La ARC 1, battente bandiera panamense e partita dalla Malesia, da alcuni giorni è a Fiume. Prima era stata per quasi 31 ore a Trieste. Potrebbe trasportare petrolio del regime di Teheran. Jungman (Uani) avverte chi cerca alternative ai rifornimenti russi ricordando il rischio di sanzioni Usa: “Serve una rigorosa due diligence per determinare la vera origine del carico”
C’è una petroliera battente bandiera di Panama che fa la spola da due settimane nel Mar Adriatico, dalla Croazia all’Italia, e poi di nuovo in Croazia. Dal 21 maggio è nel porto di Fiume.
È la ARC 1, registrata a nome di una società di comodo delle Isole Marshall, la Silver Coast, e potrebbe trasportare petrolio iraniano, che sarebbe stato caricato prima di partire alla volta dell’Oriente per poi tornare sui suoi passi e dirigersi verso l’Europa. È partita a metà marzo dalla Malesia e attraversato il Mar Arabico, imboccato il Mar Rosso, passato il Canale di Suez e risalito il Mar Mediterraneo. Tra il 19 e il 20 maggio è entrata nel porto di Trieste, rimanendo nella Zona economica esclusiva italiana per 1.858 minuti, poco meno di 31 ore.
L’AZIENDA LEGATA ALL’IRAN
I registri aziendali collegano la Silver Coast a una società di Singapore, la Tianjin Shipping Ventures Private, che a sua volta ha legami operativi con almeno altre due navi regolarmente impegnate in trasferimenti da nave a nave di petrolio caricato in Iran, ha ricostruito Richard Meade, direttore della testata specializzata Lloyd’s List.
L’INVERSIONE DI ROTTA
L’esperto si è interrogato su un’inversione di rotta dell’ultimo minuto dalla Croazia all’Italia registrata alcuni giorni fa. “Solo poche ore prima che la nave cambiasse rotta, una serie di lettere sono state inviate alla direzione del porto di Fiume, agli agenti portuali e alle compagnie di navigazione croate, ricordando a tutti la politica delle sanzioni statunitensi sul greggio iraniano”, ha scritto Meade. Gli Stati Uniti “continueranno ad applicare rigorosamente le sanzioni sul commercio illecito di petrolio dell’Iran. Chiunque acquisti petrolio dall’Iran rischia di incorrere in sanzioni statunitensi”, ha ricordato Brian E. Nelson, sottosegretario al Tesoro, annunciando una nuova serie di sanzioni contro i Pasdaran e la loro “rete di contrabbando” dell’oro nero.
LE LETTERE
Le lettere erano inviate da United Against Nuclear Iran (UANI), gruppo statunitense che come dice il nome di batte contro la nuclearizzazione dell’Iran e si impegna su vari fronti per evitarla, compreso quello del greggio. Un portavoce di Janaf, l’ente croato responsabile della gestione dello stoccaggio e del trasporto del petrolio, ha poi dichiarato a Lloyd’s List di non aver “ricevuto la nomina della nave in oggetto da nessuno dei nostri clienti”.
Looking for a new boxset? Can I recommend the saga of the Arc 1 – the mysterious U-turning tanker that nobody wants, but keeps on trying all the same.
It’s a tragedy of our time. pic.twitter.com/Uqv23eReAk
— Richard Meade (@Lloydslisted) May 20, 2022
IL TRASFERIMENTO DEL GREGGIO
Alla lettera dell’UANI sulla ARC 1 erano allegate una serie di foto satellitari per dimostrare che la petroliera aveva caricato greggio iraniano tramite un trasferimento da nave a nave da un’altra petroliera, la Vigor, il 2 aprile al largo della Malesia. La Vigor era stata a sua volta rintracciata tramite i dati della Lloyd’s List Intelligence e fotografata dai satelliti mentre caricava petrolio dall’isola iraniana di Kharg il 14 marzo. Inoltre, gli operatori potrebbero aver ritenuto che un ulteriore mascheramento di una seconda operazione con la petroliera CS Prosperity, collegata alle Isole Marshall, quattro giorni dopo sarebbe stato sufficiente a garantire che il viaggio non fosse identificato come una spedizione di greggio iraniano, ha scritto Lloyd’s List.
UNA PRIMA VOLTA?
