Due bottoni, “mentire” e “uccidere”. Un rubinetto, un telefono e una valigetta. Sulla scrivania di Vladimir Putin al Cremlino restano poche opzioni per raccontare una vittoria e tutte pessime. E il countdown per il 9 maggio è già iniziato. Il commento di Edward Lucas, vicepresidente del Center for European Policy Analysis (Cepa)
Nelle prossime settimane Vladimir Putin deve escogitare qualcosa per celebrare la più importante festa patriottica del suo Paese: il 9 maggio, che marca la vittoria sovietica sulla Germania nazista nel 1945.
Sulla sua scrivania si trovano in bella vista due bottoni. Il primo si chiama “mentire” e l’altro “uccidere”. Funzionano, fino a un certo punto. Putin può ordinare alla sua artiglieria di ridurre le città ucraine a un cumulo di macerie insanguinate. Ma il burrone tra il costo colossale che sta pagando e i progressi minimi ottenuti si sta allargando. Allungare i combattimenti non farà che peggiorarlo. Non può fare affidamento sulla vittoria del rocambolesco esercito russo contro l’Ucraina in tempo per la sua festa.
Spingere il bottone delle bugie inoltre crea più problemi di quanti ne risolva. Sostenere che l’Ucraina sia uno Stato fantoccio dell’Occidente comandato da nazisti drogati è stato facile: la maggior parte dei russi non avrà l’esperienza personale per poter replicare. Ma i russi vanno eccome a fare shopping. E tanti hanno giovani parenti maschi nell’esercito. È più difficile convincere queste persone che la peggiore guerra europea dal 1945 è solo un limitato intervento militare. Che cinque settimane di combattimenti si possano vendere come una vittoria immediata, che le gravi perdite siano davvero minime, e che siano stati colpiti solo obiettivi militari.
Le truppe russe che tornano dalla prima ondata di combattimenti esauste, congelate, demoralizzate, affamate e ferite avranno da raccontare una storia diversa. Potenziare la macchina della propaganda, in poche parole, mette a dura prova la credibilità del regime e la credulità del popolo russo.
Perfino nell’Unione sovietica, un ecosistema informativo circondato dalla censura, la linea del partito non riusciva a sopravvivere intatta all’impatto con la verità. Più le autorità insistevano a raccontare meravigliose bugie, meno la gente ci credeva. L’ossessione per la festa del 9 maggio è allora un rischio: che succede se la folla della Piazza rossa inizia a fischiare o cantare slogan? Putin ricorderà senz’altro come un rally che si presumeva pro-regime radunato nel 1989 da Nicolai Ceaușescu si sia trasformato in una debacle che è costata il trono e la vita al dittatore rumeno.
Vicino alla scrivania c’è un rubinetto, che può spegnere da un momento all’altro il flusso di energia russa verso l’Europa. Putin può rendere Paesi come Francia, Italia e Germania più freddi, più poveri e più infuriati. Di certo non più collaborativi: un taglio netto dell’export non farà che rafforzare in questi clienti la pur tardiva cognizione del pericolo che si corre quando si dipende da un vicino imperialista.
La scrivania di Putin ha anche un telefono. Ma chi può chiamare? Alcuni leader occidentali, su tutti Emmanuel Macron, alzeranno la cornetta. Ma solo per fargli una ramanzina sulla follia della guerra e la necessità di una veloce soluzione negoziale. Nulla che lo aiuti a risolvere il suo cruccio del 9 maggio. Perfino Paesi che sulla carta sono amici come il Kazakistan non vogliono avere nulla a che fare con la guerra. Aleksander Lukashenko, leader della fraterna Bielorussia, è convintamente incoerente, perennemente indigente e soprattutto inutile: il suo esercito preferisce ammutinarsi che combattere. Rimane solo Xi Jinping, la cui glaciale irritazione per i costi, la distruzione e il perdurare di una guerra mal-pensata non offre alcun sollievo.
Inutili sono anche gli scagnozzi e i sicofanti che Putin ha intorno. Gli raccontano bugie: lo sa lui, lo sanno loro. Può bullizzarli, ma non può costringerli a dirgli la verità o a dare veri consigli. E non potrà mai davvero fidarsi di loro. Tutto il lusso dei suoi ornamenti, tutto il potere che incarna non cambiano la verità: l’ufficio del presidente russo è una prigione fisica e mentale.
Solo la valigetta nucleare, trasportata da un onnipresente ufficiale di marina con un distinto cappello bianco addosso, offre una via di uscita. Una minaccia davvero convincente potrebbe spingere un Occidente tremante a forzare l’Ucraina ad accertare i termini che Putin possa poi presentare come una vittoria.
I giorni marciano impietosamente verso il 9 maggio. Cosa farà Putin? Lo scopriremo presto…
Una prima versione di questo articolo è apparsa sul sito di Cepa (Center for European policy analysis)