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Recovery green. Se la transizione è finita in soffitta

La guerra russa in Ucraina accelera la ricerca di fonti alternative e le rinnovabili possono fare la differenza. Così i fondi Ue possono oliare gli ingranaggi di una transizione che ha frenato pericolosamente. Il commento di Erasmo D’Angelis

Do you remember il drammatico ultimo report sul clima dell’Intergovernmental Panel on Climate Change che riunisce i duemila scienziati coordinati dalle Nazioni Unite?

Questione di vita o di morte per le aree più a rischio catastrofi meteo-climatiche con circa 4 miliardi di persone in alta emergenza eventi estremi ormai sempre più ordinari (alluvioni e siccità, desertificazioni e carestie, aumento del livello degli oceani e dei mari e cuneo salino, fughe bibliche…).

Ebbene, anche il 2021 si è chiuso con emissioni climalteranti di CO2 da record, con l’ennesimo picco storico accumulato, e continuano ancora a crescere, e a sfondare le quote precedenti. Servirebbe mantenere vivo l’obiettivo di limitare la crescita della temperatura globale a 1.5°C per evitare che superi i 2°C rispetto ai livelli pre-industriali.

Ma la brutalità dell’aggressione russa all’Ucraina, come l’emergenza Covid, stanno pesando come macigni anche nelle agende degli impegni per la transizione energetica ed ecologica per il passaggio da un’energia fortemente climalterante con tagli robusti e immediati ai combustibili fossili – il mix di carbone, petrolio e gas – all’avvio di una rapida de-carbonizzazione del nostro modo di vivere e produrre.

La centralità dell’orrore in Ucraina, ha messo in evidenza anche i nostri errori e i nostri ritardi. Ci siamo scoperti Paese alla canna del gas russo, nel 2021 abbiamo importato il 38,2% del gas consumato, 29,07 miliardi di metri cubi. Complessivamente ne importiamo 72,75 miliardi di metri cubi e la Russia primo fornitore è seguito da Algeria, Norvegia e Qatar.

Siamo fin troppo dipendenti dalle fonti fossili, a costi peraltro ormai alle stelle, e l’inflazione trainata dal gap energetico per il conflitto innescato da Putin è balzata dal 2% al 6% con l’impossibilità dell’industria più energivora – dall’acciaio alla ceramica – di far fronte a costi di consumo e produzione. Governo ed Eni stanno acquistando dagli Usa ai paesi africani gas liquefatto, ma a prezzi elevati.

Il brutale conflitto si abbatte però anche sulle fonti rinnovabili, centrali nelle nostre politiche di transizione energetica perché rappresentano l’unica nostra possibilità e la grande occasione di tracciare una strategia di indipendenza con energia a basso prezzo. Uno dei paradossi, infatti, è nella ripresa degli obiettivi di estrazioni di gas dal Canale di Sicilia all’Adriatico, e soprattutto nel ritorno al carbone, la fonte fossile più nociva, per gestire l’emergenza in corso sostituendo velocemente quote di gas russo.

Eppure, è sempre più chiara l’urgenza di produrre energia da fonti pulite, e abbiamo la capacità per il gran salto nella transizione energetica dimezzando le nostre emissioni entro il 2030. Abbiamo tecnologie e know-how per concretizzare gli obiettivi solennemente annunciati e per contribuire a limitare il riscaldamento globale e a mitigare i suoi effetti che lungo la Penisola hanno un costo di circa 5 miliardi all’anno.

Questa strada è stata aperta dal Governo con l’istituzione del nuovo Ministero della Transizione Ecologica guidato da Roberto Cingolani, ed è molto bene indicata nei target nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con flussi finanziari mai visti da 80 miliardi di euro. Possiamo approfittare dei costi delle tecnologie low carbon diminuiti notevolmente, di tecnologie evoluta nell’elettrificazione dei trasporti come nell’edilizia a emissioni zero, e avviarci verso il “disaccoppiamento” della crescita economica senza crescita della CO2.

È questa la sfida di cui noi, invidiabile “Paese d’o sole”, eravamo pionieri oltre venti anni fa e che ci vede oggi arrancare parecchio. Nel 2030 dovremo aver installato 10 GW di fonti pulite all’anno, come da obiettivi europei, ma siamo al palo con appena 1 GW all’anno installati.

