Domani il premier è atteso al Senato e alla Camera per l’informativa sulla questione ucraina. Ma quali sono i principali problemi del Paese e dell’Europa su cui riflettere? Siamo in una tempesta perfetta destinata a durare almeno sino a quando durerà la guerra. Il commento di Giuseppe Pennisi
Domani 19 maggio il presidente del Consiglio Mario Draghi sarà alle ore 9 al Senato e alle 11.30 alla Camera per “un’informativa sulla questione ucraina”.
Molto probabilmente la presentazione del presidente del Consiglio tratterà dei modi per aiutare l’Ucraina a controbattere l’aggressione che dal 24 febbraio subisce dalla Federazione Russa. Uno o forse due settori degli emicicli solleveranno il problema dell’invio di armi all’Ucraina chiedendone i dettagli. Forse, per zingarelliana (dal nome del dizionario tra i più utilizzati nelle scuole secondarie superiori italiane) ignoranza, non sanno che in tutti i Paesi del mondo tale informazione è secretata per ragioni di sicurezza nazionale: significherebbe mettere in piazza la propria dotazione e produzione militare, tema sensibilissimo e tale da poter fare comprendere quali sono i dispositivi che un Paese ha per difendersi, in una fase come questa in cui da qualche anno la Federazione Russa pare essere pronta ad aggredire questo e quello (oltre all’Ucraina, la Cecenia, la Georgia, la dissidenza siriana e kazaka) e anche a minacciare guerre nucleari.
Sarebbe più appropriato una riflessione delle implicazioni economiche, nel mondo, nell’Europa e nell’Italia della guerra di aggressione in una fase in cui un’altra autocrazia (quella Cina da dove è partito a fine 2019 il Covid-19) che ora alle prese con una nuova ondata di contagi (di cui peraltro si hanno poche e rare informazioni) sta rispondendo con chiusure di città di decine di milioni di abitanti e blocco dei porti.
La Commissione europea ha pubblicato all’inizio della settimina le proprie previsioni economiche. Circa due settimane fa sono state diramate quelle della Banca mondiale e del Fondo monetario. Il verdetto è unanime: sta tornando una parola che sembrava relegata ai manuali universitari degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso: stagflazione – ossia forte inflazione accoppiata con una caduta della produzione, dell’occupazione, e delle catene dell’offerta. In effetti, si è in una situazione peggiore della stagflazione perché l’inflazione si coniuga con la stagnazione dell’economia (crescita zero) ma non con forte rallentamento per quest’anno e il prossimo che, se il quadro geopolitico non cambia, potrebbe scivolare in una vera e pesante recessione nel 2024.
Le radici sono, per certi aspetti, nuove e variano se non da Paese a Paese, da continente a continente. Nel Nord America, l’inflazione ha un forte elemento “da domanda”: a ragione dei forti stimoli fiscali e monetari, si è in una situazione quasi di piena occupazione (il tasso di disoccupazione si aggira sul 3,5% della forza lavoro). Su questa componente “da domanda” stanno operando principalmente le autorità monetarie con rialzi graduali dei tassi e smantellamento di quelle che sono state chiamate “politiche monetarie non convenzionali”.
C’è anche un’inflazione da costi, dovuta – come in tutto il mondo – dalla rottura delle logistiche tradizionali, dall’aumento dei corsi delle materie prime (principalmente quelle del settore energetico), e dall’incremento dei prezzi dei generi alimentari (non così forte come in Europa e in Africa perché gli Usa sono anche grandi produttori di cibo).
In Europa, la situazione è più complessa. L’inflazione è segnatamente da costi (ossia dagli aumenti dei prezzi provocati dalla frantumazione dell’economia internazionale) perché dopo il “rimbalzo” segnato nel 2021 (e dovuto, anche in questo caso, da politiche fiscali e monetarie per contrastare gli effetti economici della pandemia), è in atto un marcato rallentamento: nell’Unione europea si è tornati a tassi di crescita reale contenuti e in decremento mentre il tasso medio di disoccupazione è al 7% circa delle forze di lavoro e il tasso medio d’inflazione è al 6% e in salita.
L’Italia e altri Paesi fortemente indebitati hanno una situazione che sta peggiorando a ragione dell’aumento dei tassi d’interesse a livello internazionale.
Siamo in una tempesta perfetta destinata a durare almeno sino a quando durerà la guerra in Ucraina e sino a quando non si saprà per quanto tempo città e porti cinesi saranno chiusi.
Il Documento di Economia e Finanza (Def), che traccia le linee di politica economica per i prossimi tre anni, è stato appena approvato dal Parlamento. La Nota di aggiornamento al Def (Nadef) è attesa, come ogni anno per il 27 settembre. Sarebbe inutile anticiparla ma si potrebbe chiedere una “nota aggiuntiva” anche breve che indichi come si intende guidare il vascello nei prossimi mesi, durante l’estate che sta iniziando. Molto più utile che tentare di fare sciorinare elenchi di armi.