Fake news, attack hacker russi, energia e rifornimenti a Kiev. L’Italia vive un momento di centralità nell’agenda transatlantica e il viaggio di Draghi a Washington ha segnato una road map che lo dimostra. L’analisi di Brian Katulis, vicepresidente del Middle East Institute
Sarà anche sembrato un piccolo segnale sul radar affollato degli Stati Uniti la scorsa settimana, ma la visita del premier italiano Mario Draghi dal presidente Joe Biden ha segnato un punto fermo e non banale nelle strette relazioni fra i due Paesi.
Il viaggio di Draghi si è inserito in una congiuntura cruciale nella reazione internazionale alla guerra russa contro l’Ucraina – e in un periodo in cui l’amministrazione Biden sta prendendo decisioni importanti per rimanere impegnata in altre parti del mondo come in Asia, anche se la guerra in Est-Europa drena risorse e attenzioni in America. Italia e Stati Uniti si incontrano regolarmente in diversi consessi internazionali, inclusi il G7 e la Nato – ma vedere a fianco i due rispettivi leader in questo momento ha inviato un segnale fondamentale sul valore che entrambi i Paesi attribuiscono al legame bilaterale.
Come è noto al centro del dialogo c’è stata la preparazione per la prossima fase della risposta all’aggressione russa, una fase che non sarà confinata all’Ucraina. Mentre buona parte della comunità internazionale vuole presentare un conto ancora più salato alla Russia per le sue azioni, Mosca lavora alacremente per dividere l’alleanza transatlantica e creare fessure nella politica interna di Paesi chiave come Italia e Stati Uniti.
Tornano in mente le parole di Draghi all’Atlantic Council a Washington DC. Quando ha ricordato così la vera posta in gioco: “L’invasione russa dell’Ucraina ha innescato quel che siamo soliti chiamare un cambio di paradigma geopolitico. Ha rafforzato l’intesa euroatlantica, isolato Mosca, sollevato domande scomode per la Cina. Sono cambiamenti ancora in corso, ma una cosa è certa: dureranno per un lungo, lunghissimo tempo”.
Il doppio filo energetico
La lunga battaglia con la Russia è legata a doppio filo con la sicurezza energetica in Europa e negli Stati Uniti. Sotto la leadership di Draghi l’Italia ha preso una posizione più forte nella campagna di pressione contro Mosca rispetto a quanto tanti avrebbero pensato. Schierandosi a favore di un bando europeo al petrolio russo e sostenendo l’invio di armi in Ucraina.
Negli ultimi anni come è noto la Russia ha consolidato la sua posizione di primo fornitore energetico per l’Italia, e per questo oggi diversificare le fonti è una missione vitale. Draghi ha accennato all’idea di dar vita a un cartello di nazioni consumatrici di petrolio anche se fra gli analisti prevale scetticismo sulla sua attuazione pratica. Una soluzione più a portata di mano consisterebbe in uno sforzo congiunto tra Italia e Stati Uniti per guidare la missione di diversificazione energetica dell’Alleanza transatlantica con un set più ampio di Paesi senza però virare bruscamente dalla transizione verde di lungo periodo e la ricerca di fonti più ecosostenibili.
Il fianco Sud
Comprensibilmente, quest’anno i riflettori della comunità euroatlantica sono puntati sull’Europa orientale a causa dell’aggressione russa all’Ucraina. Sembra d’altronde che questa guerra possa protrarsi a lungo e questo avrà implicazioni più ampie per la sicurezza energetica e alimentare nel Nord Africa e nel Mediterraneo orientale. La prospettiva di una nuova instabilità innescata da nuove sfide di sicurezza in queste regioni è reale e rischia di dar vita a un effetto domino, a partire dai flussi migratori. Paesi come l’Italia e gli Stati Uniti dovrebbero intervenire per fermare la spirale della guerra ucraina in questo quadrante del mondo. Il Mediterraneo del Sud è un crocevia geopolitico strategico e l’impatto del conflitto richiederà un più stretto coordinamento transatlantico con il Nord Africa, l’East Med e il Medio Oriente. Roma e Washington hanno bisogno oggi più che mai di mettere nero su bianco un approccio comune per questa regione.
Hacker e disinformazione: la minaccia digitale
Un terzo fronte di cooperazione bilaterale riguarda la cybersecurity e la disinformazione. Gli attacchi hacker russi contro le istituzioni italiane la scorsa settimana e nei giorni passati sono solo l’ultimo episodio di una serie che evidenza la necessità di alzare l’allerta e rafforzare la cooperazione tra Paesi Nato nel dominio cibernetico.
La guerra cyber è sempre più parte integrante dell’arsenale strategico russo così come di altri Paesi attivi su questo fronte come Cina, Iran e Corea del Nord. L’impatto di questa guerra sul sistema internazionale costringe l’alleanza transatlantica ad aggiornare di continuo le sue difese e la strategia per la cybersicurezza.
Una parte fondamentale di questa sfida digitale è riservata alla disinformazione politica che colpisce tanto la politica domestica italiana quanto quella americana. Lo fa in un anno di cruciali appuntamenti elettorali: in America le elezioni di metà mandato a novembre e in prospettiva le presidenziali del 2024, in Italia le politiche del 2023. Sono banchi di prova che decideranno il futuro di entrambe le democrazie: un futuro che la Russia sembra decisa a voler plasmare a suo vantaggio.
La posta in gioco è alta tanto più nell’attuale congiuntura internazionale. In questo momento i governi di entrambi i Paesi sono guidati da uomini che credono fermamente nel gioco democratico, negli interessi e nei valori condivisi.
Sovviene qui un’altra frase pronunciata da Draghi all’Atlantic Council: “Le scelte che gli europei hanno di fronte sono brutalmente semplici. Possiamo essere padroni dei nostri destini o schiavi delle decisioni altrui. Ciò che mi rende ottimista è sapere che non siamo soli. In un momento di profondo cambiamento alcune cose restano uguali: come il solido rapporto tra Ue e Stati Uniti, un legame senza tempo che ci rafforza a vicenda”. Si apre un triennio che ha in serbo diverse prove non banali per queste due democrazie alla guida del fronte occidentale.