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Benvenuti nell’era dell’Economia della Fiducia

Di Rosario Cerra e Francesco Crespi

Globalizzazione “regionale” e supply chain basate su valori ed eventi geopolitici, non su prezzo o efficienza. Rafforzando spinte inflazionistiche che i governi devono affrontare subito, scrivono Rosario Cerra, fondatore e presidente, e Francesco Crespi, direttore ricerche (Centro Economia Digitale)

La guerra in Ucraina sta progressivamente “militarizzando” l’economia mondiale. I paesi occidentali non sono direttamente coinvolti nel conflitto, come Russia e Ucraina spinte in un’economia di guerra, ma è ormai chiaro che anche per noi cambiamenti e sacrifici non mancheranno, e potrebbero essere molto profondi. Nell’immediato il principale effetto sulla nostra economia è associato ai rincari significativi sul mercato dell’energia, nelle materie prime e nei beni alimentari. Le tensioni su questi mercati si propagano sull’intero sistema determinando livelli di inflazione che non sperimentavamo da alcuni decenni.

Allungando lo sguardo è ancora troppo presto per dire come andrà a finire, ma si possono già vedere segnali di cambiamento nell’ordine mondiale e di riconversione delle economie dei sistemi occidentali verso un modello che qui definiamo di “Economia della Fiducia”.

La prima fase di questa transizione è il passaggio dalla dipendenza alla diversificazione nelle forniture. Ne abbiamo avuto un esempio chiaro negli sforzi realizzati in queste settimane dal Governo italiano finalizzati a stringere accordi per sostituire la fornitura di gas dalla Russia. In realtà è un processo avviato già prima del conflitto da molte imprese che, appresa la lezione della pandemia, puntano a ridurre la dipendenza da catene di approvvigionamento globali di tipo lineare e ad aumentare la diversificazione dei fornitori.

Il passaggio successivo consisterà in una prevedibile maggiore frammentazione dell’economia a livello globale, a cui corrisponderà una crescente integrazione a livello regionale. Non si tratta della fine della globalizzazione ma di una radicale modifica della sua architettura, in cui gruppi fortemente integrati di paesi che condividono uno stesso sistema di valori e/o interessi, competono tra loro per l’egemonia economica, politica e culturale.

In tale nuovo contesto prevarrà l’attivazione di partnership ritenute affidabili. L’affidabilità di cui parliamo è quella che si afferma a monte e a valle di una relazione con un partner con cui si instaura un sistema valoriale, di visione, interessi strategici e di fiducia condivisi. Non è un caso che l’amministrazione statunitense abbia esplicitamente identificato il “friend-shoring” (business solo tra amici), come obiettivo politico nella definizione della propria strategia sulle supply chain.

Il processo di costruzione di una “Economia della Fiducia” non avverrà tuttavia a costo zero.

Le imprese non potranno più organizzare la propria produzione considerando semplicemente dove i costi sono più bassi, ma le proprie scelte saranno vincolate da elementi geopolitici che definiranno il nuovo perimetro in cui potersi muovere. Significa quindi che i criteri di efficienza saranno in parte sostituiti da quelli di fiducia e questo ha una forte implicazione: le spinte inflazionistiche che stanno penalizzando famiglie e imprese non sono destinate a esaurirsi in poco tempo.

E di questo la politica si dovrà occupare fin da subito con particolare attenzione.

I costi di transizione legati a una ristrutturazione dell’offerta su base “regionale” e “fiduciaria” saranno significativi. Ad esempio, in alcuni settori altamente strategici come quello dei semiconduttori sono necessari, sia negli Stati Uniti sia in Europa, investimenti eccezionali per riprendere il controllo della filiera di produzione e l’impiego di fornitori con costi più elevati. Problematiche simili si osservano nel settore legato allo sviluppo del 5G e del 6G.

In questo contesto, il pilastro fondamentale della transizione verso un’Economia della Fiducia sarà rappresentato dallo sviluppo di rilevanti capacità tecnologiche e, in particolare, dallo sviluppo di un adeguato livello di Sovranità Tecnologica negli Stati Uniti ma soprattutto in Europa. Non è un caso che, per la prima volta, l’amministrazione Biden ha elevato l’Assistente del Presidente per la Scienza e la Tecnologia al livello di Gabinetto e che nell’America COMPETES Act del 2022 approvato lo scorso febbraio sono stati stanziati quasi 300 miliardi di dollari per la ricerca scientifica e lo sviluppo, di cui 52 miliardi di sovvenzioni per i produttori di semiconduttori.

L’Unione Europea ha mostrato una buona capacità di reazione e un sufficiente grado di coesione sia nella pandemia sia in occasione del conflitto in corso. Tuttavia, la politica in Europa, e naturalmente in Italia, sembra limitarsi a prendere atto degli eventi e dei cambiamenti senza mai riuscire ad anticiparli e tantomeno a orientarli.

Come autorevolmente affermato dal Presidente Draghi nel suo ultimo intervento al Parlamento europeo, l’attuale fase deve necessariamente rappresentare il momento di svolta da questo punto di vista. La frammentazione a livello globale può e deve stimolare una maggiore integrazione a livello europeo perché, come nel caso della difesa comune, solo questa può consentire di affrontare i costi di un mondo che cambia, sfruttando tutte le economie di scala disponibili e le opportunità che potranno essere generate dallo sviluppo di una visione condivisa del nostro futuro.

Un futuro in cui valori e fiducia torneranno a plasmare le relazioni economiche.


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