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Decarbonizzazione, indipendenza e innovazione. Una nuova politica energetica

Di Franco D'Amore

Solo un approccio integrato in tutte e tre le dimensioni consentirà all’Italia di consolidare il proprio posizionamento competitivo in Europa nel settore della sostenibilità e dell’innovazione energetica e crescere nei mercati emergenti dei Paesi extra-europei. L’intervento di Franco D’Amore, vicepresidente I-Com

Viviamo in un tempo di fortissima discontinuità. Discontinuità necessaria, prima di tutto, rispetto alla traiettoria disegnata dall’attuale modello di sviluppo che ha chiaramente dimostrato di non poter mantenere gli attuali livelli di sfruttamento delle risorse del nostro Pianeta senza compromettere irreparabilmente gli equilibri dei suoi ecosistemi. Molti indicatori, primi tra tutti i cambiamenti climatici, ci mostrano chiaramente che la finestra di opportunità a nostra disposizione per agire si sta chiudendo. L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile segna il passo di questa inversione di rotta. Inoltre, la necessità di intraprendere da subito decise azioni per mettere in atto la transizione energetica, con un orizzonte temporale di pochi decenni per traguardare gli obiettivi di decarbonizzazione, batte il tempo del cambiamento necessario.

Discontinuità fattasi urgenza impellente, in conseguenza dei drammatici eventi che da due mesi a questa parte sconvolgono il Vecchio continente a causa della guerra in Ucraina e che impongono all’Europa di rivedere radicalmente le strategie di approvvigionamento delle fonti fossili fino ad ora adottate.

Sfide così complesse non potranno essere vinte se non grazie a profonde discontinuità tecnologiche che dovranno tradursi in prodotti, servizi e sistemi innovativi pronti per il mercato di domani. A questo riguardo, in un recente report dell’Agenzia Internazionale dell’Energia si stima che, a livello globale, oltre la metà della riduzione delle emissioni di CO2 al 2050 necessarie per raggiungere la piena decarbonizzazione del settore energetico si realizzerà grazie a tecnologie energetiche oggi non ancora presenti sul mercato.

Queste considerazioni riportano al centro della discussione sulle politiche energetico-climatiche il tema della ricerca e sviluppo di tecnologie innovative e di come sia necessario un radicale cambio di paradigma nella transizione del settore energetico dalle fonti fossili alle fonti rinnovabili. Nel mondo basato sulle fonti fossili il principale obiettivo dei sistemi energetici nazionali era quello di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti. Petrolio e gas naturale sono infatti risorse energetiche distribuite in maniera molto disomogenea tra domanda e offerta. Tutte le principali politiche energetiche dei Paesi importatori, tra cui l’Italia e l’Europa in generale, erano basate sull’assicurarsi forniture economicamente vantaggiose, sicure e adeguate.

La transizione energetica alle fonti rinnovabili promette di cambiare completamente questo modello. A differenza delle fonti fossili, le fonti energetiche rinnovabili sono infatti omogeneamente distribuite sui territori e ciascun Paese può contare su un adeguato mix delle fonti localmente disponibili per coprire la propria domanda di energia. In questo caso non sono più le fonti primarie ad essere al centro del sistema, che diventa invece come trasformare l’energia del sole, del vento, delle acque, del sottosuolo e delle altre fonti rinnovabili e “carbon-free” in energia utile per i nostri consumi. È quindi la capacità di sviluppare le tecnologie di conversione (fotovoltaico, eolico, idroelettrico, geotermico, produzione di idrogeno verde) a giocare il ruolo centrale in questo nuovo schema. Inoltre, la maggiore complessità di un sistema basato sulla generazione distribuita da fonti non programmabili implica la necessità di sviluppare tecnologie per la gestione efficiente, flessibile e attiva della domanda nonché per l’accumulo.

La transizione dalle fonti fossili alle fonti rinnovabili offre però solo apparentemente l’opportunità di affrancarsi dalla dipendenza energetica perché rischia di spostare la dipendenza dalle fonti alle tecnologie. E una dipendenza strategica dalle tecnologie sarebbe altrettanto problematica della dipendenza dalle fonti, in termini di sicurezza e di perdita di opportunità. L’innovazione tecnologica deve dunque diventare uno dei cardini delle politiche energetico-climatiche e un tassello centrale delle politiche industriali e di promozione della competitività.

