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La pace di Salvini e Meloni (non sull’Ucraina). L’incontro al parco Rabin

Di Luciano Tirinnanzi

Vicini su Israele e Orban, divisi sulle armi e il sostegno all’Ucraina. I due leader del centrodestra alla riapertura del parco intitolato al premio Nobel per la pace si studiano a distanza, tra i discorsi di Di Maio e Gualtieri. Ecco cos’hanno detto

Entrambi presenti all’inaugurazione dell’Area ludica donata dall’Ambasciata di Israele alla città di Roma nel centenario della nascita di Yitzhak Rabin, Matteo Salvini e Giorgia Meloni ritrovano per un attimo la sintonia e il sorriso. Ma solo su Israele e Ungheria, e non invece su Russia e armi.

«Io dove c’è Israele ci sono perché per me è esempio di democrazia, di libertà, di accoglienza, di tolleranza, di convivenza di popoli e fedi. Quando vado a Gerusalemme o Tel Aviv vedo il futuro. Senza se e senza ma con Israele» afferma senza titubare Salvini.

«La mia presenza qui è un elemento di amicizia con l’ambasciatore, con la comunità ebraica di Roma, con lo Stato d’Israele» conferma Meloni. Che aggiunge: «La figura di Rabin, uno statista, un uomo di pace cui è dedicato questo parco cade in un momento di particolare significato, quando il tema della diplomazia torna a essere centrale. Sono stata molto contenta dell’iniziativa e non sarei mancata».

Agli atti una bella stretta di mano e grandi sorrisi tra i due. Pace fatta o questione di convenienza, segretario Salvini? «No, non è convenienza. Noi oggi governiamo insieme 14 regioni su 20, quindi non ho preoccupazioni o timori sul fatto che presto vinceremo e governeremo ancora insieme».

Con Giorgia Meloni il terreno comune tra Lega e Fratelli d’Italia inizia e finisce presto, però. Dichiara Salvini: «Noi siamo per la pace, e infatti mi sono complimentato con Draghi per la telefonata con Putin, quella è la via giusta da seguire e interesse di tutti. L’interesse dell’Italia non coincide però con l’invio di armi e armi e armi”.

Qui Giorgia Meloni non è affatto d’accordo con l’alleato del centrodestra: «La pace non si cala dall’alto. Non siamo d’accordo su come si costruisce la pace. C’è chi pensa che per sostenerla devi abbandonare l’aggredito, e chi pensa invece che per averla l’aggredito tu lo debba sostenere. I romani dicevano si vis pacem para bellum, se vuoi la pace prepara la guerra. Pensare che oggi tu possa far finta di niente e ottenere la pace, è fuorviante. Al contrario, darai l’idea che aggredire sia una scelta vincente. È il tema della legittima difesa, che io sostengo anche per questa ragione. Se dai il segnale che è facile aggredire qualcuno in casa sua, saranno sempre di più quelli che lo faranno».

Il pensiero corre inevitabilmente a Putin. Cosa pensa oggi del leader russo il segretario della lega? «Su Putin mi attaccano spesso “a gratis”. La mia posizione però è chiara: qua c’è uno che ha attaccato e uno che è stato attaccato. Chi attacca sbaglia. Partendo da questo presupposto, ora bisogna metterli a un tavolo. Io voglio che Putin e Zelensky si siedano uno di fronte all’altro. Spetterà a loro poi decidere cosa chiedere e cosa concedere. Non spetta a me dirlo. Devo anche dire che da parte di Orban sento parole ragionevoli, così come da Erdogan, ma anche da Macron e Scholz. Sento invece parole meno ragionevoli da chi parla di guerra e di armi come nulla fosse, come fa Boris Johnson».

Ben diverso il giudizio di Meloni: «L’Occidente fa bene a dare una risposta decisa, anche perché quelli che pensano davvero che se non mandiamo più le armi in Ucraina finisce la guerra, non hanno chiaro il quadro. In ogni caso, l’Italia – ci piaccia o no – non decide l’esito del conflitto né i destini della guerra. Decide però il suo destino nel conflitto. E quindi su questi temi l’interesse nazionale balla molto. Io non penso che l’Italia possa dare il segnale che siamo titubanti o inaffidabili».

A Washington certo si aspettano una posizione atlantista. «Ma a me risulta – osserva Matteo Salvini – che negli Stati Uniti ci sia un dibattito aperto sulla guerra, anche all’interno delle stesse forze di governo. E spero che prevalgano i prudenti».

Il leader del Carroccio si aspetta che entro poco si risolva la questione, magari in un solo mese. «Spero anche tra una settimana, perché se andassimo avanti per altri mesi sarebbe insostenibile». Lo ritiene uno scenario credibile? «Io penso che entrambi i contendenti siano stanchi e in difficoltà. E quindi se Draghi ci mette una parola di distensione insieme a Macron, a Scholz, al Santo Padre… insomma quelli sono i segnali giusti da dare».

Ciò nonostante, tra veti e diktat l’Unione Europea è divisa sulla strada per la pace in Ucraina. E la mossa del premier ungherese Viktor Orban di mettersi contro Bruxelles ponendo il veto sul gas russo (e dividendo così anche il blocco di Visegrad) ne è l’esempio più lampante.

«Guardi che anche l’interesse di Orban, appena rieletto trionfalmente, coincide con la pace. Quanto alla Polonia, è ai confini dell’Ucraina e dunque ne capisco l’ansia. Ma rinunciare domattina al gas russo è una follia: metterebbe l’Italia e mezza Europa al freddo e senza energia. Il problema non è il veto di Orban ma la dipendenza dell’Europa da altri per troppi decenni».

Su questo tema, torna il sereno con Giorgia Meloni. La quale, circa i veti ungheresi e l’atteggiamento di Bruxelles, sostiene: «Il tema è particolare. Io penso che se tu passi la giornata a colpire qualcuno, non ti stai aiutando. La posizione che tiene Orban è figlia di che cosa? L’Ungheria, inserita nel contesto dell’Unione Europea, in questi anni è stata colpita e minacciata da ricatti. Ma se spingi la gente fuori a cercarsi altri interlocutori, poi lo paghi. Non è una scelta intelligente. Sono anni che tento di spiegarlo…».

La serata romana scorre lieta, alla presenza dell’ambasciatore israeliano in Italia Eydar, del sindaco Gualtieri, del ministro degli Esteri Di Maio, della presidente del Senato Casellati, e di molti altri ospiti illustri. La pace, del resto, è e rimarrà il tema del giorno: il parco è dedicato al primo ministro dello Stato d’Israele e Nobel per la Pace, Yitzhak Rabin, per i cento anni dalla nascita. Rabin, però, fu assassinato proprio al termine di una manifestazione in supporto agli accordi di Oslo, che stabilivano un’intesa tra Israele e Palestina. E di intese ritrovate e nuovamente perdute tra i due partiti, la Lega di governo e Fratelli d’Italia di opposizione, è piena la storia recente: sono tante come i fili d’erba che riempiono questo bellissimo parco di Roma nord.

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