La Commissione europea ha congelato i fondi quando la Polonia non ha rispettato le sentenze emesse dalla Cgue lo scorso anno relative all’abolizione della Camera Disciplinare. In gioco ci sono 58 miliardi di euro di sovvenzioni e prestiti a basso costo dal Fondo europeo per la ripresa. E ora alla crisi dovuta al Covid, si è aggiunta quella dei rifugiati ucraini nel Paese
La Polonia è in subbuglio. Scossa dal flusso di rifugiati ucraini che si riversano nei voivodati di Mazowieckie (163.610 le domande presentate), di Śląskie (94.480), di Małopolska (85.400) e di Wielkopolskie (78.720); in balia dello scontro sfiancante tra Varsavia e Bruxelles, e tenuta col fiato sospeso dall’ultimo colpo di coda che il presidente Andrzej Duda ha sferrato, in punta di piedi, contro gli alleati di Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość) per recuperare una parvenza di autonomia. Si sa: ogni ritorno sulla scena internazionale, al cospetto delle grandi potenze e all’ombra delle stelle europee che spiccano per produzione e rapporti diplomatici, implica un prezzo da pagare. I polacchi lo hanno intuito, perciò prima di considerarsi alla pari dei partner europei sul tavolo delle decisioni e delle trattative devono risolvere alcuni screzi in casa.
Quasi 2,7 milioni di rifugiati dall’Ucraina sono giunti in Polonia, oltre 810.000 di loro hanno ottenuto il Pesel (un codice di undici cifre che corrisponde al nostro codice fiscale), e si registra l’ingresso di 178.000 alunni ucraini nelle scuole polacche, di cui il 75% risultano essere studenti delle scuole primarie mentre il 18,3% riguarda i bambini in età prescolare. Il governo si è attivato per gestire la questione migranti attraverso politiche che mirano a rendere accessibile il sistema sanitario, e la rete della medicina di base, il settore dei servizi pubblici e il mercato del lavoro.
Tra gli arrivi vi sono specialisti altamente qualificati nell’ambito dell’informatica e delle telecomunicazioni che, grazie ad un piano specifico promosso dall’esecutivo, possono essere inseriti, a breve, nel circuito occupazionale. All’emergenza rifugiati si coagula la questione delle questioni: il conflitto aperto tra il mito della Polonia ribelle e sovrana, impegnata a difendere la propria autonomia nei processi decisionali, e la Commissione Europea autrice della fusione dello stato di diritto con la possibilità di usufruire dei fondi Ue. Il classico metodo del bastone e della carota, del blocco e degli elogi dispensati in tempi di guerra. Ma l’invasione russa dell’Ucraina non ha cancellato i debiti contratti da Varsavia e le consequenziali riscossioni.
“È scandaloso che invece di fare investimenti con i fondi europei che ci spettano, dovrà essere il contribuente polacco a pagare. Questo avviene a causa dell’attuale governo e dell’incompetenza dei suoi rappresentanti al potere. Spero che in futuro i responsabili di queste perdite risponderanno a delle conseguenze”. Queste le parole di Olgierd Geblewicz, presidente del voivodato Zachodniopomorskie (Pomerania Ovest), il quale commenta la confusione implosa dopo la notizia riguardante la decisione della Commissione europea di iniziare a riscuotere le multe imposte alla Polonia dalla Cgue.
Nell’ambito dell’erogazione dei fondi Ue al Paese, in febbraio, la Ce ha eseguito detrazioni per un totale di 30 milioni di euro da due piani operativi (circa 15 milioni di euro ciascuno), dal programma “Conoscenza, istruzione, sviluppo”, così come dal programma regionale per il voivodato Kujawsko-Pomorskie. Trattasi delle sanzioni preventive stabilite dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per la mancata sospensione dell’attività della miniera di Turów, che il governo di Diritto e Giustizia ha deciso di non saldare.
