La resistenza a Mariupol, l’adesione alla Nato di Svezia e Finlandia. Un pessimo lunedì per Vladimir Putin, che vede il suo piano andare in frantumi. E Mario Draghi è tra i leader occidentali che più di tutti possono rivendicarne il merito. Il commento di Joseph La Palombara
L’Ucraina non è la Germania nazista e Mariupol è come Stalingrado. Queste due verità di fondo sono sfuggite a Vladimir Putin quando ha ordinato l’invasione dell’Ucraina.
Il presidente russo ha finora inviato un numero di truppe russe probabilmente inferiore alle sue possibilità. Quanto basta però per terrorizzare e violentare uomini e donne ucraine nei territori occupati e a sparare nella schiena ai civili senza pensarci su due volte. Ciononostante lì dove l’assedio dell’armata russa è più violento, a Mariupol, si sta verificando la stessa tenace resistenza che all’epoca ha reso celebre Stalingrado.
La visita di Mario Draghi a Washington e il suo incontro con Joe Biden non sono bastati ad aprire un negoziato per il cessate-il-fuoco sul campo. Né è bastata la telefonata del Segretario della Difesa Lloyd Austin con la sua controparte russa. Sia Austin sia altri esponenti dell’amministrazione americana sono oggi convinti che un accordo di questo tipo rischi di aiutare Putin e i russi sul campo a rinforzare le linee di rifornimento, in Donbas ma non solo, che oggi sono uno dei veri crucci dell’esercito di Mosca.
Può darsi che Putin abbia voluto fin dall’inizio una guerra lunga. Di certo ha fallito nel prevedere le orrende perdite inflitte alle truppe russe a causa dei rifornimenti militari occidentali alla resistenza ucraina. Su questo fronte gli ultimi numeri ufficiali parlano di più di 15mila russi morti. Un’ecatombe a cui si aggiungono gli effetti della controffensiva ucraina ripartita in queste settimane.
Nel frattempo, questo sì con sorpresa di Putin, l’invasione russa sembra aver rivitalizzato la Nato invece che indebolirla, e lo stesso vale per l’Alleanza atlantica in senso lato. Non vanno più di moda le dichiarazioni funeree sul futuro dell’Alleanza, e sembrano lontani i tempi in cui Emmanuel Macron parlava della Nato con gli stessi toni con cui Charles De Gaulle stigmatizzava la presenza americana in Europa.
Il capolavoro non finisce qui. Putin deve infatti accettare che un Paese notoriamente neutrale sullo scenario internazionale come la Finlandia ha oggi chiesto ufficialmente di aderire alla Nato. Una pessima notizia per il Cremlino, un’ottima notizia per il segretario generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg.
In un’apparente rappresaglia, la Russia ha tagliato i suoi rifornimenti di elettricità alla Finlandia e Putin ha ricordato al presidente finlandese Sauli Niniisto del “grave errore” che a suo parere sta commettendo. Peccato che i rifornimenti russi ammontino a solo il 10% dell’elettricità finlandese e che la Svezia si sia offerta di colmare quel vuoto.
Per chiudere il cerchio, gli Stati Uniti godono di un momento di popolarità in Europa senza precedenti, il timore nei confronti dell’espansionismo russo dilaga e fa proseliti in Occidente.
La visita di Draghi a Washington DC ha contribuito a ottenere questo risultato. In questo senso Draghi si è confermato qualcosa di più di un premier italiano. Come a Strasburgo, anche a Washington ha parlato da vero leader europeo, riscattando un’Ue che finora non si è distinta per un’opposizione feroce all’invasione ordinata da Putin. La visita di Draghi ha ridato piglio decisionale e forza al fronte occidentale, Stati Uniti inclusi, per presentare a Putin un conto salato.