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Dal grano al petrolio. Gli effetti della guerra in Ucraina sulle economie africane

Gli effetti del conflitto in Ucraina sono già evidenti in Sierra Leone e in Ghana dove il prezzo del carburante è più che raddoppiato nel giro di poche settimane. Ma il rincaro del petrolio è solo l’inizio di una escalation che causerà profondi mutamenti economici, secondo gli esperti dell’area. L’analisi di Roberto Sciarrone, Ph.D in History of Europe, Sapienza Università di Roma

La crisi russo-ucraina sfociata in una guerra che si trascina ormai da più di un mese è già mondiale. Come affermato qualche giorno fa dalla direttrice del Fondo monetario internazionale Kristalina Georgieva “guerra in Ucraina significa fame in Africa”. L’Ucraina e la Russia, come sappiamo, producono insieme quasi un quarto del grano mondiale, sfamando miliardi di persone in tutto il pianeta, per alcuni Paesi dell’Africa rappresentano quasi il 90% delle importazioni, come il Kenya, il Sudan, il Ruanda, l’Etiopia, la Somalia, già colpiti da siccità e conflitti armati interni di media e grande entità.

È chiaro come la dipendenza dal mercato mondiale delle deboli economie africane – soprattutto delle materie prime – tenga un intero continente in apprensione.

Gli effetti del conflitto in Ucraina sono già evidenti, ad esempio, in Sierra Leone e in Ghana dove il prezzo del carburante è più che raddoppiato nel giro di poche settimane. Ma il rincaro del petrolio è solo l’inizio di una escalation che causerà profondi mutamenti economici, secondo gli esperti dell’area.

Ad oggi, con un conflitto ancora in corso nel cuore dell’Europa, è impensabile che l’Ucraina sia in grado di soddisfare anche solo una parte della domanda. Il conflitto, inoltre, si inserisce in un contesto di prezzi in rapida crescita da quasi due anni, tra lockdown vari e ostacoli nelle catene di approvvigionamento globali. Inoltre, l’impennata dei prezzi alimentari altissimi ricorda molto quella del 2010-2011, precursore delle “Primavere arabe” che causarono la guerra civile siriana e il caos libico soprattutto. Il rischio? Un nuovo ciclo di proteste tra i paesi africani già e mediorientali già colpiti pesantemente dalla pandemia.

L’aumento della fame e dell’instabilità nel continente africano è inevitabile, in Egitto – ad esempio – le riserve di cereali e la produzione nazionale basteranno solo fino a novembre. E poi? Questo il dilemma ulteriore da risolvere per i Paesi dell’area e per l’Occidente, attento ai possibili risvolti politici e umanitari della possibile crisi del grano. La fuga di milioni di persone sta già mettendo grande pressione agli aiuti internazionali, distogliendo naturalmente l’attenzione dai grandi conflitti dimenticati che hanno ancora estremo bisogno di assistenza.

Sono 59 i conflitti in corso nel mondo ad oggi, nello Yemen la situazione è molto critica, si “muore di fame” letteralmente. Poi la Nigeria, con più di mille morti dall’inizio del 2022, così come il conflitto tra il governo del Messico e i narcos, e poi la Siria, l’Etiopia, la Birmania, il Pakistan, il Congo, la Somalia, il Mozambico, Israele e Palestina. Si calcola che nei conflitti del XX secolo siano morti 191 milioni di persone, soprattutto civili. E la triste conta, purtroppo, è ancora in corso.

 


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