A Washington DC le lancette atlantiche di Italia e Stati Uniti si allineano. La grancassa filorussa a casa ha reso la missione di Draghi da Biden ancora più vitale. E l’asse italo-americano è fondamentale per decidere il dopoguerra, tra inflazione e alleanze. Il commento di Joseph La Palombara, professore emerito di Yale
La visita di Mario Draghi negli Stati Uniti non poteva avere un tempismo migliore. È stata una missione di grande peso politico: se infatti il presidente del Consiglio italiano ha condannato senza ambiguità Vladimir Putin, in America è ben nota la vicinanza storica e politica dell’Italia alla Russia. Nessuno, tantomeno gli americani, ignora l’affinità storica e culturale che a lungo ha avvicinato Roma e Mosca. Un legame che non si limita certo alla sincronia del Partito comunista italiano alla Russia sovietica e staliniana.
Non è un caso se il presidente americano Joe Biden ha reagito molto positivamente alle parole pronunciate da Draghi a Washington. C’è infatti una sintonia di fondo tra Stati Uniti e Italia che si declina su più fronti. A partire dallo sforzo in corso per allentare la dipendenza energetica dalla Russia. O ancora dall’impegno italiano – di cui Draghi merita il giusto credito – per passare dalle parole ai fatti nelle annunciate severe sanzioni contro Mosca. Impegno dimostrato, tra le altre cose, dalle mosse del governo italiano per colpire gli oligarchi russi, come il congelamento dei loro beni e dei loro yacht o le restrizioni finanziarie. Insomma, le parole scandite da Draghi in America non sono e non resteranno solo parole.
Ma la posta in gioco del viaggio americano di Draghi è più alta. Come tutte le persone sane di mente in Occidente, il premier italiano ha espresso il desiderio che i combattimenti e l’invasione dell’Ucraina finiscano al più presto. Trovandosi peraltro allineato con Biden nella richiesta di un cessate-il-fuoco. Senza mai però dimenticare che la decisione di cessare l’invasione dipenderà da Putin e dalla capacità della resistenza ucraina di frenare i suoi piani militari.
Un altro fronte che ha visto i leader allineati è la gestione dell’inflazione e dell’impennata dei prezzi nel settore alimentare. Draghi e Biden sono consapevoli che il mondo, e l’Europa in particolare, non tornerà più lo stesso di quello prima dell’invasione russa. Per affrontare il mondo nuovo, sarà richiesto allora un coordinamento senza precedenti tra le due sponde dell’Atlantico e, come rimarcato dai due leader, all’interno della Nato, di cui Draghi si conferma uno dei leader più vitali e attivi.
Certo, un po’ di realismo non guasta. La dipendenza energetica degli Stati Uniti dalla Russia non è neanche lontanamente comparabile a quella italiana e dunque a Washington possono permettersi di essere molto più aggressivi. In quest’ottica devono essere lette le recenti dichiarazioni del Segretario della Difesa Lloyd Austin e della capa dell’intelligence americana Avril Haines, entrambi convinti che Putin sia un implacabile dittatore e come tale vada trattato.
Per questo Biden e la sua amministrazione appaiono oggi assai poco disposti a parlare di cessate-il-fuoco. A Washington sanno che Putin vuole una guerra lunga e che discutere con lui di uno stop in questo momento non sia il modo migliore per iniziare le trattative.
Molto dipenderà dagli orientamenti che emergeranno tra gli altri partner della Nato. Per queste ragioni in America è stata data enorme importanza alla visita di Draghi. Che ribadisce ancora una volta come, a dispetto delle maree della politica interna, l’Italia rimanga un alleato forte e un sostenitore credibile dell’Alleanza atlantica.