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È il tempo dell’Europa. L’Unione alla sua prova di maturità sul conflitto

L’eredità di Guido Carli come bussola per uscire dalla crisi che ha investito l’Europa. L’intervento di Romana Liuzzo, presidente della Fondazione Guido Carli, in occasione della tredicesima edizione del Premio Guido Carli in programma venerdì 6 maggio alle 17,30 all’Auditorium Parco della Musica, nella Sala Petrassi, a Roma

È la prima volta che accade: l’Italia fornisce armi a un Paese in conflitto, in linea con gli altri 19 su 27 Stati membri dell’Unione europea che hanno deciso di inviare aiuti militari, appunto, all’Ucraina invasa dalla Russia. È una svolta che investe appieno anche l’Unione europea che userà – anche qui un inedito anche se più che giustificato – il proprio bilancio per acquistare e consegnare materiale bellicoso ed equipaggiamenti militari a un Paese per altro esterno ai confini dell’Europa geopolitica. Solo il primo blocco di finanziamenti è ammontato a 500 milioni di euro per l’esercito ucraino e 500 milioni per gli aiuti umanitari.

Tutto lascia presagire che l’Unione si trovi di fronte a una sorta di esame di maturità. Un esame in due prove. La pandemia, in primo luogo, che ha portato all’emissione di debito comune col Next Generation EU. La guerra in Ucraina, in seconda battuta, con le spese di bilancio affrontate per sostenere la resistenza di quel Paese. Come per la Germania, dalla Seconda guerra mondiale è la prima volta che vengono inviate armi in un Paese in guerra. L’Italia spende ogni anno per la propria difesa militare 30,4 miliardi, negli ultimi anni come molti alleati europei non ha mai adempiuto alle istanze della Nato, che chiedeva ai propri membri di spendere il 2% del Pil nazionale. È un handicap al quale l’Europa nella sua interezza avrebbe dovuto provvedere. L’Europa politica, s’intende, che avrebbe dovuto dotarsi anche di una difesa comune. Non è mai avvenuto, un po’ per indolenza. Un po’ per un voluto profilo basso della classe politica che si è preoccupata di non dispiacere la Nato.

Fosse stata creata e alimentata in questi anni una difesa comune europea, così come una comune politica di ripartizione e accoglienza dei migranti, si sarebbe potuto evitare l’invio di armi da parte dei singoli Paesi e acquisire maggiore autonomia rispetto alla Nato e agli Usa. Ma non è stato possibile.

Un’occasione sprecata. Non solo per l’Europa, ma per l’intero Occidente che non può non schierarsi in difesa di Zelensky e del suo popolo. Questo è evidente. E ce lo ha ricordato indirettamente il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, celebrando lo scorso 25 Aprile con un “pesante senso di allarme, di tristezza, di indignazione”. Un popolo, ha ricordato il capo dello Stato, ha il diritto “ad opporsi a un’invasione straniera”. Questa è la resistenza, ha scandito, ricordando quanto sia simile per certi versi a quella italiana dal nazifascismo.

Detto questo, l’invio delle armi non basta. E nel tempo – che non è certo quello della guerra – occorrerà rendere l’Ucraina sempre più indipendente ed europea. Lo è di certo e tanto, europeo, lo sguardo ancora sgomento dei giovani e delle giovani di quel Paese, precipitati in un inatteso scenario bellico. Se l’Europa è Europa dei popoli e non solo dell’unione monetaria, allora bisognerà allargare ancora una volta i suoi confini.

È l’insegnamento che traiamo dalla vita e dalla storia di Guido Carli, mio nonno: servitore dello Stato, governatore di Bankitalia, ministro del Tesoro e firmatario del Trattato di Maastricht. Proprio in queste settimane ricorrono i trent’anni dal patto che diede vita all’Unione monetaria ponendo le basi per un’Unione vera, oltre gli steccati nazionali. Era l’Europa di Carli. Quella nella quale ancora oggi crediamo e che vogliamo.

Ricordare lo statista ha ancora un senso, che la Fondazione Guido Carli – da me presieduta – rinnova ogni anno con la celebrazione del Premio a lui intitolato. Quest’anno un’edizione molto particolare, anzi straordinaria. Perché a essere premiati non saranno soltanto personalità del mondo dell’economia e dell’imprenditoria. Ma anche uomini e donne dello sport, della moda, della diplomazia, del cinema. I tredici premiati sono espressione del talento italiano a tutto tondo.

La tredicesima edizione del Premio è in programma venerdì 6 maggio alle 17,30 all’Auditorium Parco della Musica, nella Sala Petrassi, a Roma. Top secret i nomi dei premiati a parte quello del Generale Francesco Paolo Figliuolo, dopo l’esperienza alla guida della struttura d’emergenza anti Covid, oggi al Comando operativo di vertice interforze.

E ancora Mariangela Zappia, ambasciatrice italiana negli Stati Uniti; Luigi Ferraris, amministratore delegato di Ferrovie dello Stato; Alberta Ferretti, stilista, una delle principali icone della moda italiana nel mondo.

I riconoscimenti saranno assegnati dopo una selezione operata dalla giuria d’eccellenza composta da Gianni Letta, presidente onorario della Fondazione Guido Carli e quest’anno anche da due new entry: la direttrice del Tg1 Monica Maggioni e da Aldo Bisio, ad di Vodafone Italia. Oltre che dalla nostra storica giuria composta da Ornella Barra, Coo for Walgreens Boots Alliance; Vincenzo Boccia, presidente della Luiss Guido Carli; Urbano Cairo, presidente della Cairo Communication e Rcs; Fedele Confalonieri, presidente Mediaset; da Claudio Descalzi, ad di Eni; da Giovanni Malagò, presidente del Coni; da Giampiero Massolo, presidente di Ispi; Barbara Palombelli, giornalista e conduttrice televisiva; Antonio Patuelli, presidente dell’Abi; Francesco Starace, ad e direttore generale dell’Enel.

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