Se la ARC 1 avesse scaricato sarebbe stata la prima consegna di un carico iraniano in Croazia dal 2018. Lo stesso sarebbe valso per l’Italia, in caso di consegna a Trieste, una città molto strategica. Basti pensare che l’Autorità di sistema portuale guidata da Zeno D’Agostino nel 2019 aveva firmato il patto con la Cina per fare di Trieste la base della Via della Seta alimentando le preoccupazioni statunitensi che proprio da Trieste fanno passare una quota importante del loro petrolio nel Mediterraneo diretto verso il centro Europa. Tuttavia, la petroliera sembra abbia sostato in Italia unicamente per ragioni di approvvigionamento prima di ripartire verso Fiume. La campagna dell’UANI per individuare le spedizioni iraniane e darne visibilità sui media sembra aver sempre più società a chiedere assistenza legale per gestire il rischio percepito nell’essere collegati a una storia simile, anche se il commercio in sé è legalmente lecito, ha scritto Llyod’s List citando avvocati del settore.
IL COMMENTO DI JUNGMAN (UANI)
“L’Europa sta cercando di non importare più il petrolio russo, ma i Paesi europei dovrebbero essere scettici nei confronti dell’Iran”, ha dichiarato Claire Jungman, chief of staff di Uani, a Formiche.net. “Le navi che trasportano petrolio iraniano mettono in atto ripetutamente pratiche ingannevoli per nascondere la vera origine del petrolio. Nel caso della ARC 1, il petrolio originario proveniva dall’isola di Kharg, in Iran, ed è stato poi trasferito da nave a nave alla ARC 1”, spiega. La petroliera, poi, “è stata impegnata in un altro trasferimento da nave a nave, probabilmente per rietichettare il petrolio iraniano. Questi trasferimenti ripetuti da una nave all’altra sono una tecnica comune dell’Iran, assieme allo spoofing dei transponder Ais”, cioè la produzione di false rotte, continua l’esperta. “Chi cerca di acquistare alternative al petrolio russo dovrebbe analizzare con molta attenzione i precedenti delle navi e condurre una rigorosa due diligence per determinare la vera origine del carico”, conclude.
LA RELAZIONE DEL COPASIR
Nella recente relazione sulle conseguenze del conflitto tra Russia e Ucraina nell’ambito della sicurezza energetica, il Copasir ha indicato come l’Iran potrebbe “tornare ad essere un partner di primo piano”. Il conflitto in Ucraina “ha fornito una nuova spinta per la ripresa degli accordi sul nucleare tra gli Stati Uniti e l’Iran che, sebbene osteggiati da Israele e da alcuni Paesi arabi, potrebbero dare luogo a nuovi equilibri nella partita energetica”, si legge nel documento. L’Italia, scrivono ancora i “commissari, potrebbe sfruttare le ottime relazioni commerciali con questo Paese che potrebbe costituire un ulteriore sbocco alternativo per il reperimento del gas in sostituzione di quello russo. Teheran, peraltro, ha espresso il proposito di costruire una flotta di metaniere e navi con la finalità di sviluppare una propria industria del GNL e quindi anche questa prospettiva potrebbe rappresentare un’opportunità per il mercato italiano”.
L’ANALISI DI SCITA E PERTEGHELLA
Ma “le attuali condizioni politiche e tecniche, nonché l’alto livello di incertezza futura” “limitano fortemente il reale potenziale sostitutivo” dell’Iran, ha osservato Jacopo Scita, Al-Sabah doctoral fellow presso la School of Government and International Affairs dell’inglese Durham University. Attualmente, “la produzione di gas iraniana va quasi interamente a soddisfare la domanda interna”, per questo “sul breve-medio periodo è difficile” che l’Iran torni a essere un partner di primo piano per l’Italia, ha spiegato Annalisa Perteghella, senior policy advisor del think tank italiano Ecco. “Anche a livello infrastrutturale è complesso”, ha aggiunto.
TRA SANZIONI E JCPOA
La questione, come notato anche dal Copasir, è legata alle sanzioni e a un eventuale ritorno all’accordo nucleare Jcpoa. “Come nel caso dell’impegno degli Stati Uniti con il regime venezuelano, la necessità crea strane compagnie”, ha scritto Robin Mills, non-resident fellow del Arab Gulf States Institute di Washington e amministratore delegato di Qamar Energy. “Un Iran post-sanzioni sarebbe una parte importante della sostituzione degli idrocarburi russi, ma il suo impatto limitato non fa che sottolineare la portata del compito. Un rilancio del Jcpoa scioglierebbe alcuni nodi energetici e ne stringerebbe altri”, ha concluso dimostrandosi scettico su possibile impulso positivo per un ritorno all’accordo firmato dall’ex presidente statunitense Barack Obama e abbandonato dal successore Donald Trump.