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Patti chiari, amicizia lunga. Radiografia del partito di Putin

Di Fabrizio Cicchitto
Gas e rubli, che succede se Mosca chiude i rubinetti?

Da Dibba il guevarista a Conte il pacifista d’antan, da Salvini legato a Berlusconi amico di un tempo. Non inganni la guerra russa in Ucraina: il partito di Putin è vivo e vegeto, e prepara il ritorno. Il commento di Fabrizio Cicchitto

Specie in una prima fase, ai tempi dell’indimenticabile governo Conte 1 composto dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle, i due partiti non si sono fatti mancare nulla sul terreno della politica estera. Il M5S è stato indubbiamente quello più fantasioso, spaziando da Beppe Grillo e Luigi Di Maio influenzati dai cinesi ad Alessandro Di Battista sostenitore di Maduro fino a Manlio Di Stefano impegnato a stilare dotti articoli di orientamento antisionista e a tenere brillanti orazioni antiamericane ai congressi di Russia Unita.

Per non farsi mancare nulla, Di Battista, Di Maio e altri colleghi hanno incontrato le frange più estreme dei gilet jaunes provocando addirittura una crisi diplomatica. A Matteo Salvini va riconosciuto di esser stato unidirezionale, con una bella squadra di amici fidati. Si è legato organicamente a Vladimir Putin e  in modo così profondo e viscerale da affermare di preferir soggiornare a Mosca (e magari in qualcuno dei suoi alberghi più frequentati come l’hotel Metropol), piuttosto che in una qualunque altra città europea. Sul terreno di sottili analisi istituzionali, è arrivato a proclamare anche che mezzo Putin vale due Sergio Mattarella.

Per non dare spazio a equivoci Salvini ha deciso di non far curare i rapporti con i russi a militanti della Lega provenienti come lui dall’estrema sinistra. No, in memoria del patto Ribbentrop-Molotov Salvini ha scelto di delegare a questo scopo Gianluca Savoini, membro di Orion, società che non ha mai perso occasione di sottolineare di non aver nulla a che fare con il fascismo, appartenendo a una militanza politica e culturale di livello superiore, si immagina quale.

Ovviamente tutto ciò ha avuto le sue evoluzioni, taluna molto spericolata, qualche altra più razionale. Per parte sua Silvio Berlusconi ha stabilito ben prima, al di fuori di ogni schema, una liaison dangereuse con Putin fondata su una straordinaria amicizia personale, scevra di interessi di altro tipo.

Questa la fotografia di partenza. Poi con il passar del tempo alcune cose sono cambiate. Nel Movimento 5 Stelle il più sveglio di tutti, cioè Di Maio, ha rapidamente capito che i punti di riferimento dell’Italia per evitare pericolose avventure e per guidare con una qualche autorevolezza il ministero degli Esteri sono gli Usa e l’Unione europea. Di Battista è rimasto guevarista, mentre Conte, da quel perfetto trasformista che è, ha combinato insieme tutti i riferimenti possibili e immaginabili, da Donald Trump (al quale ha fatto qualche servizio sul terreno dei servizi) ai russi e i cinesi, approdando infine a un atlantismo irenico ed edulcorato da un pacifismo. Un pacifismo, bisogna dirlo, riscoperto nel bel mezzo di una guerra scatenata da Putin, funzionale però a tenere aperto un contenzioso con Draghi e con il Pd.

Con la sua aggressione frontale all’Ucraina Putin ha messo in difficoltà tutti i suoi amici, anche quelli più cari, costretti a inabissarsi in attesa di tempi migliori. Salvini all’improvviso è diventato un fervido pacifista, spingendosi a interpretazioni estreme di papa Francesco. Poi, come è suo solito, si è fatto trascinare dal suo esibizionismo fino in Polonia, terra in cui c’è poco da scherzare perché accomunata dal dramma della vicina Ucraina. Lì è andato a sbattere in un sindaco conoscitore delle sue felpe putiniane che gliele ha sbattute metaforicamente in faccia in diretta televisiva, facendogli fare una magra figura.

Oggi Berlusconi e Salvini sembrano condividere sulla guerra una straordinaria sobrietà. Il nome in due sillabe di Putin non si è mai affacciato sulle loro labbra e così essi hanno condannato una guerra che sembra piovuta dal cielo, senza un responsabile.

Di qui l’impressione, non infondata, che un po’ tutti i putiniani siano in agguato in attesa di tempi migliori. Non avendo voluto Draghi come presidente della Repubblica se lo trovano adesso come presidente del Consiglio, in prima linea sul terreno dell’europeismo e dell’atlantismo. Intanto gli stanno rendendo la vita difficile sulle questioni economiche in attesa di un’occasione – allo stato imprevedibile – che consenta loro di poter finalmente regalare a Putin quello che egli stesso si è negato con la sua attuale condotta criminale. I servizi politici e di altro tipo che il presidente russo ha reso loro in passato meritano certo, se sarà possibile, qualche manifestazione di gratitudine.

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