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Perché ricordare la politica estera di Fanfani, Mattei e Moro

Di Giancarlo Chiapello

Appare in tutta la sua gravità lo schizofrenico allontanamento della sedicente Seconda Repubblica dalla tradizionale politica estera democristiana ben riassunta da Amintore Fanfani: “La politica estera di pace, di solidarietà, di integrazione che la Dc postula per l’Italia, è l’unica che si confaccia allo sviluppo della politica che la Democrazia cristiana postula per il progresso della società italiana…”

La via del mutamento del sistema politico italiano, accelerata dal fallimento di quanto venutosi a creare sullo schema imperniato su scomparsa delle identità, bipolarismo, leaderismo esasperato e maggioritario, subisce con la feroce guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina una forte accelerazione con un significativo scossone che evidenzia che le scelte di politica estera sono tra le questioni fondamentali per tutto il sistema e per le forze politiche e determina la stessa continuità e stabilità di un Paese.

Da questo punto di vista appare in tutta la sua gravità lo schizofrenico allontanamento della sedicente Seconda Repubblica dalla tradizionale politica estera democristiana ben riassunta da Amintore Fanfani nella sua relazione introduttiva al VI Congresso Nazionale della Dc, tenutosi a Trento dal 14 al 18 ottobre 1956: “La politica estera di pace, di solidarietà, di integrazione che la Democrazia cristiana postula per l’Italia, è l’unica politica che si confaccia allo sviluppo della politica che la Democrazia cristiana postula per il progresso della società italiana…. E quindi una propensione alla più ampia collaborazione, anzi ad una vera e propria integrazione internazionale, di cui limiti sono soltanto i rischi che certe integrazioni e collaborazioni fanno correre al libero e pacifico sviluppo della società italiana”.

Si trattava di una visione complessiva delle relazioni internazionali che fu sviluppata a partire dalla lezione altissima di Alcide De Gasperi, dall’azione legata all’approvvigionamento energetico e all’autonomia portata avanti da Enrico Mattei, dalla prospettiva profetica di Giorgio La Pira (che oggi la sinistra vorrebbe staccare dalla tradizione democristiana per farne un proprio santino cattdem innocuo dopo averlo sbertucciato e combattuto per la sua profonda fede), dalla capacità di visione straordinaria di Aldo Moro, dall’impegno di Emilio Colombo, senza dimenticare molti altri come Paolo Emilio Taviani e ricordando che Mattei e Moro trovarono una barbara morte fors’anche per una linea politica fedele alle alleanze ma capace di autonomia, “in piedi”. È quella visione imperniata sulla libertà e dignità della persona che fece dire sempre allo statista aretino nel Consiglio Nazionale della Dc del 31 ottobre 1956 a proposito dell’invasione ungherese da parte dell’Unione Sovietica che “intellettuali, operai, contadini, donne ed uomini, vecchi e giovinetti d’Ungheria hanno mostrato a prezzo della vita che nessuna oppressione è capace di distruggere nell’animo umano l’anelito alla libertà”.

Questo filo di continuità va riannodato per la sua coerenza in mezzo, invece, alle continue “svolte” di destra e sinistra che si trovano a correggere anche le rispettive storie su cui si vogliono radicare conservatori e progressisti di oggi (anti atlantista in origine la destra e anti europeista all’inizio e poi tecnocratica la sinistra). Questa matassa che, allora, può tornare a dipanarsi da protagonista nella politica italiana con la sua laicità cristianamente ispirata, che è radice dall’identità popolare, deve avere la prospettiva di un’Agenda che per l’Italia parte dall’Europa e dal bacino mediterraneo esattamente come proponeva Giorgio La Pira a Fanfani nel 1958: “L’Italia riprende il suo posto cristiano nella storia: attrae a sé i popoli credenti per avanzare con essi – partendo dal Mediterraneo! – verso una storia nuova e una nuova civiltà…”. Ma quale Agenda?

Quella della centralità della dignità della vita, in ogni suo momento dall’inizio alla fine naturale, di ogni persona che significa lavorare contro l’inverno demografico e garantire la possibilità di non abbandonare la propria terra e/o di essere accolti, la tutela della casa comune, che ha nel lavoro un pilastro fondamentale, costruendo dialogo sociale, che non è assolutizzazione della mediazione, come certi nostalgici affermano trasformando un metodo in un pensiero debole, che non può più cancellare la realtà, alla luce della costruzione di vera fratellanza che porta all’amicizia sociale che modera le spinte di una finanziarizzazione esasperata, ordoliberista, che tende a schiacciare l’economia sociale di mercato e lotta contro  quel “capitalismo woke” che rischia di sabotare la democrazia (cfr. Carl Rhodes, “Il capitalismo woke: come la moralità aziendale sta sabotando la democrazia” o Stephen Soukup, “La dittatura di Woke Capital”). Insomma un’Agenda che si fonda sul principio della “libertas”, e che trova l’urgenza di rimettersi velocemente nell’agone politico, portata dalla tradizione congeniale del popolarismo, anche per la situazione internazionale per un impegno integrale per la pace (e come ricordava Sturzo “la libertà esige verità”).

Questa altro non è che, sul terreno politico, da non confondere con la dimensione ecclesiale, ma senza cedere a falsi laicismi o sussiegosi clericalismi (tipici dei cattolici elettorali di destra e sinistra), quella che si potrebbe definire “Agenda di papa Francesco” che dimostra come, alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa, si può davvero guardare il e al futuro, consapevoli del dovere anche in politica, all’identità e quindi all’ispirazione cristiana, senza correre dietro alla ricerca di una mera occupazione di spazi recuperando, solo così, con un’autonomia ben definita che innesca processi, il senso anche della geografia politica altrimenti inutile se non per qualche strapuntino.

Dunque, proprio nei rapporti internazionali, la cui visione concorre a qualificare una presenza politica di una cultura che si riorganizza, è necessaria un’identità, un’ispirazione per non essere solo in balia della mera e cruda realpolitik: per l’Itala vuol dire tornare a saper esercitare il suo significativo e peculiare soft power che nei decenni ha saputo interagire con la efficiente diplomazia vaticana e che non va come parrebbe, accantonato passivamente ricordando proprio il pensiero fanfaniano. Siamo su un terreno che vede l’Agenda ben collegata con l’europeismo degasperiano e l’internazionalismo sturziano tutto da rilanciare. È la via complessa e distinta dagli elmetti troppo facili ed i pacifondai di sinistra e gli occidentalismi senza discussione e gli anti la qualunque di destra.

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