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Una umanità tutta da dimostrare nei nostri aiuti all’Ucraina

Aiutare a ricostruire, a costruire, avere la capacità di articolare una parola di pace e di coraggio autenticamente nuova da riflettere su un comune e più ampio orizzonte, vorrà dire sapere che un popolo si è unito nel dirsi pronto a sacrificarsi liberamente come può per aiutare chi non può fare altro che opporre la vita a chi lo vuol derubare della stessa vita

Domando a me stesso prima ancora che a chi dovesse leggere, cos’è che può fare chi legge, chi scrive, chi si trovi qui, dove non è costretto a scegliere tra il sopravvivere fisicamente all’oppressione e il vivere in libertà, e non là dove già solo la scelta tra la sopravvivenza e la vita è una lotta per la libertà. Chiunque, qualunque cosa faccia, si stia domandando cosa si può fare di qui che possa aiutare di là e che possa evitare che il dramma possa proseguire a lungo per poi ripetersi ancora e ancora, lontano o vicino.

Sarà capitato a chi legge di scrollare le pagine dei social network e di aver notato la foto profilo di profili amici con la bandiera Ucraina e la scritta “StandForUcraine”. Di qui, la domanda. Ma se anche su tutte le foto profilo del mondo ci fosse scritto “StandForUcraine” cambierebbe qualcosa? Faremmo qualcosa di simbolico ma sarebbe realmente utile? Non costerebbe nulla e sarebbe meglio di niente. Almeno una timida testimonianza di vicinanza, solidarietà e sostegno alla vittima e di condanna per il carnefice.

Molto più significativa la conferenza organizzata dalla Fondazione Luigi Einaudi alla quale ha partecipato l’ambasciatore ucraino in Italia, Yaroslav Melnyke, e coraggiosa l’iniziativa di circa cento organizzazioni, tra le quali il Consiglio Nazionale dei Giovani e la Gioventù Federalista Europea, che sono partite da Roma per Leopoli in carovana “Stop the war now” portando tonnellate di beni di prima necessità e medicine, e ripartiranno per Roma con a bordo centinaia di persone in condizioni di fragilità che hanno urgente bisogno di accoglienza. E continua ad essere molto pratico ed utile sostenere con microdonazioni, solo per fare un paio di esempi, la Croce Rossa e il quotidiano indipendente Kyiv Indipendent.

Saremmo comunque lontani da quanto potremmo dire o pensare di fare per esprimere in un messaggio politico fermezza e autentica speranza, di aiuto, per inciso, a noi stessi non meno che agli altri. Forse potremmo esserlo di più se dichiarassimo che siamo disposti a pagare bollette ancora più alte, a passare l’inverno con i termosifoni più bassi o spenti, a pagare i rifornimenti il quadruplo, a fare fronte a costi aziendali insostenibili, ad una forma di irresponsabilità per la quale potremmo sacrificare la nostra vita economica in nome di un’altra forma di responsabilità per la quale potremmo affermare senza riserve il valore senza prezzo di una vita libera, se tutto questo fosse il prezzo da pagare per inasprire le sanzioni alla Federazione Russa essa stessa sotto botta del tiranno Putin, per fare capire che in Europa c’è un popolo libero disposto a molto per sostenere un popolo oppresso dalla guerra e dalla crudeltà. Ma tutto questo servirebbe?

Non è detto. Certo se solo fosse vero che saremmo disposti a farlo, a questo sacrificio per le economie delle famiglie, delle imprese, e dei bilanci dei Paesi europei, modesto rispetto a quello che è richiesto a chi come noi – questo è il fatto: “a chi come noi” in questi giorni non può ragionare né di bollette, né di temperatura delle abitazioni, né di benzina, gasolio e gas, né di costi per le imprese, perché è impegnato a fare la guerra – qualcuno, per quel che a questo punto possa servire, inizierebbe a capire di aver sbagliato anche questi calcoli. Ma anche fosse che si sapesse che di qui siamo pronti a sostenere la lotta per la libertà pagando prezzi altissimi in termini economici, a cosa servirebbe? Forse a poco.

Ma ci renderebbe consapevoli di dover aiutare, la dico meglio, di voler lottare per come ci è possibile, per aiutare chi si difende – come ha dichiarato il Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi – per la pace. La stessa Commissaria europea Mairead McGuinness, intervenuta davanti alle Commissioni Finanze e Politiche dell’Unione europea di Camera e Senato riunite, ha sostenuto con fermezza le sanzioni per aiutare l’Ucraina e ha dichiarato che, al riguardo, l’Unione europea è pronta a fare di più.

In questo dobbiamo trovare la nostra forza, nell’aiutare la nostra coscienza a ricordarci che quale che sia il prezzo che stiamo pagando è un prezzo bassissimo rispetto a quello che stanno pagando i nostri amici, cugini, fratelli – ciascuno li chiami come sente – impegnati a resistere alla spietata e folle prepotenza del lucido tiranno che – per dirla con le parole che scrisse Indro Montanelli sul Corriere della Sera nel 1956 durante l’occupazione dell’Ungheria da parte dell’Urss  – preferisce diventare “padrone di un deserto o, per meglio dire, di un cimitero, piuttosto che rinunziare a una colonia”.

Certo, se iniziassimo a guardare all’Ucraina come ad un Paese che per geografia e storie è parte dell’Europa e smettessimo di sperare in qualcosa che oggi sembra insperabile, tutto questo servirebbe a poco. Ma se avessimo fede che anche nel nostro piccolo trovando in questa consapevolezza la forza di una nuova forma di solidarietà fossimo in grado di farcene un’idea compiuta, questo servirebbe a motivare chi oggi ci rappresenta a farlo meglio e a tenere duro, a candidarsi e a scegliere i partiti, le liste e i candidati con maggiore ambizione, quando tutto questo sarà finito. Perché tutto questo finirà, al carnefice la storia presenterà il conto, e tutti saremo chiamati alle nostre responsabilità soprattutto a quelle future.

Allora, aiutare a ricostruire, a costruire, avere la capacità di articolare una parola di pace e di coraggio autenticamente nuova da riflettere un su un comune e più ampio orizzonte, vorrà dire sapere che un popolo si è unito nel dirsi pronto – più che nel minuscolo discettare sul coraggio della resistenza o della resa – a sacrificarsi liberamente come può per aiutare chi non può fare altro che opporre la vita a chi lo vuol derubare della stessa vita.

Significherà sapere che l’unità politica dell’Europa – rimarcata di sovente, e da ultimo nella lettera al giornalista Michele Santoro, da un autorevole europeista quale è Enrico Letta – non si potrà più rimandare, non si avranno più scuse per farlo, perché le ragioni  saranno tanto evidenti che quale che sarà il nome che gli avremo dato, la federazione europea sarà stata preceduta da un vero e proprio popolo europeo pronto a volerla e a sostenerla e da una più matura amicizia oltreoceano. A sapersi in movimento per dirla con un europeo di adozione come Jorge Luis Borges. Questo si che farebbe la differenza per l’oggi e per il domani. Interrogherebbe la piccola e banale e insulsa storia, la provocherebbe, la distoglierebbe non da tutte ma da quelle bassezze all’ordine del giorno che ancora oggi le impediscono di stringersi in un patto globale e di vedersi realizzata, in grazia e libertà, in una umanità ancora da dimostrare a pieno.

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