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Nei partiti di centro e riformisti serve una nuova “sinistra sociale”

Di Giorgio Merlo

Oggi, seppur con la comprensibile differenza storica, politica e culturale, si deve riprendere quell’esempio. Sono necessari alcuni ingredienti, però: buona volontà, coraggio, coerenza con la propria cultura e determinazione. Lo scrive Giorgio Merlo, presidente nazionale di Noi di Centro, già deputato del Pd e della Margherita

La “sinistra sociale” è stata per molti anni un elemento costitutivo nella e della politica italiana. Una esperienza politica, culturale, programmatica ed organizzativa presente in molti partiti. Ma indubbiamente quella che ha fatto più notizia e che ha vuoto più risalto, perchè meglio organizzata e politicamente più visibile, è stata la sinistra sociale di ispirazione cristiana. Ovvero, la corrente della Dc di Forze Nuove guidata da Carlo Donat-Cattin per molti anni.

E prima ancora le componenti denominate Forze sociali e rinnovamento, sempre all’interno della Dc. Ma, comunque sia, la “sinistra sociale” era presente anche in altri partiti. Certo non nel Pci che era caratterizzato dal centralismo democratico di ispirazione leninista e dove non potevano esserci correnti organizzate che si confrontavano attraverso il classico e fisiologico metodo democratico perché il partito doveva apparire all’esterno come un “monolite” granitico e compatto.

Mentre nel Psi e in molti altri partiti minori la “sinistra sociale” era presente ma meno espressiva, meno visibile e politicamente meno significativa. Anche se quell’anelito alla giustizia sociale e quella tensione politica non mancavano certamente. Soprattutto in alcuni organi dell’informazione dell’epoca. Dopodiché la scomparsa dei grandi partiti popolari, la crisi profonda della politica e il tramonto di quella che un tempo si definiva classe dirigente, ha travolto le vecchie e feconde categorie della politiche.

E, tra queste, anche la storica e ricca esperienza della sinistra sociale. Ecco perché, comunque sia, quando ancora oggi si parla di “sinistra sociale” il pensiero corre immediatamente alla cultura politica dei cattolici italiani. Nello specifico, alla tradizione del cattolicesimo sociale che storicamente ha svolto un ruolo di grande importanza perché rappresentava pubblicamente uno spezzone di società e, al contempo, sapeva dare attraverso la classe politica di riferimento risposte concrete – politiche e legislative – alle domande e alle istanze che provenivano da quei mondi vitali.

Ora, per tornare all’oggi, è indubbio che l’esplosione di una nuova, drammatica ed inedita “questione sociale” merita e richiede, da parte della politica nel suo complesso, una risposta efficace e tempestiva. Certo, senza riproporre i modelli del passato. Perché i tempi scorrono e, detto tra di noi, anche perché il livello, la qualità e l’autorevolezza di quella classe dirigente la possiamo solo più leggere sui libri di storia e negli archivi di partito. Ma è indubbio che di una “sinistra sociale” oggi c’è bisogno.

Incardinata nei partiti o nella multiforme e articolata società civile ma che sia capace, però, di saper interpretare il profondo disagio dei ceti popolari e di dare risposte tangibili e concrete. Del resto, non potevamo chiedere ai tecnocrati di ieri e non possiamo chiedere ai tecnocrati di oggi di sapere interpretare politicamente quel disagio. E questo perché quei personaggi avevano e hanno un’altra cultura, un altro approccio, un’altra visione della società e soprattutto hanno un’altra estrazione e quindi rispondono ad altri parametri.

Per loro, detto in altre parole, la “questione sociale” non esisterà mai….. Ma il disagio è sempre quello, aggravato oggi dalla pandemia sociale e dalle conseguenze di una guerra assurda e lacerante. Dalla crescente povertà alla crisi irreversibile del ceto medio; dall’aumento massiccio e spropositato delle materie prime alla potenziale chiusura di centinaia e centinaia di piccole e medie aziende; dall’esplosione di una nuova e drammatica disoccupazione alla crescita esponenziale delle disuguaglianze sociali; dalla perdita secca del potere d’acquisto dei lavoratori e delle famiglie alla emarginazione crescente di porzioni di società sempre più escluse da ogni ipotesi di crescita e di sviluppo economico e sociale.

Di fronte ad un quadro del genere, chi proviene dalla storia e dalla cultura cattolico sociale e cattolico popolare ha quasi il dovere morale di riprendere la tradizione di una “sinistra sociale” di ispirazione cristiana e, al contempo, di saperla inverare nei partiti in cui milita o si riconosce. Certo, oggi più che di partiti si parla prevalentemente di cartelli elettorali e di strumenti in mano a dei capi ma tutto ciò non deve limitare od offuscare l’eredità pesante e ricca di contenuti, di esempi, di testimonianza e di impegno concreto che abbiamo ricevuto dai nostri “maestri”.

Se, per fare un solo esempio, al posto delle molteplici correnti di tessere subentrassero quelle che un tempo si chiamavano “correnti di idee” e se, nello stesso momento, nei partiti centristi e riformisti fosse presente questo richiamo e questo marcato anelito di giustizia sociale, probabilmente ne uscirebbe arricchita la stessa politica. Non dimentichiamoci mai di un particolare, seppur al netto della profonda diversità rispetto ad un passato recente e meno recente.

I contenuti, l’azione e il peso della “sinistra sociale” di ispirazione cristiana e popolare è stata condotta e guidata per molti decenni a livello nazionale da una componente/corrente, all’interno di un grande partito come la Dc, che contava a malapena – in quel partito – il 6-7% della intera rappresentanza politica. Contavano però i contenuti che sapeva dispiegare e la capacità di quella classe dirigente di imporsi nel dibattito generale, al di là del numero delle tessere e dei blocchi di potere.

Ecco, oggi, seppur con la comprensibile differenza storica, politica e culturale, si deve riprendere quell’esempio. Sono necessari alcuni ingredienti, però: buona volontà, coraggio, coerenza con la propria cultura e determinazione. Se si vuole si può, basta volerlo. È la politica e il pensiero politico che devono trionfare. Centro ogni deriva populista, demagogica, anti politica e anti istituzionale. Detto in altre parole, la stagione del grillismo deve cedere definitivamente il passo alla politica, alle sue categorie e ai suoi istituti. Pur senza regressioni nostalgiche o richiami passatisti.

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