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Estranei tra noi. Il virus del vaiolo delle scimmie tra scienza e conoscenza

Dobbiamo capire che la parola virus non deve far paura e stimolare fantasie da film, o scenari apocalittici, ma porci domande come: con che tipo di virus abbiamo a che fare? Cosa causa? Quali sono le possibili implicazioni? Il commento di Giuseppe Novelli, Policlinico Tor Vergata, Roma e Università del Nevada, Reno, Usa

I virus dominano il nostro pianeta. Si stima che il numero delle particelle virali sia una cifra superiore al trilione (miliardi di miliardi), ma solo alcune centinaia di loro sono pericolosi per gli umani. La maggior parte di loro infettano i batteri, le piante e altri organismi viventi. Nella storia della vita, i virus hanno svolto e svolgono azioni importanti e profondi. I virus eliminano ogni giorno un numero incredibile di microbi in tutto il mondo, creando sedimenti che sostengono le catene alimentari, fornendo nutrienti agli organismi marini fotosintetici che producono metà dell’ossigeno del mondo e aiutando ad alimentare i cicli di carbonio, azoto e fosforo. I virus regolano quindi l’ecologia e biogeochimica della terra senza che gli umani se ne rendano conto.

Tuttavia, ogni tanto un virus “salta”, cioè passa da un ospite ad un altro e scatena epidemie e pandemie come abbiamo visto per la famiglia dei coronavirus che almeno negli ultimi 20 anni ha causato tre episodi epidemici e pandemici (SARS, MERS, SARS-CoV-2). È del tutto evidente quindi che l’affacciarsi di nuove segnalazioni di infezioni virali come quella del vaiolo delle scimmie o della epatite non specifica dei bambini, suscitano paure e preoccupazioni negli esseri umani.

Dalle origini della vita alle tecnologie che la preservano, l’apprendimento dei virus può trasformare le opinioni delle persone su quelli che una volta sembravano semplici agenti di malattia e morte. Dobbiamo capire che la parola virus non deve far paura e stimolare fantasie da film, o scenari apocalittici, ma porci domande come: con che tipo di virus abbiamo a che fare? Cosa causa? Quali sono le possibili implicazioni?

Le conoscenze scientifiche oggi consentono di rispondere a queste domande e attivare programmi di prevenzione e di cura.

Nelle ultime due settimane, sono stati segnalati più di 130 casi confermati di vaiolo delle scimmie, una rara malattia virale presente spesso come focolai isolati in Africa centrale. L’emergere di questo virus in popolazioni non-africane, dove di solito non compare, ci ha allarmato e spinto a cercare risposte. Questo virus, è stato rilevato per la prima volta nelle scimmie nel 1958, e si ritiene che si trasmette da animali selvatici come i roditori alle persone o da persone infette. Ogni anno alcune migliaia di casi si registrano in Africa. Il numero di casi rilevati al di fuori dell’Africa ha già superato il numero rilevato al di fuori del continente dal 1970, quando il virus è stato identificato per la prima volta come causa di malattie negli esseri umani. Questa rapida diffusione va compresa e analizzata bene.

Diciamo subito che il vaiolo delle scimmie non è SARS-CoV-2, il coronavirus responsabile della pandemia di COVID-19. Non si trasmette facilmente da persona a persona e, poiché è correlato al virus del vaiolo, ci sono già trattamenti e vaccini a disposizione per frenarne la diffusione. Tuttavia, ogni nuovo comportamento virale deve destare interesse e compreso con gli strumenti della scienza.

A differenza di SARS-CoV-2, che si diffonde attraverso minuscole goccioline nell’aria chiamate aerosol, il vaiolo delle scimmie si diffonde attraverso il contatto ravvicinato con i fluidi corporei, come la saliva della tosse. L’infezione causa sintomi simili all’influenza, accompagnata dall’ingrossamento dei linfonodi e, dalla comparsa di lesioni distintive piene di liquido su viso, mani e piedi. La maggior parte delle persone guarisce dal vaiolo delle scimmie in poche settimane senza trattamento.

I primi dati di sequenza non ancora completi, non hanno evidenziato mutazioni sostanziali dal ceppo originario noto, ma è ancora presto per affermare che questa “impennata” di casi non sia dovuta ad un virus mutato. È necessario stabilire presto se il ceppo che causa gli attuali focolai differisca da quello dell’Africa occidentale e se i virus che spuntano in vari paesi siano collegati tra loro.

A differenza di SARS-CoV-2, un virus a RNA in rapida evoluzione le cui varianti sono regolarmente sfuggite all’immunità dai vaccini e da precedenti infezioni, il virus del vaiolo delle scimmie è un virus a DNA relativamente grande. I virus del DNA sono un po’ meno “mutabili” rispetto ai virus a RNA, il che significa che riduce fortemente la probabilità che il virus del vaiolo delle scimmie sia improvvisamente mutato per diventare abile e capace di trasmissione umana. A differenza del SARS-CoV-2, che può diffondersi in modo asintomatico, il vaiolo delle scimmie di solito non passa inosservato quando infetta una persona, in parte a causa delle lesioni cutanee che provoca. Non abbiamo evidenza al momento che il vaiolo delle scimmie possa diffondersi in modo asintomatico, e questo sarebbe particolarmente preoccupante perché renderebbe il virus più difficile da rintracciare.

I centri di ricerca sulle malattie infettive, da anni osservano i focolai di vaiolo delle scimmie soprattutto da quando l’eradicazione del vaiolo, cugino di questo virus e causa di epidemie drammatiche del passato, si è conclusa negli anni ’70. È possibile che gli anni trascorsi dall’eradicazione del vaiolo, abbia prodotto nelle popolazioni a rischio, una ridotta o assente immunità a questi virus.

Alcuni Paesi come gli Stati Uniti mantengono forniture di vaccini contro il vaiolo, e trattamenti antivirali considerati efficaci contro il virus. Queste terapie sebbene difficilmente applicabili su larga scala, possono essere invece utilizzate per vaccinare i contatti stretti delle persone che sono state infettate dal vaiolo delle scimmie e interrompere le vie di trasmissione. La maggior parte delle infezioni umane è il risultato di una trasmissione primaria da animale a uomo. Deve essere evitato il contatto non protetto con animali selvatici, in particolare quelli malati o morti, compresa la loro carne, sangue e altre parti. Inoltre, tutti gli alimenti contenenti carne o parti di animali devono essere cotti accuratamente prima di essere consumati.

Oggi, il mondo fa le prove generali di ritorno ad una vita “normale”: c’è bisogno di fiducia, c’è bisogno dell’impegno di tutti, media, scienza, istituzioni e società civile, per provare a ricostruire un modello che fa tesoro dell’esperienza recente, in cui le conoscenze e le nuove tecnologie sono al servizio della salute di tutti. Perché se all’inizio della pandemia si diceva “ne usciremo migliori”, adesso è il momento di dimostrarlo.



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