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Un attacco hacker svela la realtà dei campi di prigionia nello Xinjiang

Alla vigilia della visita dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani in Cina, una serie di foto e documenti prelevati dai server delle autorità cinesi svelano gli abusi contro gli uiguri. La giustificazione di Pechino

Occhi lucidi, sguardi persi, espressioni morte. Sono questi i volti dei prigionieri intrappolati nei campi di concentramento per gli uiguri del regime cinese. Le immagini sono state pubblicate proprio durante la visita in Cina di Michelle Bachelet, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, ma erano state inviate da un gruppo di hacker alla Bbc mesi fa, che nel frattempo ne ha verificato l’autenticità.

Migliaia di fotografie e documenti prelevati dai server delle autorità cinesi dimostrano come i musulmani uiguri detenuti nei cosiddetti “centri di rieducazione” sono obbligati a vivere rinchiusi, costretti a litigare o prendere abitudini che cancellano la loro identità culturale. I testi descrivono in dettaglio cecchini e nidi di mitragliatrici collocati nei campi, con l’ordine di sparare contro chi tenta la fuga.

“È la verità che Pechino cerca di nascondere”, si legge sul Daily Mail: “Il tesoro di dati mostra come più di 20.000 uiguri di una sola contea – Shufu – siano stati imprigionati o sepolti nei campi tra il 2017 e il 2018 con accuse spurie come farsi crescere la barba o non ricaricare il telefono con il credito, sotto lo sguardo vigile di guardie a cui è stato ordinato di sparare a vista sui fuggitivi”.

Nelle fotografie si vedono agenti con manganelli, presunte sessioni di indottrinamento nei campi e polizia armata di fucili, scudi antisommossa e mazze. I detenuti sono incatenati con cappucci sulla testa.

Secondo quanto riferisce la Bbc, “i file violati contengono più di 5.000 fotografie di uiguri scattate dalla polizia tra gennaio e luglio 2018. Utilizzando altri dati di accompagnamento, è possibile dimostrare che almeno 2.884 di loro sono stati detenuti. E per quelli denominati come campi di rieducazione, ci sono segni che non sono gli ‘studenti’ volenterosi che la Cina ha affermato da tempo che fossero”.

Queste fotografie “danno forma umana a una politica progettata per prendere di mira deliberatamente le famiglie uigure come deposito di identità e cultura e – nelle stesse parole della Cina – per ‘spezzare le loro radici, spezzare il loro lignaggio, spezzare le loro connessioni, spezzare le loro origini’”, si legge nell’inchiesta della tv britannica.

L’attacco hacker ha permesso la più rivelatrice diffusione di prove del sistema di repressione cinese contro gli uiguri e aumenterà la pressione sulla missione delle Nazioni Unite nello Xinjiang e il suo rapporto.

La realtà raccontata da Pechino è un’altra. Sostengono che non si tratta di una battaglia contro la religione o cultura dei prigionieri, ma che sono prigionieri perché estremisti, terroristi e separatisti. Per l’ambasciata cinese negli Stati Uniti il governo non ha fatto altro che imporre “misure di deradicalizzazione decise, solide ed efficaci, che hanno permesso alla regione (Xinjiang) di godere di nuova stabilità e armonia sociale, nonché di sviluppo economico”.

Ecco alcuni scatti tratti dai file della polizia di Xinjiang e pubblicati dalla stampa internazionale:

 

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