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Phisikk du role – Cherofobia, l’epidemia più letale

Siamo nel mezzo di una dilagante azione pandemica del male cherofobico, cioè della paura di vivere la felicità. Due anni e mezzo di Covid e due mesi e mezzo di invasione in Ucraina ci hanno forato le gomme dello spirito. Come si può trovare felicità in mezzo a tanto dolore e devastazione? Il punto è che il “momento giusto” per agire poi passa e l’occasione è sfumata. La rubrica di Pino Pisicchio

Nel mondo circolano virus cattivi. Talvolta hanno sembianze riproducibili – vedi la palla aculeata del Covid-19 -, altre volte sono fantasmatici – vedi quello bellicista che ha preso il presidente russo e i suoi militari – ma fanno tutti quanti male assai. La seconda categoria, quella dei virus della mente, è fatta poi da agenti patogeni immateriali devastanti.

Gli scienziati dell’anima (e della psiche) li catalogano in continuazione. C’è uno nuovo, molto interessante, che hanno chiamato “cherofobia”. Il greco antico, grande costruttore di vocaboli clinici, racconta la sua origine: viene da “kairos” e “phobia”. Kairos potrebbe essere tradotto come “il momento ideale per fare una cosa”, “phobia”, vuol dire, com’è noto, paura, dunque cherofobia vorrebbe dire “paura di mettere a profitto il momento ideale”. Qualcuno traduce con “paura della felicità”. Siamo nel mezzo di una dilagante azione pandemica del male cherofobico: due anni e mezzo di Covid e due mesi e mezzo di invasione in Ucraina, ci hanno forato le gomme (per non  scrivere “gli pneumatici”, corretto ma brutto assai) dello spirito. Come si può trovare felicità in mezzo a tanto dolore e devastazione? Il punto è che il “momento giusto” per agire poi passa e l’occasione è sfumata: proviamo a leggerlo in termini di masse, di un intero popolo in depressione cherofobica e arriviamo al default di una nazione.

Siamo messi così in Italia? Certo, c’è parecchia roba che tende ad abbassarci il morale: a parte la crisi sanitaria e quella ucraina, c’è un sistema finanziario in affanno, energia (intesa come gas e petrolio) letteralmente alle pezze, affanno nell’economia industriale, cifre dell’occupazione che barano in modo sinistro con i precari e i sottopagati (una generazione persa, che potrebbe avere come simbolo i riders o i telefonisti del call center), epifanie di inflazioni al galoppo. Insomma un risucchio verso la depressione più nera. Che non è che si addica particolarmente a chi deve mettere mano all’impresa!

Il cherofobico è ansioso per le prestazioni che il momento magico preparato per lui dal destino possa non vederlo all’altezza. Perché non riesce a coglierlo, perché il cambiamento positivo può indebolirlo piuttosto che rafforzarlo (abituato com’è a volare bassissimo), perché sconvolgerebbe il fluire della sua quotidianità, perché “troppa-grazia-Santantonio” e non mi fido. Insomma: dopo una quotidianità grigia, bigia e parecchio sgarrupata, troppa luce fa paura. Sorge spontanea la domanda: ma la politica, oltre la spavalderia dei suoi capintesta, oltre la necessità di ostentare sicurezze anche quando non ci sono, oltre il ricorso a mani basse all’appello alla paura per raccogliere consenso a buon mercato, è cherofobica? Forse sì. Sembra aver paura della felicità, che pure, mandate a casa tutte le ideologie, resterebbe l’unico fine dell’agire politico. E non sarebbe neanche necessario far ricorso a Jefferson e al suo preambolo alla Dichiarazione d’Indipendenza del 1776 (“Tutti gli uomini sono stati creati uguali (e) sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità”) o alla visione eudemonica dei filosofi greci, per capire che il fine della politica è rappresentato dal ben-essere degli umani. Il punto è che, se questo star-bene, questa felicità già fosse realizzata, la politica a che cosa servirebbe?

Che cosa è la cherofobia l’ha spiegato molto bene una giovane cantautrice, Martina Attili, con i versi che accompagnano una sua canzone:

Come te la spiego la paura di essere felici?
Quando non l’hanno capita nemmeno i miei amici
Mi dicono di stare calma quando serve
Mi portano del latte caldo e delle coperte
Ed è proprio quando stanno a parlare
Che vorrei gridare “grazie a tutti, ora potete andare”.

La canzone s’intitola, appunto, Cherofobia.

 

 

 

 

 



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