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Neutralità 2.0. Così la Svizzera si avvicina alla Nato

In un momento di tensione in cui la sicurezza globale è a rischio, gli svizzeri sembrano abbandonare il loro storico status di imparzialità per entrare nella protezione occidentale, allontanandosi dalla minaccia russa. L’analisi dell’agenzia Reuters

Esercitazioni militari, incontri tra funzionari di alto livello in ambito politico e militare, rifornimento di munizioni e una visione diversa della “neutralità” rispetto a come era interpretata fino ad oggi. Dopo la richiesta di adesione alla Nato da parte della Finlandia e la Svezia, la Svizzera sembra pronta ad abbandonare la linea imparziale che l’aveva caratterizzata storicamente.

Un’analisi dell’agenzia Reuters a firma del corrispondente da Zurigo, John Revill, spiega come il ministero della Difesa svizzero sta elaborando un rapporto sulle opzioni di sicurezza sul tavolo. Dovrebbe essere pronto entro la fine di settembre per essere valutato dal governo dal punto di vista della linea di orientamento della politica di sicurezza.

Paelvi Pulli, capo della politica di sicurezza del ministero della Difesa svizzero, ha spiegato all’agenzia che “potrebbero esserci dei cambiamenti nel modo in cui viene interpretata la neutralità”. Questa posizione tenuta dalla Svizzera non era un obiettivo in sé, ma una strategia per aumentare la propria sicurezza. Tuttavia, Pulli esclude la possibilità che il rapporto raccomandi alla Svizzera di seguire i passi della Finlandia e la Svezia.

La Convenzione dell’Aia del 1907 stabilisce che la Svizzera non deve prendere parte a conflitti armati internazionali, né deve favorire le parti in guerra con truppe o armamenti. Un avvicinamento alla Nato segnerebbe la fine di questa tradizione, che ha aiutato gli svizzeri a prosperare pacificamente e mantenere un ruolo speciale come intermediario.

Ma la neutralità non è inerzia. La Costituzione concede alla Svizzera “il diritto all’autodifesa e la portata su come interpretare gli aspetti politici del concetto non coperti dalla definizione giuridica”, come ricorda Reuters. Il principio è stato aggiornato l’ultima volta all’inizio degli anni ’90, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, per consentire una politica estera basata sulla cooperazione con altri Paesi in aree come gli aiuti umanitari e i soccorsi in caso di calamità.

La guerra in Ucraina ha acceso il dibattito su questo fronte e “la decisione del governo di imporre sanzioni alla Russia, ma di non consentire la riesportazione di munizioni di fabbricazione svizzera in Ucraina”. Un’altra opzione sarebbe il rifornimento di munizioni ad altri Paesi per sostituire quelle inviate in Ucraina, spiega Pulli, che comporterebbe comunque un cambiamento della politica attuale.

Per Viola Amherd, ministro della Difesa, la Svizzera non può aderire ad alcuna alleanza per via della neutralità. Nonostante ciò, crede che si possa lavorare insieme, con la Nato e anche con i partner europei, e per questo si stanno creando basi per nuovi sistemi di cooperazione.

E cosa ne pensano i cittadini? Secondo un sondaggio riportato da Reuters, circa il 56% degli svizzeri ha sostenuto un rafforzamento dei legami con la Nato. Negli ultimi anni l’approvazione a questa vicinanza non superava il 37%. E circa il 33% sarebbe favorevole ad un’adesione all’alleanza Nato, mentre prima quest’ipotesi era sostenuta soltanto dal 21%.

Thierry Burkart, leader del Partito Liberal Democratico di centrodestra, definisce questo momento come un “cambiamento sismico”, anche nel pensiero degli svizzeri, che guardano ad una trasformazione della neutralità più “flessibile”.

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