Monsignor Vincenzo Paglia, presidente dell’Accademia della Vita, sul tema suggerisce di aprire un dibattito, di utilizzare la decisione della Corte Suprema americana per riflettere e a non sfuggire dal confronto, anche dialettico. Scrive Ivo Tarolli, presidente di Costruire Insieme
All’America non si può guardare solo quando ci fa comodo. L’ America è questa: un grande Paese, faro per il mondo; con una tradizione democratica invidiata: anche quando si pronuncia su un tema sensibile come il diritto delle donne ad abortire.
Monsignor Vincenzo Paglia, presidente dell’Accademia della Vita, sul tema suggerisce di aprire un dibattito, di utilizzare la decisione della Corte Suprema americana per riflettere e a non sfuggire dal confronto, anche dialettico. Proviamo.
1. La stagione dei Diritti, aperta in Occidente ancora negli anni 60/70 del secolo scorso, si è andata sviluppando con un incipit che ha previsto la separazione tra la Persona e i Diritti che gli dovrebbero essere riconosciuti. Dentro questa separazione si è affermata la Ideologia dei Diritti, che possono essere concessi o revocati dalla legislazione civile a seconda degli orientamenti e della convenienza delle maggioranze del momento. L’Occidente è stato addirittura fagocitato da questa impostazione; ragione per la quale da decenni si parla di un Occidente in cortocircuito.
Alla donna, dentro questo schema e nell’esercizio di questo diritto, è stato riconosciuto un potere pressoché illimitato e totalitario. Anche quando si tratta del diritto alla vita di un’altra persona.
2. Da Democratici e da autentici liberali dovremmo invece dar voce anche a coloro che ritengono che la vita della persona, di tutte le persone sia un Bene supremo, un bene surgivo; che viene prima della legislazione civile. Che non può essere posto in balia di decisioni di altre persone.
La Persona e la sua Vita dovrebbero stare sopra l’Ideologia che ispira la legislazione a seconda delle maggioranze del momento.
Ed è risaputo che l’Ideologia, per definizione è manichea, incomunicante e quindi refrattaria alla mediazione.
3. Per superare questa discrasia, dovremmo recuperare il presupposto che la Persona e la sua Vita sono un evento unico, irripetibile e, in quanto tale, assolutamente sovrano. E quindi da tutelare.
Alla donna, in quanto persona generatrice di vita, andrebbe riconosciuto il diritto sovrano alla maternità, che è altra cosa rispetto al diritto di disporre della vita di un altro essere umano.
La Vita che lei porta nel suo grembo, nel caso in cui lei decidesse di non esercitare il diritto alla maternità, dovrebbe essere presa in carico dalla Comunità, attraverso le sue strutture. E così salvaguardare da una parte, l’autonomia decisionale della donna, da un’altra salvaguardare il diritto alla vita del nascituro, e non per ultimo, esaltare il ruolo assolutamente virtuoso dell’essere e sentirci ciascuno parte di una Comunità più larga.
Pericle in tempi non sospetti, e non era né ebreo, né tanto meno cristiano, ebbe a sostenere che un cittadino che non “partecipa” alla vita della Polis non solo deve ritenersi innocuo, ma inutile.
4. L’obiettivo di questo dibattito e del confronto che auspichiamo possa svilupparsi in modo civile, dovrebbe consentire al mondo moderno di concentrarsi su un nucleo di Verità pubbliche condivise e sottratte all’orientamento variabile delle maggioranze del momento.
Forse così il sistema politico, le centrali culturali e, più in generale, l’uomo contemporaneo potrebbero imboccare la strada per uscire dal cortocircuito in cui si sono avviluppati, fagocitati dall’esasperato soddisfacimento delle pretese del SuperEgo.