A tal proposito, si aggiunge la voce di Krzysztof Gawkowski, deputato di Lewica, che dalla telecamera di TVN24, ha persino avvertito che i residenti della regione Kujawsko-Pomorskie verranno privati di 60 milioni di zloty, soldi che potrebbero essere impiegati per finanziare nuove strade, parchi giochi o plessi scolastici.
Inoltre, continua ad aumentare l’importo della penale per l’istituzione e il funzionamento della Camera disciplinare, che attualmente ammonta a circa 155 milioni di euro (quasi 720 milioni di zloty). Ora, arriviamo al dunque: vi sono tre disegni di legge depositati al Sejm; il primo a firma di Diritto e Giustizia, il secondo redatto da Solidarna Polska e il terzo voluto da Duda. Quest’ultimo non godrà dell’appoggio di Zbigniew Ziobro, il guardasigilli dall’intransigenza bismarckiana e intinto nell’acqua battesimale del più radicale nazionalismo, che interpreta il tentativo compromissorio di Duda con Bruxelles come un imperdonabile manifestazione di debolezza e sottomissione.
Ma i soldi dell’Ue devono essere sbloccati, se si vuol far fronte agli effetti drammatici disseminati dallo spettro del Covid-19. Ricordiamo che la Commissione europea ha congelato i fondi quando la Polonia non ha rispettato le sentenze emesse dalla Cgue lo scorso anno relative all’abolizione della Camera Disciplinare. In gioco ci sono 58 miliardi di euro di sovvenzioni e prestiti a basso costo dal Fondo europeo per la ripresa. Bruxelles lega indissolubilmente l’erogazione dei fondi all’adempimento di tre condizioni: la soppressione della Camera Disciplinare, la reintegrazione dei giudici rimossi, e la riforma del sistema giudiziario, al fine di garantire ai giudici un campo d’azione laico e scevro dalle influenze del potere centrale.
Il progetto presidenziale prevede la liquidazione della Izba Dyscyplinarna, ma il punto è trovare la quadra, soprattutto una maggioranza, nel Sejm, il che sembra difficile considerati i mille emendamenti presentati dal PiS e la recente dichiarazione di Ziobro: “Non siamo pronti a sostenere il Presidente con questa versione della legge. E non medieremo”.
In poche parole, Duda propone di liquidare la Camera disciplinare che scomparirà formalmente dalla struttura della Corte suprema, ma parallelamente intende traslocare i neo-giudici dell’ordine abolito nelle altre camere della Corte Suprema. Al suo posto, secondo il disegno di Duda, dovrebbe subentrare la Camera della Responsabilità Professionale (Ioz) che si occuperà dei casi disciplinari e verificherà le decisioni della Camera Disciplinare precedente. Anche l’opposizione sembra non digerire l’opzione normativa del presidente. I membri del Sejm avrebbero dovuto approvare il testo entro Pasqua, ma i sopracitati contrasti politici hanno fatto slittare l’appuntamento a inizio maggio.
La partita è ancora tutta da giocare, il fischio finale sembra lontano. L’esecutivo, inoltre, deve fare i conti con lo stesso Duda che in questi giorni ha concretamente smantellato la linea tracciata dal premier Mateusz Morawiecki; elogiando la collaborazione con Berlino durante l’incontro avvenuto a Varsavia tra il Presidente polacco e il collega teutonico Frank-Walter Steinmeier, mentre Morawiecki metteva in croce la timida politica estera condotta dalla Germania. E poi ancora: i colloqui con Boris Johnson, il lungo confronto con Ursula von der Leyen al Belweder, il veto sfoderato sulla lex TVN e lex Czarnek (che gli ha permesso di migliorare i rapporti con Biden) volute dal governo, la volontà di incontrare i leader dell’opposizione e i funzionari del governo locale, i suoi elogi all’Unione Europea, in occasione dell’Assemblea dell’11 marzo, il ricordo espresso verso i contributi di Lech Wałęsa e Aleksander Kwaśniewski al percorso della Polonia nella cintura della Nato.