (+2,8) e che, tuttavia, nel nostro Paese è più modesto e leggermente al di sotto della media europea (+1,6) ma su livelli strutturalmente molto più elevati. Secondo il Rapporto Bes, la quota dei Neet di 15-29 anni cala leggermente nel 2021 (23,1%), ma non torna al livello pre-pandemia (22,1% nel 2019).

Tuttavia, la nuova generazione sceglie sempre più frequentemente l’Erasmus. Ciò indica che c’è voglia di integrazione ma anche di rispetto verso i valori dei Paesi ospitanti. È il sale della democrazia. I fondi europei spesso tendono a privilegiare progetti che integrano enti ed attori provenienti da diversi Paesi/regioni e questa contaminazione di idee è ciò che può determinare spinta al cambiamento, innovazione e competitività. Il tutto alla ricerca di un processo decisionale oggettivo e di scelte basate sulla meritocrazia che non sempre vengono applicate perché scomode al mantenimento di rendite di posizioni personali.

L’Europa dove va? Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, al Raisina Dialogue, la conferenza indiana sui temi di geopolitica e geoeconomia, ha posto l’attenzione sul bisogno mondiale di realizzare investimenti massicci nel 21° secolo tutelando l’indipendenza dei Paesi. Il Global Gateway è quindi una strategia che punta su progetti sostenibili e di alta qualità. In tale contesto, la collaborazione tra Europa ed India è quindi molto auspicabile. L’Europa vuole investimenti in infrastrutture globali sostenibili e vuole svolgere un ruolo da protagonista. In questo periodo la sicurezza energetica è uno dei temi più urgenti. Infatti, c’è bisogno di diversificare l’approvvigionamento energetico dai combustibili fossili russi e di investire nelle energie rinnovabili pulite.

Il precedente ministro all’Ambiente Sergio Costa ha evidenziato la fragilità dei sussidi ambientalmente dannosi e ha proposto di utilizzarli per la produzione green sostenendo famiglie ed aziende colpite da fenomeni di inflazione e di speculazione. L’attuale ministro Roberto Cingolani ricorda che la transizione ecologica non può essere vista come un argomento divisivo e ha dato la spinta a un’accelerata per l’installazione di impianti rinnovabili, snellendo la burocrazia. Tuttavia noi tutti dobbiamo chiedere scusa alle nuove generazioni per aver implementato con ritardo una politica energetica basata sulle rinnovabili. È questo il futuro, una produzione energetica sicura, pulita ed accessibile, in cui però occorre un tempo di transizione in particolare per quei settori fortemente energivori. Ma la spinta alle rinnovabili va data senza se e senza ma.

Il nostro Paese ha bisogno delle migliori sinergie tra i profili più giovani e quelli senior, di avviare politiche partecipative, di ottimizzare le risorse e le competenze di cui disponiamo. In questa epoca di cambiamento occorre riportare al centro della scena la capacità dell’individuo di essere inserito all’interno di una società e di sentirsene parte. La scuola delle relazioni umane ha posto l’attenzione sull’equilibrio tra bisogni dell’individuo e bisogni dell’organizzazione. Occorre saper coniugare specializzazione ed integrazione, due concetti opposti ma complementari. Occorre ragionare con un’unica voce mirando ad un made in Europe green e circolare e come sottolineato dal presidente del Copasir occorre mirare anche ad un’autonomia strategica sulla cybersicurezza. Come possiamo riuscirci? Con più investimenti, con meno debito pubblico ma anche con meno egoismo, con meno concentrazione di incarichi e con la passione di voler consegnare un futuro a chi verrà dopo di noi.


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