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Vedo ma non vedo. Il bilancio deludente della visita di Bachelet nello Xinjiang

Concluso il tour cinese dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, che ha voluto chiarire non si trattava di un’indagine ufficiale. Gli incontri (avvenuti e mancati) e le critiche. La posizione degli Usa

Continuano le polemiche per la visita in Cina di Michelle Bachelet, Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Analisti e organizzazioni non governative criticano fortemente la posizione presa dall’ex presidente del Cile, accusata di essersi prestata per sostenere la propaganda cinese.

E l’attesa conferenza stampa di ieri ha rafforzato i sospetti. Bachelet ha esortato il governo cinese ad evitare misure “arbitrarie e indiscriminate” nello Xinjiang, la regione al centro delle denunce contro la Cina per il trattramento della minoranza etnica uigura, precisando però che la sua non era un’indagine ma una semplice visita.

Durante la missione in Cina, Bachelet ha incontrato diversi rappresentanti del governo e del Partito Comunista cinese, e ha avuto colloqui con il presidente Xi Jinping. Ma la missione, ha voluto ribadire lei stessa, non era “un’indagine ufficiale”, per cui non c’era da aspettarsi alcun risultato.

Bachelet ha visitato una prigione a Kashgar, dove ha visto detenuti, e una corte d’appello interna, e ha descritto il suo accesso come “abbastanza aperto, abbastanza trasparente”. Resta da capire se Bachelet però ha parlato direttamente anche con i prigionieri dei “centri di rieducazione” e voci dell’opposizione al governo. Ha detto che le autorità dello Xinjiang hanno assicurato che una rete di “centri di formazione professionale” è stata smantellata completamente.

“Vorrei innanzitutto precisare cosa è stata questa visita e cosa no – ha spiegato in conferenza stampa -. Questa visita non è stata una indagine, ma un’opportunità per sostenere discussioni dirette” con tutti gli attori locali.

“Ho incoraggiato il governo a intraprendere una revisione di tutte le politiche di lotta al terrorismo e di deradicalizzazione per garantire che rispettino pienamente gli standard internazionali in materia di diritti umani e, in particolare, che non siano applicati in modo arbitrario e discriminatorio […] Siamo consapevoli del numero di persone che cercano notizie sul destino dei loro cari. Questo e altri problemi sono stati sollevati con le autorità”, ha aggiunto. Bachelet ha voluto sottolineare che la sua è la prima visita di Alto Commissario per i diritti umani in Cina, senza restrizioni, negli ultimi 17 anni.

Meno celebrativi sono gli Stati Uniti. Per il governo Usa, la Cina è riuscita nei suoi sforzi per “limitare e manipolare” la visita di Bachelet. Antony Blinken, segretario di Stato americano, sostiene che le condizioni del viaggio non hanno consentito “una valutazione completa e indipendente della situazione dei diritti umani nella Repubblica popolare cinese, compreso lo Xinjiang”.

“Siamo preoccupati dalle condizioni imposte dalle autorità di Pechino e dalla possibilità che non abbiano consentito una valutazione completa e indipendente dei diritti umani” – ha spiegato in una nota il capo della diplomazia Usa – […] Siamo ulteriormente turbati dalle notizie secondo cui i residenti dello Xinjiang sono stati avvertiti di non lamentarsi o parlare apertamente delle condizioni nella regione, che non è stata fornita alcuna informazione sul luogo in cui si trovano centinaia di uiguri scomparsi e sulle condizioni di oltre un milione di persone in detenzione”.

Blinken ha sottolineato che a Bachelet avrebbero dovuto consentire incontri riservati con i familiari degli uiguri e di altre comunità della diaspora delle minoranze etniche nello Xinjiang: “I sopravvissuti e i familiari dei detenuti hanno descritto trattamenti crudeli che scioccano la coscienza, tra cui tortura, sterilizzazione forzata, lavoro forzato sponsorizzato dallo stato, violenza sessuale e separazione forzata dei bambini dai genitori. Esortiamo inoltre la Repubblica popolare cinese a rispettare i diritti umani dei tibetani, di coloro che vivono a Hong Kong e di tutti gli altri che cercano di esercitare pacificamente i propri diritti umani e le libertà fondamentali sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani”.

Infine, Finbarr Bermingham, giornalista del South China Morning Post, ha commentato su Twitter l’incontro con la stampa, al termine del tour cinese di Bachelet. Una conferenza afflitta “da problemi tecnici. Inondata di domande sugli Stati Uniti dai media statali cinesi, a cui è stata felice di rispondere”. Secondo lui, è chiaro che Bachelet “non ha ottenuto l’accesso ‘libero’ che aveva richiesto in precedenza […] Non sorprende che per Pechino la visita di Bachelet sia un grande successo”.



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