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Olanda e Danimarca sfidano Putin. La punizione? Niente gas

Rubinetti chiusi ad Amsterdam, Copenhagen è la prossima; nessuna delle due è preoccupata. Salgono a cinque i Paesi europei che non comprano più gas russo, le cui importazioni europee diminuiscono assieme a quelle del petrolio. Intanto l’Italia…

Oggi (martedì 31 maggio), parallelamente all’accordo europeo sull’embargo parziale del petrolio russo, Gazprom ha ufficialmente tagliato le forniture di gas naturale all’Olanda. La compagnia energetica locale GasTerra si è rifiutata di pagarle in rubli, respingendo la richiesta russa (che peraltro vìola i contratti di fornitura), e ha preannunciato il taglio in un comunicato lunedì.

“Questa decisione non ha conseguenze sulla fornitura fisica di gas alle famiglie olandesi. GasTerra ha acquistato gas supplementare per prepararsi a questa situazione”, ha spiegato il ministro olandese per il clima e l’energia Rob Jetten, specificando di non aspettarsi conseguenze nemmeno per le forniture al settore commerciale olandese. Amsterdam si era già mossa per sostituire forniture russe per 2 miliardi di metri cubi, e così anche Copenhagen.

La storia si ripete per Ørsted, il principale fornitore danese che si aspetta la stessa sorte di GasTerra essendosi rifiutato di pagare in rubli. La scadenza con Gazprom è oggi, e la compagnia ha spiegato che “esiste il rischio” di interruzione delle forniture. Le autorità hanno già dichiarato di non aspettarsi problemi e specificato che troveranno le risorse mancanti sul mercato europeo, aggiungendo che il nuovo gasdotto Baltic Pipe avrebbe aumentato la fornitura dalla Norvegia già da quest’anno.

Con Danimarca e Olanda salgono a cinque i Paesi europei che già fanno a meno del gas di Gazprom. Era già successo a Bulgaria, Finlandia e Polonia per identiche ragioni; assieme, i cinque Paesi ricevevano il 16% dei volumi di gas verso l’Ue. Una decisione che costerà a Gazprom almeno 2,5 miliardi di euro all’anno (qui i dati), oltre alla calata del valore del suo titolo in Borsa, che sconta la sua scelta di non rispettare i contratti.

Il rifiuto di adeguarsi al sistema di conversione euro-rubli, delineato da Vladimir Putin a fine marzo, deriva dal rispetto dei contratti in essere (in armonia con la posizione europea sull’invasione russa dell’Ucraina) ma anche dalle linee guida della Commissione, secondo cui pagare in rubli potrebbe costituire una violazione delle sanzioni.

Peccato che Bruxelles non abbia mai specificato con precisione se aprirà una procedura d’infrazione contro chi, invece, pagherà in rubli. Dietro a questa indeterminatezza si distinguono i profili di Germania e Italia, i principali importatori europei di Gazprom; Berlino ha già spiegato che interrompere le forniture causerebbe una recessione, mentre l’Italia (tramite Eni) ha già messo le mani avanti per assicurarsi che i flussi russi non si interrompano.

Come per l’embargo sul petrolio, diluito di parecchio dopo settimane di contrattazioni, l’avanzata in ordine sparso dei Paesi Ue testimonia la difficoltà di mantenere un fronte unito davanti alla Russia dopo quasi cento giorni dall’inizio dell’invasione. Il filo rosso che connette l’indebolimento delle sanzioni sul petrolio e la debolezza della posizione sui rubli è l’inevitabile bisogno dei Paesi più dipendenti di tenere la luce accesa. Anche a scapito della propria statura morale: se inimicarsi i “falchi” europei non è un problema per Viktor Orban, lo potrebbe diventare per l’autorevolezza di Berlino e Roma.

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