Sole e vento coprono circa il 17%, e l’idroelettrico aggiunge un più 14.8% all’elettrico. La svolta rinnovabile è frenata dall’iper-burocrazia, da vincoli paesaggistici spesso presunti, dal comitatismo locale, ma anche dall’assenza di una regia e di strumenti pianificatori come i piani regolatori regionali soprattutto per l’eolico in grado di indicare o di escludere localizzazioni evitando conflitti interminabili. Il paesaggio dell’Italia è unico e irripetibile, ma può ospitare armoniosamente e con inserimenti ormai soft e rispettosi anche le energie pulite.

Abbiamo poi settori energetici da rilanciare come l’idroelettrico, che in Italia un secolo fa garantiva il 90% dei consumi elettrici,  che non consuma acqua  ed è carbon free. Abbiamo fortissimi incentivi per parchi eolici, solari e geotermici, target ambiziosi e tanti soldi da investire ma, dati alla mano, mentre a livello globale la crescita della potenza installata delle rinnovabili corre e registra un più 9.1% nel 2021, in Italia dal 2015 è cresciuta appena del 3%, a fronte anche di una media Ue del 13%.

I nostri migliori trend, un vero exploit di installazioni di impianti soprattutto di solare termico e fotovoltaico, sono stati raggiunti nel triennio 2010-2013, e se avessimo tenuto quel ritmo oggi saremmo molto più energeticamente indipendenti, avremmo almeno 50 GW in più di impianti e avremmo potuto tagliare le importazioni di gas dalla Russia senza entrare nel panico dei contraccolpi.

Per questo serve lo sblocco immediato e coerente del settore, e che non siano più corse a ostacoli senza fine gli iter autorizzativi richiesti per almeno 90 GW di impianti rinnovabili pronti ad essere installati, dal fotovoltaico all’eolico off shore. Il Governo ha istituito la Sovrintendenza speciale per il Pnrr, ma nel frattempo la Germania sta coprendo già circa il 50% della domanda di energia con le rinnovabili e conta di arrivare nel 2030 all’80% dell’elettricità e nel 2035 al 100%. Noi Paese d’o Sole siamo fermi al 35% ma dal 2014.

E qual è l’altro paradosso della transizione energetica  italiana? Che mentre gli impianti rinnovabili non si realizzano, si ritorna al carbone, la peggiore scelta energetica. La strategia di emergenza del Governo prevede la riapertura o l’aumento di produzione nelle nostre 7 centrali a carbone, inserita nella strategia di ricerca a tutto campo di tutte le risorse energetiche nazionali disponibili per far fronte al blocco delle forniture dalla Russia.

Le centrali a carbone (2 in Sardegna e una in Liguria, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lazio e Puglia: 5 gestite da Enel, una da A2A e una da EP Produzione del gruppo cecoslovacco EPH) nel 2021 hanno garantito poco più del 5% del fabbisogno nazionale di elettricità, dal 13% di dieci anni fa. Quelle di Civitavecchia, Brindisi, Monfalcone potrebbero aggiungere un altro 3%. Il Governo nella fase pre-guerra aveva azzerato gli oneri di sistema, avviando finalmente la de-carbonizzazione, e indicando al 2025 la chiusura delle centrali.

Per il gas è in gioco l’aumento delle estrazioni nei nostri giacimenti attivi, riattivando pozzi dismessi o in via di conversione o trivellando in aree anche a fortissimo rischio sub-sidenza come tra Ravenna e Venezia. Le valutazioni sul potenziale indicano riserve dell’alto Adriatico per 40 miliardi di metri cubi e nel canale di Sicilia per 10 miliardi di metri cubi. E poi c’è l’aumento dei carichi di Gnl, il gas naturale liquefatto spedito via nave, e verso i nostri 3 rigassificatori di Rovigo, Livorno e La Spezia, che complessivamente possono trattare fino a 60 milioni di metri cubi al giorno.

Ma la via per l’indipendenza energetica passa soprattutto dalle rinnovabili e queste, come avverte il ministro Cingolani, vanno accelerate enormemente perché “se vogliamo fare realmente l’idrogeno verde, la mobilità elettrica massiva, convertire in elettrificati i settori manifatturieri hard to abate, dobbiamo avere abbastanza energia elettrica verde per poter alimentare questi settori”. La transizione richiede impianti ma anche nuove infrastrutture, reti smart, stoccaggi, ed è anche questo lo scatto che serve e che non possiamo più frenare.

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