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L’Italia ha smesso di fare figli, e non c’entra solo la pandemia. Scrive Becchetti

La crisi della natalità in Italia ha ragioni economiche ma non solo. Sul fronte economico paghiamo un sistema fiscale che ignora che la tassazione di un single e di una famiglia con tre figli che hanno lo stesso reddito non può essere la stessa. Ma c’è di più. L’analisi di Leonardo Becchetti

Secondo le proiezioni dell’Istat se proseguiamo la tendenza attuale demografica nel 2050 ci saranno 5 milioni di italiani in meno e solo il 52% della popolazione sarebbe in età da lavoro, con il 16% sotto i 20 anni ed il 32% pensionati. Sono anni che il saldo tra nascite e morti nel nostro Paese è fortemente negativo e l’effetto della pandemia è stato quello di accentuare questa tendenza. Siamo ben al di sotto dei 2,2 figli per donna che mantengono la popolazione costante ed ogni anno perdiamo qualche centinaio di migliaia di italiani.

La voragine demografica nel nostro paese è indice di una comunità che ha perso per gran parte il gusto di costruire e progettare un futuro e ha serie conseguenze economiche. La natalità asfittica manda in crisi il rapporto tra popolazione in età da lavoro e non rischiando di mandare in default il sistema pensionistico. La carenza di nascite manda in crisi il sistema scolastico e riduce anche la produttività del lavoro perché nella forza lavoro non è abbastanza forte l’immissione di giovani che sono tipicamente più capaci di assorbire le innovazioni, soprattutto quelle digitali.

La crisi della natalità in Italia ha ragioni economiche ma non solo. Sul fronte economico paghiamo un sistema fiscale che ignora che la tassazione di un single e di una famiglia con tre figli che hanno lo stesso reddito non è giusto che sia la stessa. Ed è vero ci sono assegni familiari e detrazioni e adesso finalmente l’assegno unico universale che in parte correggono l’errore.

La precarietà del lavoro e la lunghezza della gavetta professionale sono altri elementi che frenano la natalità creando il paradosso di una giovane generazione che non può permettersi e non vuole fare figli quando è in età fertile e che quando più avanti con gli anni si è stabilizzata sul fronte del lavoro vorrebbe figli che non riesce più ad avere.

Ma l’aspetto economico non dice tutto. La carenza di natalità è anche indice della malattia di una crisi di generatività e di capacità e voglia di costruire relazioni e progettare futuro. Per desiderare un figlio e concepire un progetto di famiglia bisogna investire nelle relazioni e fare un atto di fiducia e di speranza nel futuro.

Troppi ostacoli rendono oggi tutto questo più difficile per molti a partire da una cultura usa e getta che considera le relazioni beni di consumo da rottamare e sostituire progressivamente e non beni d’investimento su cui costruire. Risultati empirici consolidati ci dicono che i figli per le coppie giovani riducono la soddisfazione per il tempo libero ma negli anni aumentano ricchezza di senso del vivere. Aiutare le coppie giovani “povere di tempo” in questa delicata fase della loro vita con servizi e flessibilità nel lavoro è dunque fondamentale.

La rivoluzione forzata del lavoro a distanza durante il lockdown non ha aiutato perché è stata accompagnata dalla paura per il futuro indotta dalla pandemia. Ma ci ha lasciato in regalo l’opportunità dell’ibrido, ovvero di contratti di lavoro dove è possibile conciliare lavoro a distanza e in presenza che aumentano potenzialmente la nostra capacità di conciliare vita di lavoro e vita di relazioni. Politiche economiche per la famiglia, educazione al gusto della generatività che è radice di soddisfazione e ricchezza di senso di vita ed utilizzo intelligente delle possibilità offerte dallo smart work possono dare luogo ad una nuova primavera.

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