Come si presenta il sistema Italia di fronte a questa sfida? Un recente studio condotto da I-Com, in collaborazione con il GSE e APRE dal titolo “L’impatto della partecipazione al programma Horizon 2020 sulle imprese italiane: un’analisi per il settore energia“, prova a dare una risposta a questo quesito. Il quadro che emerge dallo studio apre orizzonti incoraggianti.

L’Italia si colloca al terzo posto per numero di progetti finanziati (poco meno di 1.000), dopo Spagna (circa 1.200) e Germania (circa 1.100) e seguita dalla Francia con poco meno di 700 progetti, facendo registrare un tasso di successo pari al 16%. Leggermente meno lusinghieri i dati relativi all’ammontare complessivo di risorse acquisite da soggetti italiani, pari a 385 milioni di euro. Rispetto a questo parametro il nostro Paese si colloca al quarto posto, in una classifica guidata da Germania (589 milioni di euro), Spagna (529 milioni di euro) e Francia (441 milioni di euro). Interessante analizzare l’ammontare medio del finanziamento ottenuto nel settennato 2014–2020: per l’Italia il contributo medio è pari a 402.000 euro, a fronte dei 611.000 euro della Francia, 544.000 euro della Germania e 433.000 euro della Spagna. L’Italia presenta quindi, in media, richieste di contributi più basse rispetto ai Paesi presi a riferimento come nel caso della Francia e della Germania, dove tale differenza raggiunge i valori – rispettivamente – del 52% e del 35%. Importante sottolineare anche l’incidenza dei casi in cui soggetti italiani hanno svolto il ruolo di capofila: 87 volte per l’Italia (9% del totale dei progetti vinti), contro i 138 della Spagna (11%), i 109 della Germania (10%) e 64 della Francia (9%).

Le imprese italiane hanno contribuito in maniera determinante al raggiungimento di questi risultati: infatti il 45% dei progetti finanziati ha coinvolto una impresa a fronte di un 36% che ha visto il coinvolgimento di università e centri di ricerca. Ancora più consistente risulta il ruolo delle imprese se si va a considerare l’ammontare delle risorse ottenute: in questo caso il peso delle imprese è pari al 56% mentre università e centri di ricerca pesano per il 32%. È interessante evidenziare come una società italiana risulti prima tra tutte le imprese europee per ammontare di finanziamenti ottenuti dalle imprese su tutti i bandi Horizon 2020 relativi al settore energia, mentre 6 imprese risultano tra le prime 20 impese europee per risorse ottenute. Anche i centri di ricerca hanno fatto registrare risultati importanti, con 5 centri di ricerca inclusi tra i top 23 in Europa per quanto riguarda i finanziamenti vinti tramite le call energia del programma Horizon 2020. I soggetti nazionali si dimostrano attivi su un discreto numero di ambiti tecnologici, inclusi le tecnologie energetiche da fonti rinnovabili, l’efficienza energetica e la gestione della domanda, l’accumulo e le reti.

Sebbene permangano dei nodi strutturali relativi alla capacità del nostro Paese di incoraggiare la crescita di un florido ecosistema dell’innovazione (citiamo solo i temi della burocrazia, delle risorse e del capitale umano), lo studio ha quindi evidenziato l’ottima capacità dell’Italia di posizionarsi in un contesto fortemente competitivo quale il programma europeo Horizon 2020 per il settore energia. Tale risultato va sicuramente capitalizzato, tenendo ben a mente che le future politiche energetiche dovranno lavorare contemporaneamente su tre direttrici strategiche: decarbonizzazione, indipendenza energetica ed innovazione tecnologica. Solo un approccio integrato in tutte e tre queste dimensioni consentirà all’Italia di consolidare il proprio posizionamento competitivo in Europa nel settore della sostenibilità e dell’innovazione energetica e crescere nei mercati emergenti dei Paesi extra-europei.

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